Loquor / Torna la rubrica di Anthony Weatherhill: "Cairo e De Laurentis hanno certo due personalità diverse, ma sono accomunati da un senso dell’opportunità davvero fuori dal comune"
“Il buonsenso arriva sempre come
repressore di un atto di audacia”
Aurelio De Laurentis e Urbano Cairo sono due imprenditori, cioè due persone che nella vita hanno scelto come lavoro quello di intraprendere imprese nel tentativo, non privo di rischi, di portarle al successo. Da sempre il mercato fondato sul modello capitalista, fin da quando nel febbraio del 1637 scoppiò la bolla speculativa sui bulbi di tulipani in Olanda(la prima bolla finanziaria della storia), ha avuto come obiettivo primario quello della moltiplicazione degli utili rispetto ad una prima somma iniziale di investimento. A questo principio, se si leggono attentamente i bilanci della Società Sportiva Calcio Napoli e del Torino e del Torino Football Club, si sono ben attenuti i patron dei due club fino ad oggi. Tralasciando i vantaggi economici e di immagine(da cui derivano altri vantaggi potenzialmente monetizzabili) che De Laurentis e Cairo hanno avuto nel gestire due club importanti(sia come tifoseria, che come storia) come Napoli e Torino, viene da chiedersi se ci si trovi davanti a due successi imprenditoriali indiscutibili, oppure se ci troviamo di fronte a due presidenti rivelatesi molto abili nella conversione in moneta della parte più facile del business calcio: quella di far seguire attraverso la televisione o lo stadio le vicende della propria squadra del cuore. La politica del mercato giocatori (con la sola eccezione dell’arrivo di Gonzalo Higuain dal Real Madrid al Napoli) è sempre stata quella di prendere giocatori o giovani (vedi Hamsik, Darmian, Lavezzi, Zappacosta, ecc..) o di medio livello(Cerci, Callejon, Reina, Iago Falque, ecc…).
Scelte connotate da voglia di future plusvalenze e da giocatori che potessero assicurare un medio rendimento costante, puntando quindi a non avere bruschi cali di rendimento verso il basso, ma neanche performance verso l’alto. Non ingannino i 3 secondi posti negli ultimi dieci anni della società partenopea, essi sono frutto più della profonda crisi subita dalle squadre milanesi, che di una programmazione mirata alla creazione di un club dai valori vincenti. Ho già avuto occasione di scrivere come Lavezzi e Cavani(soprattutto l’uruguagio) siano stati dei jolly pescati nel grande mare magnum del calcio mercato(con cui poi si sono fatte fortunatissime plusvalenze), piuttosto che di una tenace volontà di cercare di vincere un campionato o una Europa League. Volendo essere oggettivi, ad oggi in Italia non esiste un fenomeno come l’Atletico Madrid, sicuramente compresso dallo strapotere economico di Barcellona e Real Madrid ma con un roster in grado di arrivare, negli ultimi dieci anni, per ben due volte in finale di Champions League, vincere una Liga e vincere tre Europa League. Il Torino è stato un po’ più sfortunato in sede di campagna acquisti e anche, in verità, meno prodigo del Napoli(Zaza e Soriano, giustamente acclamati dai tifosi del toro come dei grandi colpi, insieme sono costati meno del solo Fabian Ruiz). Ma la filosofia è sempre stata più o meno la stessa della società azzurra: “galleggiare” in sicurezza nei risultati sportivi e attenti alle plus valenze di bilancio. Poi, se arriva qualche risultato sportivo di un qualche rilievo, ovviamente va anche bene.
Cairo e De Laurentis hanno certo due personalità diverse, ma sono accomunati da un senso dell’opportunità davvero fuori dal comune. Hanno intuito che prendere due club di calcio prestigiosi da una situazione post fallimentare, sicuramente sarebbe stato un ottimo affare. E così è stato. Ma tutti e due, continuando questo curioso percorso in parallelo, hanno volutamente e forzatamente dimenticato l’atipicità dell’azienda calcio. La polemica che in questi giorni sta infuriando tra il presidente del Napoli e i suoi tifosi, a proposito del mancato acquisto di un forte attaccante, ha fatto riemergere la distanza tra le ambizioni di De Laurentis e quella dei supporter napoletani. L’imprenditore cinematografico ha chiarito che l’opinione di quest’ultimi equivale a quella data in un qualsiasi bar, in spregio al valore proprietario di ordine morale che hanno i tifosi sul club da lui gestito come fosse una normale azienda. De Laurentis rimuovendo palesemente la sua esperienza, dimentica come una squadra di calcio in realtà non fallisca mai, proprio perché è l’amore dei tifosi a tenerla in vita nel tempo, a prescindere dalle cattive o buone gestioni aziendali. Ecco perché lui ed Urbano Cairo hanno potuto realizzare dei buoni profitti con delle società travolte dai rispettivi fallimenti e rinate come in nessun altro campo della vita sarebbe accaduto. Peccato i due si rifiutino di riconoscere ai tifosi il ruolo di audience eterno e fedele, garante della rinascita di brand dichiarati chiusi per debiti.
“Vogliono che io spenda i milioni per comprare nuovi calciatori, ma poi acquistano maglie false”, ha tuonato in un’intervista a Radio Kiss Kiss il presidente del Napoli, contraddicendo il suo continuo raccontare di un Napoli che si autofinanzia(allora non è lei, caro presidente, a spendere i milioni. Ma sono i tifosi che foraggiano il brand Napoli a spenderli. Lei è solo un amministratore del “foraggio” che entra nelle casse del Napoli Calcio) e accusando palesemente i suoi tifosi, offendendoli in modo inaudito, di comprare poche maglie “legali”, facendo così mancare introiti al club(gli stessi tifosi che permettono al suo Napoli di autofinanziarsi, garantendo ai sui famigli presenti nel consiglio d’amministrazione del club emolumenti arrivati complessivamente a 4 milioni di euro). Secondo un’inchiesta del Sole24Ore, Napoli e Torino sarebbero secondi solo alla Juventus in quanto ad utili netti negli ultimi bilanci, e allora proprio non si comprende come due imprenditori di mestiere possano aver rimosso uno dei principi cardini della’intrapresa: l’audacia. Isaac Newton ebbe a dire che “nessuna Grande scoperta è mai stata fatta senza un’audace congettura”, sottolineando come nella vita a volte si debba andare oltre, se si vogliono scoprire nuovi orizzonti e catturarli. ma l’audacia deve essere preceduta dal superamento dello scetticismo, solo così il pragmatismo dei numeri, assolutamente necessario, può dare vita alla volontà di rischiare. “Non si può mai attraversare l’oceano se non si ha il coraggio di perdere di vista la riva”, concluse Cristoforo Colombo osservando l’immensità dell’Oceano mare. Questo coraggio lo si trova solo se si è capaci di amare l’impresa indotta a compiere, se ci si avvinghia ad essa con la determinazione di renderla bella ed immortale. Una squadra di calcio non può essere amministrata con la logica dei ragionieri, perché, parafrasando William Shakespeare, il calcio è “fatto della stessa sostanza dei sogni”. E a questi sogni un presidente prima o poi deve dare un segno.