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Che tristezza il calciomercato ai tempi della crisi

Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 
Ce la possono raccontare come vogliono ma la crisi globale che stiamo vivendo ormai da un lustro non ha risparmiato nessun settore economico. E il calcio non è da meno. Se ad Hollywood si fa fatica ormai a convincere i produttori a fare...

Ce la possono raccontare come vogliono ma la crisi globale che stiamo vivendo ormai da un lustro non ha risparmiato nessun settore economico. E il calcio non è da meno. Se ad Hollywood si fa fatica ormai a convincere i produttori a fare film dai budget multimilionari, anche nel mondo del pallone, a parte qualche rara eccezione su scala europea dietro cui ci sono di solito petroldollari o rubli, si stanno spegnendo i riflettori su un certo modo alquanto spettacolare di fare acquisti. E se in Grecia si sfoltiscono le rose e in Spagna con un minimo di coerenza si è detto basta all'importazione di campioni e non si compra più nessuno campando di rendita sui fenomeni giunti negli anni precedenti, la situazione italiana appare quella più ridicola, tipica da “voglio ma non posso”. E così le cosiddette grandi fanno scrivere i giornali per settimane e settimane che arriverà Tizio piuttosto che Caio ma arrivate al dunque sbattono contro il muro delle richieste economiche alle quali non possono o non vogliono adeguarsi e alla fine le caselle alla voce acquisti restano inesorabilmente semivuote. Di top player neanche l'ombra, di “normal” player qualcuno in più a patto che non debbano essere acquistati: prestiti secchi, prestiti con diritto di riscatto, comproprietà, ormai l'italica fantasia ha elaborato così tante formule di “finto” acquisto che nemmeno per comprare un'utilitaria si hanno così tante possibilità di dilazione o di ripensamento. I direttori sportivi italiani sono più informati sull'elenco dei giocatori in scadenza di contratto (quindi da prendere a costo zero) che sui giovani talentuosi che ci sono in giro mentre una pletora di procuratori assetati di provvigioni sguazza allegramente in questo mare di incertezze contrattuali avvantaggiandosi dei continui cambi di casacca dei loro assistiti. Siamo passati da un eccesso all'altro: negli anni '90 gli acquisti folli e i salari senza senso avevano drogato il mercato ponendo il mondo del calcio e i suoi protagonisti assolutamente fuori dalla realtà. Una bolla speculativa che non poteva durare in eterno e che infatti è implosa su sé stessa. Oggi il mercato è in astinenza da quelle sbornie di successi e di onnipotenza e tenta, come un vecchio nobile decaduto, di rivivere gli antichi fasti elemosinando campioni tra gli scarti o gli scontenti delle collezioni di figurine degli sceicchi o dei miliardari russi. O più semplicemente club campioni “sul campo” spacciano come top player giocatori di media levatura, giusto per fare un po' di maquillage al proprio mercato in entrata.    In questo desolante panorama, le alte sfere del calcio, come una casta intoccabile e inscalfibile, non si preoccupano minimamente di mettere un freno o quantomeno dei paletti allo sfascio del litigioso e settario calcio italiano. Si potrebbe, per esempio, se davvero si volesse il meglio per lo sportivo che segue il calcio, evitare che le sessioni estiva ed invernale di calciomercato si sovrapponessero allo svolgimento dei campionati, sancendo la chiusura della trattative 24 ore prima dell'inizio della prima giornata e 24 ore prima della ripresa delle gare dopo la pausa invernale. Che senso ha, infatti, vedere giocare quel tal calciatore con una maglia e la domenica dopo magari in campo con un'altra? E perchè non limitare il numero dei giocatori in rosa sulla falsariga di ciò che avviene in B? O limitare ad un anno prestiti e comproprietà in modo da far fare delle scelte nette alle società e non avere troppi giocatori non legati ad un particolare club? Le risposte ovviamente sono più che scontate tanto quanto ingenue appaiono le domande: non conviene ai grandi club, non conviene ai procuratori e a tutto il sottobosco di “addetti ai lavori”.    In tutto questo bailamme, il Torino non fa che seguire,  ahinoi “bovinamente”, il carrozzone, senza un guizzo di fantasia, un afflato di diversità o un alone di creatività. A dir il vero si sta faticosamente cercando di  far nuovamente produrre al vivaio ciò che si vorrebbe evitare di reperire sul mercato, cioè giocatori validi, ma il processo è in divenire e darà frutti concreti nel medio periodo. Nel breve ci si attenderebbe una politica di movimento sul mercato, non dico rivoluzionaria, ma quantomeno fatta di idee che sopperiscano ai mezzi economici decisamente esigui. La realtà dice invece che i giovani buoni, non solo quelli del vivaio ma anche quelli acquistati (tipo Verdi) vanno “a farsi le ossa” fuori e gli acquisti sono esclusivamente fatti da gente col curriculum referenziato direttamente da Ventura o Petrachi. Perchè invece non dare un segnale di forte differenziazione al mercato? Perchè non puntare sulla fidelizzazione alla maglia di un nocciolo consistente di giocatori? Rinnovare continuamente i migliori per rendimento, abnegazione, senso di appartenenza, rifiutare per principio i prestiti in modo da lanciare il messaggio: chi viene al Toro non dev'essere di passaggio ma parte integrante di un progetto. Contratti  brevi, massimo due stagioni, ma con rinnovi costanti, di anno in anno, rapidi, veloci, senza manfrine o frasi tipo “a breve ci vedremo per discutere”. Patti chiari, scelte nette, rosa ridotta a 15-16 senior di proprietà e i giovani a fare da veri rincalzi in caso di necessità. Allenamenti integrati fra prima squadra e Primavera, un'unica famiglia, un unico grande gruppo di lavoro in cui “i vecchi” facciano crescere “i giovani” e i giovani non si sentano invitati fuori posto quando devono sedersi su di una panchina di A.   Qualcuno dice che le crisi sono delle opportunità più che dei problemi. Mi piacerebbe che il Torino FC adottasse questo motto. Il Toro lo ha già fatto da almeno 107 anni.   Alessandro Costantino Twitter: AleCostantino74    (foto Dreosti)