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Cagliari-Toro, spot delle ingiustizie del calcio italico

Prendo spunto da una lettera che ho ricevuto da un amico tifoso, il signor Massimo Onesti, per fare alcune considerazioni sul Toro, sul "sistema" calcio e forse, in senso più generale, sul "sistema Italia".
Beppe Pagliano

Prendo spunto da una lettera che ho ricevuto da un amico tifoso, il signor Massimo Onesti, per fare alcune considerazioni sul Toro, sul "sistema" calcio e forse, in senso più generale, sul "sistema Italia". L'amico Massimo nella sua accorata missiva mi dice sostanzialmente di avere fede in questo Toro ''che riesce a trasmettere antiche emozioni sopite nel tempo'' e mi esorta anche ad avere fiducia nel presidente Cairo che lui stesso ha ''contestato nei momenti più bui'' ma che gli sembra ora ''sulla retta via'' e ''pronto a regalarci una strabiliante sorpresa''.

Confesso di essere sempre stato un inguaribile ottimista, uno di quelli che vedono il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto, di quelli che non smettono mai di crederci fino in fondo anche quando tutto sembra perduto e impossibile da raggiungere. Delusioni per questo mio modo di pensare e di vedere il mondo, la vita e il Toro, ne ho avute parecchie, ma quello che mi ha sempre sostenuto nel continuare a pensarla così nonostante le 'bruciature' è che mi sono goduto al massimo i momenti positivi che ho avuto perchè molto più predisposto a riceverli.

 

Lo scorso weekend però ha fatto seriamente vacillare le mie convinzioni di una vita per due motivi distinti, diversamente importanti, ma forse, sotto sotto, flebilmente uniti da un sottile filo che li collega: le elezioni e la partita di Cagliari. Senza entrare nel merito della discussione politica che, giustamente, deve restare fuori da quest'ambito, dirò solamente che l'esito del voto (e tutta la campagna elettorale che l'ha preceduto) ha ancora una volta dimostrato che questo Paese, l'Italia, non è capace di voltare pagina, di credere davvero nella possibilità di un cambio radicale dei suoi costumi più beceri, di respirare davvero aria nuova, di volere un futuro differente non solo dal passato ma anche da un presente che tutti, a parole, disprezzano, ma che forse a tanti (quelli che tengono le redini e chi a pioggia gode dei benefici) tutto sommato sta bene così.

 

La partita di Cagliari, al di là della sconfitta che non è a mio parere più di tanto determinante né in chiave classifica né a livello di morale della squadra, ha evidenziato alcune analogie tra quello che ho detto poc'anzi sulla politica e quello che succede nel mondo del calcio. Come ha commentato correttamente Beppe Pagliano nelle sue Saldature, quello che si evince ancora una volta è come nel calcio italiano non esistano regole chiare uguali per tutti. Se anche volessimo tralasciare il dato statistico che vede il Toro come la squadra che ha subito più rigori in Europa (!), perchè si sa che in statistica gli estremi non hanno un valore reale ma sono più che altro anomalie da scartare, resta il fatto che in troppe partite abbiamo assistito ad arbitraggi caratterizzati da difformità di giudizio su episodi analoghi.

 

Non voglio tediare nessuno con l'elenco dei torti subiti, elenco di per sé lungo e corposo, ma voglio puntare l'attenzione sul fatto che non è l'arbitro in sè incapace o meno, in malafede o in buona fede, il nocciolo del problema, ma è il ''sistema' stesso, che mette quell'arbitro lì e che condiziona più o meno inconsciamente il suo metro di giudizio, ad essere sbagliato. Gli arbitri sono "dilettanti" in un sistema totalmente professionistico, sono assolutamente avulsi dal progresso e impossibilitati ad utilizzare un qualsiasi aiuto tecnologico (che in molti altri sport è invece impiegato con successo), sono continuamente sottoposti alla gogna tecnologica che ne cavilla gli errori a posteriori, non possono difendersi verbalmente perchè hanno la consegna del silenzio e non possono fare autocritica per spirito di casta, suppongo. In tutto questo ci aggiungiamo che le loro carriere non hanno nulla di oggettivo ma sono decise a tavolino dai designatori e che affiancandogli quarto uomo e arbitri di porta si è aumentata la confusione decisionale e la possibilità di errore, perchè dodici occhi ci vedono meglio di due ma sei teste poco pensanti possono fare più casino di una sola sveglia!

Ecco dunque che è facile dedurre che finchè il calcio non si adeguerà al progresso continueremo ad avere arbitraggi iniqui giustificati dalla sempre valida favoletta del ''tanto gli episodi si compensano nell'arco di una stagione''. Ma la domanda è: se davvero si arrivasse con la tecnologia, con un sistema professionistico arbitrale differente o con qualunque altra miglioria ad avere arbitraggi più 'oggettivi', sarebbe davvero un bene? O ci sarebbe qualcuno (le solite tre squadre, per esempio...) a cui magari tutto questo porterebbe degli svantaggi? La risposta è scontata e, volente o nolente, si collega al calderone più grande della politica in generale dove il cambiamento può far stare meglio tanti, ma anche ''disturbare'' quei pochi gruppi di potere che oggi stanno molto meglio degli altri...

 

Concludo dicendo che, più dei rigori dati o non dati, è l'espulsione di Abou Diop il simbolo di questa perpetuata e apparentemente inarrestabile arroganza del potere: un ragazzo di vent'anni che nella sua esuberanza giovanile entra in campo per dimostrare tutta la sua voglia di giocare, viene cacciato ingiustamente dopo appena 26 secondi e si ritrova la beffa di una squalifica di ben tre giornate! Spero che il Torino, pur non essendo Diop un titolare né un giocatore finora importante per minutaggio, voglia dare un segnale di solidarietà al ragazzo e di coerenza alla tifoseria, e si impegni a far ricorso per dimostrare che, pur civilmente, è necessario ribellarsi alle decisioni ingiuste. E' il minimo che si deve a chi come il signor Massimo, me e tanti altri tifosi granata continua a crederci e ad avere fede in un futuro migliore.Alessandro Costantino

Twitter: AleCostantino74

(Foto Dreosti)

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