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Arriviamo da una settimana di emozioni, alcune nostre, altre prese a prestito.
Prima è la Roma a trascinarci nel tifo, conquista un tre a zero dal nulla, anzi peggio, da un meno quattro. Nessuna passione pro-romani, ma vuoi non gioire quando vedi una squadra credere all’incredibile, e vincere? Battere a Roma il Barcellona ha esaltato tutta l’Italia, non si può resistere. Col bel calcio ci si emoziona. Il giorno dopo è la volta del Real, chiamato a confermare la vittoria di andata. E, per i primi 93 minuti, non ci riesce. Mi è estremamente difficile ammetterlo, ma la juve ha giocato una partita di coraggio e padronanza d’azione. Ma questo, per i primi 93 minuti appunto, dopo, capita quello che nel calcio si verifica con una certa regolarità e si chiama evento inaspettato. Capita il rigore nei minuti del recupero. Ed è qui che inizia la juve. È qui che fa scuola-calcio, come solo lei può insegnare. Lo sgomento, tra campo e panchina e tribuna, implode di indignazione: rigore? Adesso? Ma contro, o per noi? In che senso, contro?
Inaccettabile. Non lo accetta Buffon, che dimentica di essere un aspirante Beato del calcio, icona giovanile di correttezza. Qualcuno pensa che forse piangerà di nuovo e invece no, esplode, inquinando di parole mal pensate tutto intorno. Ok, il momento è vibrante, ma la squadra viene prima della rabbia se sei un professionista, e farsi espellere proprio quando si è chiamati a parare un rigore, è dilettantesco. Ma se questo gesto può essere compreso dall’innalzamento della pressione sanguigna, sicuramente è fuori misura quello che accade dopo. A sangue tornato tiepidino, rilascia interviste destinate a essere ascoltate da milioni di ragazzini in cui dispensa i peggio insulti all’arbitro. Benatia, vuole dimostrare di non essere da meno del capitano e si lascia fiorire in bocca una gemma di primavera: “A Madrid è stato uno stupro”, parole talmente paradossali che ci ironizza su anche Crozza, ipotizzando che il prossimo fallo, inserito nel posto idoneo, potrebbe fargli comprendere la differenza sostanziale tra perdere una partita e subire uno stupro. E poi spazio al padrone, che non si limita a dare dell’incapace all’arbitro, ma indica al mondo la verità: c’è vanità e presunzione nel designatore, dell’arbitro. Eliminiamolo.
E dopo un giovedì passato a pensare che saltuariamente c’è giustizia in Terra, ecco che arriva il venerdì con la sua finale di Coppa Italia, e questa sì, che è un’esplosione di Primavera!
Il Toro giovane parte dal Filadelfia con la sua bella vittoria di andata contro il Milan e non si lascia abbagliare dalle luci, a San Siro. Gioca solido, con l’obiettivo di difendere il risultato già ottenuto. Ma non manca mai di coraggio e alla fine viene premiato dell’ulteriore soddisfazione di vincere anche il ritorno. Borello si infila proprio lì, nell’unico pertugio da cui è possibile forare, ed è gol!
E dopo il venerdì, ecco il sabato. Il Toro grande se ne va a Verona, nella testa ancora rimbombano i festeggiamenti per la Coppa Italia portata a casa dai Piccoli. Ma non è stimolo sufficiente per battere un avversario battibile. Per 90 minuti sembra sempre che il gol possa arrivare, ma la partita finisce con uno zero a zero che soddisfa solo il Chievo. Continuiamo a blindare e non subire gol, ma questa era la partita da spintonare e vincere, per accarezzare l’ipotesi di sorpassare Samp, Fiorentina e Atalanta. Nel calcio c’è chi vince e c’è chi perde, e poi c’è chi pareggia. Noi…pareggia.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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