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Come si cambia

Danilo Baccarani
Danilo Baccarani Columnist 
Torna "Gran Torino", la rubrica a cura di Danilo Baccarani, con un nuovo appuntamento

L’ ultima partita della stagione è stato un gigantesco pianto. L’ennesima trasposizione tecnica di una società e di una squadra incapaci di svoltare. A Bergamo l’Atalanta non ha fatto sconti (e ci mancherebbe pure), ha festeggiato la vittoria in Europa League davanti ai suoi tifosi, prendendo a schiaffi i complottisti, i commentatori sportivi di area romana, convinti che i bergamaschi avrebbero ceduto il passo contribuendo alla qualificazione Champions della Roma. Non si comprendono i motivi per cui l’Atalanta non avrebbe dovuto fare il suo, considerando che tra il quinto e il terzo posto, se non ho letto male, ballano circa cinque milioni di euro. Il definitivo addio alle speranze europee del Toro è arrivato giovedì sera dopo la sconcertante partita della Fiorentina in quel di Atene, in una finale male interpretata, fatta di lanci lunghi, brutta e sporca, che ha consegnato, ai greci la Coppa.

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A questo punto, con la stagione in archivio, ci possiamo concentrare sulla scelta del nuovo corso tecnico. Ne abbiamo già parlato e abbiamo citato i nomi che si leggono su tutti i quotidiani sportivi, nelle tv, sui social. A lui, chiunque sia, va detto grazie ancora prima di cominciare e va fatto un grosso in bocca al lupo. Chiuso il triennio Juric, 1064 giorni sulla panchina del Toro, 122 partite (quinto di sempre per partite giocate) e allenatore tra i più longevi dell’era Cairo (anche questo è un record, secondo dietro a Ventura e davanti a De Biasi), si attendono sviluppi sul nuovo nome del tecnico granata. Sarà interessante capire se la scelta cadrà davvero su Vanoli, tecnico emergente del Venezia, alla prima, eventuale, stagione di A.

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Complici i saluti di Juric sono tornato indietro nel tempo e all'analisi vergata sul mio blog, all'epoca del suo arrivo. Per curiosità sono andato a ripescare quanto avevo scritto tre anni fa, per vedere se era invecchiato peggio di quanto non fossi invecchiato io. "Juric non mi piace e non ne faccio mistero. Non amo i caratteri ruvidi e spesso sopra le righe, non amo l’aggressività e questi temperamenti particolarmente caldi non sono il mio pane. Per questo non ho amato Mihajlovic e parto prevenuto su Juric: questi modi non credo abbiano effetti positivi su squadra e ambiente. Anche le polemiche con la dirigenza, alla lunga, logorano e Juric in passato ha apertamente contestato l’operato della sua ex società". Diciamo che le cose non sembrano cambiate di molto e nonostante tutte le ruvidezze, (fino all’ultimo periodo in cui sono io a non aver compreso lui) devo dire che Juric mi aveva fatto ben sperare. Poi, sovrano, c’è il risultato del campo e soprattutto la squadra del primo anno, mi aveva fatto ricredere. Juric ha dato un’impronta forte alla squadra: recupero alto del pallone, uno contro uno a tutto campo, intensità. Nel primo anno, in casa, la squadra giocava con grandissima forza e spirito garibaldino. Però, la sua esperienza veronese diceva molte cose nemmeno troppo nascoste. La squadra gialloblù era basata sull’organizzazione, sul dinamismo, sull’aggressività, votata al pressing alto ma non mi aveva convinto nella fase offensiva, forse per l’assenza di un centravanti di livello. E anche al Toro, la solfa è stata la medesima, solo che noi, i centravanti di livello, li avevamo basti pensare a Belotti e Zapata, ma anche il Sanabria del secondo anno, ha fatto il suo.

