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Carisma Mondiale

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Sotto le granate / Torna la rubrica della nostra Maria Grazia Nemour: "Oh… quanto siamo fortunati noi italiani che i Mondiali non li giochiamo – e in particolar modo noi del Toro, abituati a non giocare tantissime cose – e possiamo...
Maria Grazia Nemour

Ebbene sì, in questi giorni di Mondiali può capitare di accendere la televisione e trovarsi davanti un’Italia-Francia. Replica freschissima, del 2006. Tanto per ricordarci che noi quest’anno non abbiamo proprio nulla da dire di calcio. E forse non ce l’avevamo neanche in quell’estate del 2006, quando arrivammo in Germania in bilico sull’onda lunga di Calciopoli. E Lippi – che la conosceva così bene quella scandalosa Juve, che la portò quasi come un monolite ai Mondiali quella piratesca Juve, proprio quella Juve che nel 2006 fu condannata a retrocedere in serie B non per scarse prestazioni ma per indegno comportamento, truffa. Ok, giusto per chiarire di quale Juve stiamo parlando – disse che vincemmo il Mondiale per la fame di riscatto che avevamo nello stomaco. Ma forse più che per fame vincemmo per sete: ubriachi di un calcio malato ma potente che aveva bisogno di riabilitarsi agli occhi dei più, e mostrarsi in salute. Un vestitino pulito, azzurro, per l’occasione. E fu così che la magggica Italia che aveva stracciato ben il Ghana, gli USA, Repubblica Ceca, Australia e Germania (vabbè, almeno la Germania) arriva in finale contro l’odiata Francia vincitrice su Brasile, Spagna, Portogallo (proprio quel Portogallo che si portava per la prima volta ai Mondiali Ronaldo release 2.0, quello di nuova generazione).

Comunque sia andata, sono passati dodici anni. È andata, appunto. Possiamo sopravvivere anche senza la replica di quella partita.

Oh… quanto siamo fortunati noi italiani che i Mondiali non li giochiamo – e in particolar modo noi del Toro, abituati a non giocare tantissime cose – e possiamo abbandonarci tra le fauci del divano senza ansia da prestazione, dedicandoci – tra una partita e l’altra – a domande oziose, del tipo: ma c’è un Maradona 2018 in questi Mondiali della steppa?  Messi, Ronaldo, Neymar?

Per me, solo Ronaldo ha una certa dose di maradonite addosso.

Vabbè, Ronaldo in questo Mondiale non avrà ancora segnato cinque volte in sette partite, realizzato cinque assist, firmato il gol del secolo partendo dal centrocampo e su fino alla porta, però, però qualcosa di Maradona ce l’ha. Ha il gancio traino, di Maradona, è anche lui un trascinatore. Perché uno che contro la Spagna segna, si procura un rigore e segna, procura una punizione e ari-ri-segna, è uno che fa la squadra, che lascia una scia larga dietro la sua corsa, che coinvolge, risucchia e spinge i compagni. Ci vuole carisma per trascinare.

Il carisma di Ronaldo sta nella disinvoltura con cui vive la prossimità della perfezione: una forma fisica esemplare e potente al servizio di una tecnica precisa da chirurgo e di una determinazione da condottiero. Uno che perfino durante la sforbiciata a Torino si scompiglia i capelli in modo appropriato, perché risulti perfetta la fotografia di copertina. Il carisma di Ronaldo sta nella lucidità di non sbagliare mai nelle occasioni importanti, di farsi trovare pronto nel fare la cosa giusta al posto giusto. Trascina così, la squadra, sull’onda perfetta. Ronaldo è, l’onda perfetta.

E se questo è il carisma di Ronaldo, quello di Maradona era l’esatto opposto. Uomo, prima che calciatore. Uomo che delizia, e delude. Trascinatore essenzialmente perché uomo. Nessuna autostrada di capelli che porta diretta al risultato ma un groviglio di ricci che potrebbero prendere qualsiasi direzione, in qualsiasi momento. Un carisma che non suona le corde della perfezione ma muove note più sommerse e meno spiegabili. Un carisma e che ha davvero qualcosa a che fare con la grazia, con il dono di saper giocare un calcio che è l’eccezione tra i migliori. Movimenti che osservi e ti trascinano via anche se non ti appassiona il calcio, ma la danza. Qualcosa che va oltre quello che è naturale. Un’opera d’arte. Talmente uomo dell’eccezione da avere la fragilità di segnare un gol di mano – la Mano de Dios dirà, che ripara le ingiustizie inferte dall’Inghilterra all’Argentina durante la guerra delle Falkland – nella stessa partita in cui calcia il più grande gol nella storia della Coppa del Mondo. In quei novanta minuti dei Mondiali 1986 – i suoi, Mondiali – disonesto e incantatore, insieme. Tutta l’incoerenza degli uomini.

Maradona non è l’onda perfetta, ma ti lascia completamente bagnato.

È più carismatica la perfezione del Superuomo o la grazia dell’irreparabilmente Uomo?

Dimmi che calciatore ami, e ti dirò che persona sei.

Tanto abbiamo tempo per oziare, da qui al prossimo Mondiale…

Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.

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