La sciagurata sconfitta interna contro il Bologna e la tremebonda prestazione di ieri hanno nuovamente spalancato le porte alla mediocrità in cui versiamo da oltre vent’anni.
columnist
C’è chi vola e c’è chi dorme
Nulla è perso, non è ancora il tempo dei processi. E’ il momento di stringersi attorno alla squadra e di spingerla alla vittoria mercoledì contro la Samp e poi nella trasferta di Parma. Ovvio, bisogna pensare a una partita alla volta, ma la situazione di classifica, ahinoi, si sta delineando e anche il più inguaribile degli ottimisti deve ammettere che o portiamo a casa sei punti da qui a sabato o molto probabilmente trascorreremo i prossimi mesi nel nostro solito oblio primaverile, con Cairo che sottolinea l’importanza del processo di crescita e Mazzarri che avrà buon gioco a prendersela con il caldo soffocante e il clima infuocato e condizionante che troveremo sui campi delle corazzate Empoli e Genoa.
Purtroppo c’è chi vola e c’è chi dorme; c’è chi, come l’Atalanta, va a giocare a Parma con il sangue agli occhi e torna a casa con tre punti e chi invece entra in campo a Firenze stordito dal caldo e dalla commozione per il gemellaggio e disputa il primo quarto d’ora con spirito degno di un torneo balneare. C’è chi, come la Lazio, da anni pesca giocatori di gran classe, va a sbancare San Siro e non sbaglia una stagione da tempo immemore e chi invece celebra l’importanza della rosa snella ma, puntuale come un orologio svizzero, ogni volta fa trenta ma non trentuno, arriva nono e rimanda all’anno successivo i sogni di gloria.
Ripeto, non è tempo di processi, vediamo cosa accadrà nelle prossime partite e poi tireremo le somme. Massimo sostegno a tutti, ma se le cose non andranno come ci promettono da anni per poi tradirci sul più bello, non risparmieremo nessuno. Il tifoso del Toro è esausto di vedere gli altri festeggiare, non ne può più di chiacchiere e, come ha dimostrato riempiendo lo stadio contro Chievo e Bologna (certo, facilitato dall’ottima idea di Cairo di proporre promozioni speciali) e partecipando in massa alle trasferte di Frosinone e Firenze, ha diritto di pretendere un radicale mutamento di rotta.
Qualche riga sopra ho citato il gemellaggio con la Fiorentina. Premetto che non ho mai amato i gemellaggi, anche se riconosco che quello con i Viola ha un sapore autentico e speciale. Le sbandierate collettive sono belle e sportivamente utili, gli abbracci in Piazza della Signoria emozionano. Ammetto che è divertente ritrovarsi sugli spalti a cantare gli stessi cori contro la gang di Venaria, ma quando si entra in campo bisogna lasciare l’amicizia negli spogliatoi e mordere alla caviglie. Noi, invece, siamo i gemelli buoni, quelli con il cuore tenero, quelli che si commuovono. Ammettiamolo: il record negativo di 43 anni senza vittorie a Firenze (uno dei digiuni più lunghi nella storia del calcio italiano) è scandaloso. Stiamo parlando della Fiorentina, non del Bayern Monaco o del Real Madrid; stiamo parlando di una squadra che, come noi, galleggia da anni nel limbo della mediocrità. Idem il discorso relativo al gemellaggio con il Genoa (incrinato irrimediabilmente nel 2009, quando vennero a casa nostra, ci spedirono in B ed esultarono come folli). Ebbene, la vittoria di fine stagione dello scorso anno ha posto fine a un digiuno che durava da 37 anni. Ci rendiamo conto? 37 anni senza vincere in casa di una squadra che da sempre, salvo qualche parentesi, lotta per la salvezza.
A proposito di gemellaggi, ricordo ancora l’ultima giornata del campionato di Serie B 1998-99. Torino-Reggina. Noi già in A e loro alla ricerca della vittoria per fare il salto di categoria. Cinquantamila persone, la Maratona che per tutta la partita canta a squarciagola “Vi vogliamo in A”. Alla fine la Reggina vince 2 a 1 ed è festa grande. La stagione successiva società, giocatori e tifosi reggini dimenticano completamente la carnevalata di qualche mese prima e ci picchiano come fabbri sia all’andata che al ritorno. Insomma, come dice il saggio: “buono va bene, buono due volte uguale pirla”, e noi in quanto a bontà siamo leader indiscussi, quasi quanto Cairo con la sua collezione di scudetti del bilancio e premi “Reputation”.
Morale della favola? I gemellaggi ci fanno male, lo dicono i fatti. La filosofia del “volemose bene” è veleno per chi nel corso del tempo ha abbandonato la sua natura tremendista per abbracciare un modo di essere che, quando il gioco si fa duro, ci trasforma in un incrocio tra panda e cerbiatti innamorati.
Ci sarà tempo per tornare a essere i più buoni del reame. Ora proviamo a riprendere la bella abitudine di vincere, di raggiungere gli obiettivi, di demolire gli avversari con quella ferocia agonistica che fino all’inizio degli anni Novanta era nel nostro dna: le feste di paese possono attendere.
Marco Cassardo, esperto in psicologia dello sport e mental coach professionista.
E’ l’autore di “Belli e dannati”, best seller della letteratura granata
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