Certo, si possono fare tutte le analisi possibili, ma poi, i numeri sono incontrovertibili e fotografano al meglio l’esperienza e il lavoro di Juric. Il suo Verona aveva ottenuto 10 clean sheets nel 2019/20 e 7 nel 2020/21, il saldo tra i gol segnati e quelli subiti fu 47/51 e 46/48. Al Toro il record è stato sempre positivo 46/41, 42/41 e 36/36 mentre le partite a porta inviolata sono state rispettivamente 4, 11 e 18. In termini di classifica, a Verona fu nono (49 punti) e decimo (45) e al Toro ha fatto copia e incolla: decimo, decimo e nono (50, 53 e 53). L’esasperazione del gioco difensivistico ha portato pochi vantaggi inibendo di fatto la fase offensiva, davvero carente. Questo è stato, sicuramente, il tallone d’Achille del Toro di Juric. Anche l’intensità da sempre propugnata è stata una dei fattori venuti meno, con un calo fisico dei singoli che ha impattato sul collettivo, anche a livello di stress e di infortuni. I dati sulla corsa, altro tratto caratteristico del gioco di Juric, parlano chiaro: il Toro è stata la terzultima squadra di quest’anno con 107.8 km di media, la dodicesima nel 2022/23 con 106.5 di media e la quattordicesima con 106.4 nella prima stagione.

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A Torino, Juric ha dovuto fare di necessità virtù, esattamente come tutti gli altri allenatori del recente passato e molto probabilmente anche a quelli del prossimo futuro. A lui, però, lasciatemi dire, vanno i miei ringraziamenti. Certo, sarebbe stato bellissimo riuscire a fare qualche punto in più, alzare l’asticella, migliorarsi. Ma ci sono i limiti, troppi, di questa rosa e di questa società e pertanto, il mio giudizio deve tenere conto di tutto questo. Juric ha fatto il suo. Ha costruito qualcosa in mezzo a tante difficoltà. Poi, come tutte le storie che si rispettino, qualcosa si è incrinato in maniera definitiva. E allora, meglio chiuderla qua e lasciarsi senza troppi rimpianti per quello che poteva essere e non è stato.

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La qualificazione in Conference sarebbe servita eccome, checchenedicano alcuni. Partecipare ad una coppa europea avrebbe portato una ventata di aria fresca, sarebbe stata un volano. Perché è vero che i risultati latitano e la programmazione va a rilento, ma un’Europa, seppur estemporanea sarebbe stata un gentile cadeaux da prendere al volo. Ma a questa società mancano tante cose per avvicinarsi al plotone delle prime? Secondo me sì, molte di più di quanto non manchino alla squadra. Al nuovo tecnico verranno chiesti nuovamente miracoli, quando sarebbe giusto, fargli fare semplicemente il suo lavoro, allenare? Dal mercato sarà lecito attendersi una mezza rivoluzione? Domande a cui provo a dare qualche risposta.

Io non credo sia corretto sostituire troppi giocatori, mi pare una contraddizione in termini e sinceramente penso sempre che puntellare con pochi innesti di qualità sia meglio di stravolgere radicalmente la squadra. Questa rosa ha prodotto un nono posto, nonostante tutte le difficoltà del caso, le lacune, gli infortuni e la panchina cortissima. Certo è che le cose, almeno numericamente, sembrerebbero differenti. Sono tanti i giocatori in bilico e saranno necessarie diverse valutazioni ma la sensazione è che molto, se non tutto, ruoterà attorno a cessioni più o meno pesanti. Torneranno i peones Seck, Radonjic e Karamoh, si punterà su Gineitis, scadranno i contratti di Lovato, Rodriguez e Djidji, sarà necessario rifondare il reparto portieri, trovare soluzioni offensive alternative a quelle in prestito, Okereke, o quelle che non hanno convinto come Pellegri. Per chiudere, diciamo che credo sia lecito attendersi molto dall’accordo con l’agenzia di scouting gestita da Pecini. Buon lavoro a chi si prenderà tutte queste brighe.

Il rischio nemmeno troppo improbabile è che il nuovo allenatore dovrà fare del suo meglio con l’ennesima rosa incompleta. Anche per questo motivo, dico che il nome del tecnico ha un peso specifico non indifferente anche in ottica mercato. Inoltre, le vie del calciomercato sono infinite e sognare non costa nulla. Si può fare praticamente tutto, basta volerlo. E si può farlo anche a costi ridotti, con le idee, come insegnano i tanti esempi in giro per l’Italia e per l’Europa. Sognare continuiamo a farlo da anni, adesso però svegliateci che magari si combina qualcosa di buono. Ps. Grazie lo stesso Mister Juric, peccato per il finale davvero deludente. 

Ad un anno campione d’Italia, cresciuto a pane e racconti di Invincibili e Tremendisti. Laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Ho vissuto Bilbao e Licata e così, su due piedi, rivivrei volentieri solo la prima. Se rinascessi vorrei la voleé di McEnroe, il cappotto di Bogart e la fantasia di Ljajic. Ché non si sa mai.

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