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columnist
Cinquant’anni dopo
E pensare che tre giorni prima c’era il sole.
Un primo maggio caldissimo, giocavamo contro il Napoli. La partita del minuto di applausi in onore del Grande Torino. La partita in cui abbiamo vinto 3-2 con un gol di testa di Ferrante, azzoppato, a tempo scaduto, e come fai a non pensare che non ci sia stato lo zampino di Gabetto ad aiutare Marco a fare quel saltino per metterla dentro, regalarci mezza A e, soprattutto, la possibilità di onorare il cinquantenario di Superga con il cuore sereno. D’altronde, sul 2-2, ci aveva pensato Bacigalupo a sussurrare all’orecchio di Pastine come buttarsi su Shalimov lanciato a rete, pronto a polverizzare i nostri sogni. Quello che dirà uno stravolto Mondonico a fine gara, resterà la frase più bella che un allenatore abbia mai detto sul Toro: “Forse non siamo più bravi degli altri, anzi c’è chi è più bravo di noi. Sicuramente abbiamo più cuore di tutti”.
E pensare che tre giorni prima c’era il sole. Il 4 maggio 1999, cinquant’anni dopo, invece piove. Piove tanto. Ancora più facile andare con la testa dove sappiamo. Credo di avere comprato qualsiasi quotidiano, rivista, speciale da edicola per immergermi nell’atmosfera di quel giorno, come se fosse una liturgia da seguire. Il 4 maggio 1999 è un giorno da non sprecare. C’è qualcosa sul mobile dell’ingresso. E’ un biglietto. Un biglietto bellissimo. Il biglietto per la partita della sera. Sì, perché quella sera il Toro giocherà una partita contro la Rappresentativa di Lega per commemorare il cinquantenario del giorno che ha cambiato tutta la storia granata, del giorno che non sarà mai come gli altri giorni, perché sopravviverà sempre a qualsiasi retorica, perché sopravviverà anche a qualsiasi testimone oculare. Come detto, è liturgia. E’ sacro.
https://www.toronews.net/columnist/culto/otto-di-fila-prima-parte/
Verso sera, non piove più. Si pare per lo stadio. Tengo il biglietto stretto tra le mani. E’ così bello, forse lo metterò in cornice. Mio padre non vuole parcheggiare a pagamento, mettiamo l’auto lontanissima dallo stadio. Errore. Perché ricomincia a piovere e al triplo della potenza di prima. In piemontese si dice “ramà”. L’acqua finisce sul biglietto, di fatto ne cancella metà. Quando entriamo in Maratona, quel povero cristo che controllava gli ingressi, fradicio, strappa come può. Il biglietto da incorniciare è diventato una specie di foglio di carta umido, dove non si capisce più nulla. Lo guardo come Giovanni guarda la macchina rigata in “Così è la vita”. Poi salgo in Maratona e non me ne frega più niente, perché lo stadio è semplicemente stupendo.
Avete notato che quando piove il granata è più bello? Quella sera il Delle Alpi conta 40000 cuori ed è un colpo d’occhio bellissimo. Quel colore, basta quel colore per spiegare il perché ti amo così tanto, Toro. Non ci sono parole per descriverlo, quel colore è seriamente tutto. La Maratona urla, canta, ruggisce. Sono al terzo anello è l’impressione è quella dei torridi giorni estivi in cui il calore sale dall’asfalto e ti assale, così quei cori, caldi, profondi.
In campo il Toro indossa QUELLA maglia, quella degli Invincibili, quella dal colore russ cume el sang, quella con lo scudetto. E non importa se chi la indossa è Vieri, tornato granata per una sera sola (cosa sarebbe potuto essere, se ti avessimo tenuto Christian), Ferrante, Beppe Scienza o Sommese. In quel mischiarsi di ex che tornano, giocatori del presente e speranze per il futuro conta solo quella maglia, è lei che gioca. Di fronte ci sono Ronaldo, Baggio, Weah, ma noi abbiamo quella maglia, le cui maniche venivano tirate su per far capire che era ora. Quelle maglie, al 27’, segnano.
https://www.toronews.net/columnist/culto/laltro-toro-real/
Asta porta a spasso sulla fascia il numero undici di Ossola, arriva sul lato destro dell’area e crossa verso il secondo palo. Stefano Fattori non sa ancora per cosa diverrà tristemente famoso. Ha la sei di Castigliano. E cosa faceva Castigliano? Segnava. Ha anche vinto una classifica marcatori nel girone finale dell’anomalo campionato 1945/46. Quindi segna anche Fattori ed è un gol meraviglioso, in acrobazia. Ecco, se penso a Fattori, penso a questo gol e non a quella cosa là (certo che se avesse messo dentro quella cosa là, in otto, probabilmente starei esultando ancora adesso, ma no, non pensiamoci). Fattori che vola, che sforbicia, che esulta indicando il cielo.
Da quel momento i ricordi si fanno confusi, vedo solo quelle maglie danzare, le immagino con altri corpi dentro, vanno da sole. I fischi a Inzaghi, i tamburi, il pareggio di Fabio Junior. Tutto è come attutito. Ho solo quelle maglie meravigliose negli occhi. Le ho quando finisce la partita, quando risalgo in auto, durante un viaggio di ritorno dove non dico mezza parola, assalito da una malinconia assurda. Pensando a quanto puoi amare qualcosa che non hai mai visto, ma ti sembra comunque di aver vissuto. Sono le ultime ore del 4 maggio 1949, cinquant’anni dopo.
Settantuno anni dopo, alle 17.03 non sono uscito sul balcone. C’era già una maglia granata appesa poco prima, bastava lei. Io ho aperto Spotify, ho messo su “Quel giorno di pioggia” dei Sensounico, ho pensato all’aereo, a cosa il fato ci ha tolto, ma soprattutto a cosa ha tolto a loro, a quegli uomini simboli di un riscatto, che avremmo comunque amato ugualmente, non serviva morire, sarebbero stati lo stesso leggenda, destino maledetto. Pensavo a quella donna immensa che è Susanna Egri, a quando racconta del papà, a quando parla della bambola che porta sempre con sé. Pensavo a quello che c’è qua fuori adesso e ho fatto una cosa che non facevo da troppo. Ho pianto. Ma soprattutto ho deciso. Ho deciso cosa fare quando tutto questo finirà davvero, la prima cosa. Salirò a Superga. Li andrò a trovare. Ho deciso e, per un attimo, mi sono sentito quasi bene. Grande Torino per sempre.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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