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columnist
Il tempo passa e mi ritrovo a parlare ancora di Andrea Belotti. Il punto cardine del calciomercato granata di questa estate sarà il suo destino. A me non piace il modo di come si sta gestendo la cosa. Come al solito la società vuole tenersi tutte le porte aperte, ma questo clima di incertezza è snervante.
Cosa dovrebbe fare la società? Parlare con Belotti e fare di tutto per trattenerlo, anche ritoccando l’ingaggio se necessario (io ritengo che lo sia). Se il giocatore accetta si può uscire pubblicamente e dichiarare che il giocatore vuole restare in granata, ma senza aggiungere “almeno un altro anno”! Queste sono parole che fanno cascare le braccia ai tifosi perché al solito mostrano l’assenza di un progetto ad ampio raggio. Se il giocatore non dovesse accettare, bisognerebbe però concordare con lui una deadline entro la quale quell’offerta deve assolutamente arrivare. Oltre quella data non lo si può cedere e Belotti dovrà rifiutare ogni offerta. Da gentiluomo qual è Belotti (ed io ritengo che lo sia), non ho difficoltà ad immaginare che lui possa rispettare la parola data.
Cosa fare se il giocatore invece ha già deciso di lasciare la squadra granata? Bisogna comunque fissare un termine di arrivo dell’offerta e cercare che questa arrivi il prima possibile. Il tutto però deve avvenire nel più stretto riserbo senza commettere errori e cercando di tenerlo all’oscuro dai media e, questa volta, a beneficio del Toro. Sì perché una vicenda simile all’addio di Cerci non deve più ripetersi. Il passaggio dell’eclettico fantasista ex Roma e Fiorentina dal Toro all’Atletico Madrid è stato il più classico segreto di Pulcinella: l’ufficialità dell’accordo con l’Atletico Madrid è arrivato solo negli ultimi giorni di mercato e il mancato investimento per un sostituto all’altezza è stato poi giustificato con la mancanza di tempo. Nel mezzo la pantomima del famoso tweet galeotto del giocatore stesso che aveva ufficializzato il suo approdo all’Atletico già diversi giorni prima, salvo poi rimuoverlo con scuse puerili.
Tornando a Belotti questa volta bisogna applicare la stessa tattica, ma per il bene del Toro. Dunque si trova l’acquirente, si sigla l’accordo e si fissa la data dell’ufficializzazione. Nel frattempo il Toro inizia ad acquistare i rinforzi con i 100 milioni senza però farsi tirare il collo da nessuno perché la società è stata abile a non fare pubblicità. Altrimenti si rischia di fare come il Napoli che, dopo aver ceduto Higuain, si è dovuto scontrare contro le richieste folli di alcune società (Cairo con la cessione di Maksimovic ne sa qualcosa) per vendere i loro pezzi pregiati. In questo modo sì che sarebbe un’ottima operazione di mercato perché consentirebbe ai granata di spendere poco e rinforzare la squadra con innesti di vera qualità. Con cento milioni poi si potrebbero fare grandi cose, se gli altri non sanno che tu li hai.
Ciò che però io auspico una volta per tutte, è che Urbano Cairo abbia a cuore anche altri aspetti di una squadra. L’importanza di avere in rosa un giocatore come Belotti vale tantissimo in termini di immagine, di tifo e in termini anche di marketing. Ci dobbiamo rendere conto che è grazie a Belotti che addirittura il figlio di Bonucci si è appassionato al Toro! Non è una cosa che avviene tutti i giorni. Evidentemente sui bimbi il capocannoniere italiano della Serie A è un esempio. Magari molto è dovuto alla sua esultanza semplice, ma sempre d’effetto, oppure più banalmente perché è un giocatore straordinariamente forte.
Ora immaginiamo solo un secondo di essere nel 2034 con Belotti che ha 41 anni e che compie il giro di campo, magari nel nostro stadio di proprietà. Immaginiamo quanta gente a Torino, ma anche nel resto d’Italia, possa avvicinarsi ai nostri colori. Anche questo conta nel calcio perché si instaura un grande legame tra la piazza, il giocatore e la società e, soprattutto, è un investimento che genera utili (cosa a cui Cairo tiene molto) per il merchandasing che annualmente il nostro bomber farebbe vendere. Negli anni sfonderemmo il muro dei cento milioni ampiamente. Certo ci possono essere gli infortuni dei giocatori, ma questo fa parte del rischio d’impresa. Anche per chi produce vino una grandinata potrebbe distruggere le proprie viti, ma non per questo evita di investirci. Anzi, si investe sempre di più proprio per tutelarsi.
Dunque caro presidente, gli utili si possono fare anche puntando sulla tradizione, l’identità ed i simboli, non solo vendendo ciò che con merito si è valorizzato. La prego presidente, ci pensi e agisca per il bene del Toro.
Vincenzo Chiarizia, giornalista di fede granata, collabora con diverse testate abruzzesi che trattano il calcio dilettantistico, per le quali scrive e svolge telecronache. Quinto di sei figli maschi (quasi tutti granata), lavora e vive a L’Aquila con una compagna per metà granata.
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