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Calciomercato, il nuovo oppio dei popoli

Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 
Non credo che esista niente nella vita come il calcio dove conta più il domani rispetto a quello che hai fatto fino ad oggi. Non si fa in tempo a terminare una stagione (mancherebbe una giornata di campionato da giocare...) che già...

Non credo che esista niente nella vita come il calcio dove conta più il domani rispetto a quello che hai fatto fino ad oggi. Non si fa in tempo a terminare una stagione (mancherebbe una giornata di campionato da giocare...) che già si parla di quella successiva e programmare diventa subito il verbo più abusato di questo periodo. E' in parte l'effetto mediatico del cosiddetto “calciomercato che non si ferma mai”, che non chiude mai realmente i battenti anche se, anacronisticamente, qualcuno ne tiene ancora in piedi una sede nel solito hotel milanese e, ufficialmente, ne stila pure un calendario di apertura e chiusura. Mi sono spesso chiesto come mai il mercato non possa incominciare davvero un secondo dopo la fine dell'ultima partita stagionale con l'inderogabile obbligo, però, di terminare rigorosamente il giorno precedente la prima partita della nuova stagione. E' cosi difficile concepirlo in questa maniera? E' davvero impossibile dargli tutto il meritato spazio che si è "conquistato" in questi anni concedendogli l'intero periodo di blocco del campionato, ma imporgli poi uno stop deciso quando la palla entra nuovamente in gioco? Che senso ha farlo finire il 31 agosto con una o due giornate di campionato già disputate e con calciatori ancora in procinto di cambiare squadra, se non quello di rendere ancora più palese la deriva mercenaria del sistema calcio? So che in un certo senso queste mie osservazioni possono apparire ingenue, quasi tenere di fronte alla mole di interessi economici che vanno a toccare, ma non è in fondo per le emozioni che noi tifosi seguiamo il calcio o lo sport più in generale? Non è forse per immedesimarci in coloro che calcano i campi di gioco che spendiamo soldi ed energie mentali pur di poter essere lì e condividere empaticamente il trionfo o la sconfitta, la gioia o la rabbia, il desiderio o la delusione di una partita o di un intero campionato? I soldi saranno anche la benzina per far muovere il baraccone calcio, ma il suo motore resta l'emozione che l'evento sportivo suscita in chi ne è protagonista e in chi vi assiste da spettatore. E chiunque voglia fare business col calcio non può non fare i conti con la parte emotiva dei tifosi. Si dirà che il calciomercato è proprio su questo che fa leva: far accarezzare ai tifosi dei sogni, alimentarne le fantasie più estreme, regalare illusioni. Ad agosto tutto è possibile, tutti sono forti, le squadre sulla carta sembrano tutte più o meno attrezzate per raggiungere i propri obbiettivi. Poi si comincia a fare sul serio, molto make up inizia a colare e non sempre il volto del mattino ha lo stesso fascino di quello della sera di festa, sebbene qualche visino acqua e sapone sorprendentemente si riveli  alla lunga una perla di rara bellezza.  Si strizza l'occhio allo sport professionistico americano come modello di eccellenza tecnica, ma quello che interessa è la sua capacità di essere una gallina dalle uova d'ora per quel che riguarda i profitti. Sbagliato: lì la cultura è diversa e spesso lo sport si confonde con lo show. Il calcio è diverso. E sebbene stia perdendo la sua anima popolare che da sempre ne ha fatto lo sport più facile da praticare sin da bambini (basta un pallone e tanta fantasia!) mi piace pensare che possano esistere delle oasi in cui chi cerca queste sensazioni possa ancora trovare rifugio. Ovviamente per me il Toro è la bolla d'ossigeno che mi salva dai miasmi degli stadi-supermercati e dalle mille altre storture che avvelenano il pallone: procuratori, comproprietà, lega calcio, diritti tv, tessere del tifoso e chi più ne ha, più ne metta. Purtroppo, però, spesso anche il Toro delude perchè, volente o nolente, fa parte di questo calcio e gioca con queste regole.  Eppure basterebbe poco per essere diversi e far continuare a sentire diversi i suoi tifosi. Basterebbe rinunciare a un paio di calciatori in rosa e risparmiare due milioni e mezzo lordi di stipendi da girare alla Fondazione Filadelfia e, assieme a quell'altro milione, fare davvero la cifra a suo tempo promessa. Basterebbe credere di più nei nostri calciatori, specialmente quelli che escono dalla primavera, invece di compiacere i procuratori e aumentare senza fine la lunga fila di comproprietà e prestiti. Basterebbe rinnovare i contratti ai calciatori che "sono come dei figli" o per lo meno provare ad incontrarli invece di dirlo e basta. Basterebbe essere dei maghi della comunicazione anche nel ramo calcistico e non solo in tutte le altre aziende. Basterebbe venire incontro ai tifosi con i giusti prezzi e aver voglia di riempire davvero lo stadio. Oppure basterebbe semplicemente essere dei veri tifosi del Toro e capire immediatamente in otto secondi quello che in otto anni non è ancora stato capito. Ma tanto chissenefrega: da domani saremo nuovamente drogati dai bagordi del calciomercato e tutto sommato sentirsi diversi passerà un’altra volta in secondo piano...   Alessandro Costantino Twitter: AleCostantino74