Ci risiamo. Giusto per non farsi mancare nulla il calcio italiano si regala un'altra (l'ennesima) estate sotto la lente di ingrandimento delle autorità giudiziarie. Non si fa a tempo ad uscire da Scommessopoli, i cui ultimi filoni d'inchiesta sono ancora in pieno svolgimento e che, per inciso, per il Toro pesano come una spada di Damocle visto il coinvolgimento di tre giocatori che di fatto formano la spina dorsale della squadra di Ventura (Gillet, Gazzi, Barreto), che la Guardia di Finanza fa un blitz nelle sedi di 41 società professionistiche per acquisire documentazione relativa ai contratti di molti calciatori. L'incredibile della vicenda è che sono coinvolte tutte le squadre di serie A tranne due. Non vi nascondo che nell'apprendere la notizia alla radio quei pochi secondi prima di sapere quali fossero le due società (per ora) estranee alle perquisizioni mi hanno fatto sperare con tutte le mie forze che una delle due fosse il Torino. Speranza vana visto che si tratta di Bologna e Cagliari. Premesso che nonostante le ipotesi di reato preconfigurate dai pm che hanno avviato l'inchiesta siano abbastanza pesanti (associazione a delinquere, evasione fiscale, falso, illecita intermediazione, falsa fatturazione, ecc.), sempre di ipotesi si tratta e pertanto nulla si può ancora dire sulla condotta delle società visitate dai militari. Fra le quali appunto il Torino. Fa però male sapere che il Torino, dalla maggior parte di noi tifosi percepito come un' entità quasi astratta o, per usare un aggettivo più banale, "diversa" dagli altri club, in realtà rientri molto più prosaicamente nel calderone del "così fan tutti". Al bando l'ingenuità: è chiaro che se il Toro vuole comprare un calciatore che è legato ad un certo procuratore o ad una società che "impone" nella vendita una "consuetudine" più o meno accettata da tutti all'interno di quel mercato, diventa difficile ergersi a paladini dell'onestà a meno di comprare solo all'estero (e anche qui è tutto da dimostrare quanto chiare e "pulite" siano le transazioni visto ciò che accade di prassi coi giocatori sudamericani, per esempio) o di puntare su quei pochi calciatori al di fuori di certi giri. Lungi da me difendere chi fa il maneggione o giustificare chi si piega a certe cose in nome del tanto in voga in Italia "così fan tutti", ma all'atto pratico o ti allevi i propri calciatori crescendoli nel vivaio (e al tifoso del Toro la cosa non dispiacerebbe affatto) senza quindi obbligo di ricorrere al mercato (ma rasentiamo l'utopia) o trovi solo "peones" dalle serie minori e non è detto che resti esente da un certo marciume visto quello che accade anche in Lega Pro. Se non fossi certo che il nostro Manolo Chirico non ha “talpe” nelle Fiamme Gialle, direi che nel suo pezzo dal titolo ha di fatto anticipato una parte dei temi dell'inchiesta già ribattezzata dai giornali “Contrattopoli”. Le famigerate comproprietà che, ricordiamolo, sono una distorsione tutta e solo italiana, oltre a fare mercato senza muovere soldi contanti, sono anche un buon modo per complicare le situazioni contrattuali e patrimoniali e rendere quindi più facile l'utilizzo di quei giochetti di bilancio tanto amati dalle società italiane per mascherare i risultati economici delle società stesse. Un giocatore che oggi vale 10 domani può valere 15 o 5 ma se è in comproprietà ecco che tutto si complica o, ribaltandone l'ottica con malizia, tutto può essere usato a vantaggio dei bilanci delle società coinvolte. E in questo quadro già di per sé desolante perchè va anche a inficiare il lato sportivo della vicenda (va bene il professionismo ma come si può pretendere lealtà totale da chi magari è in comproprietà tra due squadre e gioca in prestito in una terza ancora...?), ecco che i procuratori ed i vari intermediari sguazzano allegramente in questo continuo valzer di maglie e di contratti. Come al solito sarebbe da ingenui pensare che solo queste figure siano il male del calcio, ma dopo Calciopoli ed i processi a Moggi e alla Gea, cosa si è fatto per limitare la sfera di influenza dei procuratori sul mondo del calcio? Cosa si è fatto per dare un senso ai contratti dei calciatori che invece paiono valere meno della carta su cui sono stampati? Nulla mi verrebbe da dire. Anzi, col fatto che un calciatore può svincolarsi praticamente sei mesi prima della scadenza del proprio contratto, le società sono “costrette” a vendere un anno prima i giocatori con i quali non riescono a rinnovare l'accordo in essere (vedi il caso D'Ambrosio per restare in casa granata). Purtroppo il problema non è solo del calcio ma riguarda il Paese intero: un Paese in cui da vent'anni non si riescono a definire regole che valgano indistintamente per tutti e che non riesce ad acquistare credibilità proprio a causa della mancanza di certezza giuridica. E così il calcio ha seguito l'andazzo del Paese e in tanti casi ne ha anticipato il malcostume. Ora questa “Contrattopoli”: la solita bolla di sapone in cui a pagare saranno i soliti “pesci piccoli” o un'inchiesta seria capace di dare una svolta al calcio italiano? Spiace solo vedere (ma a che titolo è ancora tutto da scoprire) un Torino tirato in ballo. Se è vera l'indiscrezione secondo la quale centrerebbe il contratto di Pellicori, mi chiedo quanti danni continuerà ancora a fare questo infausto personaggio dopo quelli in campo e il punto di penalizzazione dell'anno scorso. Che serva da monito per il futuro: quell'anno poteva essere Comi il quarto attaccante ed invece si prese quest'impresentabile. Credere nel vivaio vuol dire evitare anche cose come questa. Ma purtroppo gli ideali non fanno fare affari. E noi che pensavamo di essere “diversi”... Alessandro CostantinoSegui @alecostantino74
columnist
Contrattopoli e l’illusione di un calcio diverso
Ci risiamo. Giusto per non farsi mancare nulla il calcio italiano si regala un'altra (l'ennesima) estate sotto la lente di ingrandimento delle autorità giudiziarie. Non si fa a tempo ad uscire da Scommessopoli, i cui ultimi filoni...
© RIPRODUZIONE RISERVATA