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C’era una volta Firenze

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“Luciano, vada su, vada, vada!”: lo stadio improvvisamente ammutolisce quando il mister, un uomo di piccola statura con la sigaretta eternamente stampata fra le labbra, lancia l’invocazione. “Luciano, vada su, vada...
Renato Tubere

“Luciano, vada su, vada, vada!”: lo stadio improvvisamente ammutolisce quando il mister, un uomo di piccola statura con la sigaretta eternamente stampata fra le labbra, lancia l’invocazione. “Luciano, vada su, vada vada!”

 

LUCIANO, UGONE E IL PETISSO - Luciano è il numero sette: ingobbito ma col pallone incollato al suo funambolico piede sinistro,  si scatena sulla destra. E’  vanamente inseguito dai difensori avversari in netto ritardo. Poi però la troppa foga o la pazza idea di inventarsi un tiro a rientrare da angolazione apparentemente impossibile gioca a Luciano un brutto scherzo. La palla oltrepassa la linea di fondo quando sta per tirare. Ecco che dalla panchina il grido è ancora più forte: “Luciano, vada vada … vada a stendere!” L’aneddoto lo raccontò qualche anno fa il portiere di riserva: un certo Bandoni. Anno di grazia 1969: siamo a Firenze, stadio Comunale pieno come un uovo.  Luciano altri non è che Chiarugi, detto il Mattocchio perché sempre o quasi alla ricerca della giocata più difficile Capelli riccioluti, piccolino ma compatto, ogni tanto attraversava la classica giornata no ma quando era in vena scucchiaiava certe traiettorie a rientrare assassine dai 25/30 metri. Mamma mia che raffinatezza in quel piede sinistro gli aveva dato Madre Natura!

QUEL TRIONFO INATTESO - Luciano e gli altri. Che trionfo inatteso colsero nel 1968/69! Fu uno scudetto indimenticabile in volata sul Milan di Rivera e sul Cagliari di Gigi Riva. L’allenatore che, con lui come con gli altri suoi compagni, dava esclusivamente del lei è Bruno Pesaola, detto Petisso. La sua formazione base? Superchi; Rogora, Mancin; Esposito, Ferrante, Brizi; Chiarugi, Merlo, Maraschi, De Sisti e Amarildo. Squadra che partì pian pianino per venire fuori alla distanza, in primavera. Pesaola impose alla sua Fiorentina un calcio prudente ma efficace: tutti raccolti a difendere per poi ripartire a razzo nella metacampo avversaria.

ANCHE IL TORO PERO' ... - Pensate che una delle poche formazioni rimaste imbattute al cospetto dei futuri campioni d’Italia fu proprio il Toro! Fu zero a zero sia a Torino che a Firenze: ma i granata all’epoca avevano grandissimi interdittori come capitan Ferrini,  Lido Vieri, Poletti, Fossati, Cereser e Puja.  Di quei campioni d’Italia, oltre al Mattocchio e alla mezz’ala sinistra Giancarlo “Picchio” De Sisti, ricordo in particolare il libero. Biondo e alto un metro e novanta proveniva da Vercelli. Ugone, alias Ugo Ferrante: son quasi dieci anni che si è spento per un male incurabile. Mai un turno di squalifica in carriera, aveva un senso dell’anticipo e soprattutto della posizione che, nel calcio asfittico e impiegatizio di oggi, gli avrebbe fatto ottenere senza sforzi il ruolo di regista di centrocampo. Si presentava agli allenamenti vestito come un hippie, cioè un figlio dei fiori. Guidava, lui altissimo, un elegante trabiccolo cabriolet color arancione. All’epoca la Fiat ne vendette sì e no poche centinaia di esemplari. Era una Cinquecento Gamine carrozzata da Vignale. Il biondo e allampanato Ugone arrivava invariabilmente col sorriso sulle labbra al campo, spegneva il motore e impiegava non meno di due o tre minuti per tirare fuori le gambe lunghissime dall’abitacolo. Mentre scherzava coi tifosi si sentiva addosso lo sguardo solo apparentemente flemmatico del sergente di ferro Petisso. Luciano, Ugone, Picchio e gli altri protagonisti del secondo scudetto viola fecero dimenticare in fretta ai fiorentini la terribile alluvione del 1966. Altro calcio, altri tempi: ma soprattutto la passione vera dipinta sui volti di calciatori, tifosi e di chi come me si fece contaminare da una vittoria francamente difficile alla vigilia da pronosticare. Quella passione che oggi non esiste più: che peccato!

 

Renato Tubère

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