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Cos’è la marcia dei cinquantamila

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Nel segno del Toro / Torna l'appuntamento con la rubrica di Stefano Budicin: "Torino è uno show di vessilli, striscioni e bandiere granata, una gigantesca parata di adoratori che si addentrano nel cuore della città per rivendicare la propria...
Stefano Budicin

A sentir parlare della cifra verrebbe quasi da spaventarsi. Cinquantamila persone è un numero abbastanza alto da poterlo accostare alle falangi di un esercito. Eppure, durante la marcia su Torino non ci fu nessun cenno di violenza, nessuno smottamento, nessun tipo di tensione; niente di cui preoccuparsi, insomma. Reduci da una disfatta della loro squadra del cuore sul campo da gioco, i manifestanti erano intenti a ostentare ben altro che un semplice desiderio di distruzione. E fu subito storia. 

Il 4 maggio 2003 capitò ai torinesi di assistere a uno spettacolo curioso e inusuale. Un corteo trionfale che sfreccia tra le strade cittadine e passa accanto a tutti i luoghi simbolici più importanti del capoluogo piemontese. Torino è uno show di vessilli, striscioni e bandiere granata, una gigantesca parata di adoratori che si addentrano nel cuore della città per rivendicare la propria fierezza, il proprio orgoglio indomito e ardente.

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Ma quali sono le ragioni che hanno portato così tanti tifosi a manifestare? Bisogna fare un passo indietro e ritornare alla sera prima, allorché il Torino è impegnato a giocare contro l'Udinese. La partita si conclude con un 0-1 per i friulani. La sconfitta, diciannovesima in quella stagione, restituisce i granata ai lugubri suoni cavernosi della serie B. E il popolo non ci sta. Il giorno dell'anniversario della tragedia del Grande Torino, la città è invasa da orde di tifosi che sfilano a testa alta per lamentare la caduta dei loro eroi e al tempo stesso ricordare alla città che il Toro non si lascia abbattere da nulla. 

L'ideatore della marcia è il giornalista Massimo Gramellini, fervido tifoso del Toro da prima che imparasse a battere a macchina. E tra i partecipanti figura anche Piero Chiambretti, che per l'occasione avrà da dichiarare "Quella del Toro è una grande tifoseria per una piccola società. (...) Qualunque altra piazza avrebbe accolto la retrocessione con pianti e disperazione, noi invece siamo qui, certamente non felici, ma orgogliosi di essere tifosi del Toro".  

La manifestazione dura un giorno, da mane a sera, ed è di natura pacifica, come da abitudine. Ma nonostante i toni tolstojani della stessa, non manca, da parte dei tifosi, l'impegno a ribadire, tra cori e striscioni e coreografie mezzo improvvisate, tutto lo sdegno da loro provato nei riguardi di una dirigenza sportiva manchevole e fallimentare. Lo scopo della protesta, in altre parole, mira a scuotere le coscienze di quelle figure che, pur millantando un amore viscerale nei confronti del toro rampante, hanno fallito in tutto il resto, rendendosi responsabili della retrocessione della squadra senza avere il coraggio civile di fare mea culpa e provvedere a pensare a una soluzione d'impatto. 

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Bersagli privilegiati della contestazione sono Francesco Cimminelli, all’epoca proprietario del Torino, nonché Attilio Romero, presidente della società fino al 2005. Il senso della marcia è unilaterale: bisogna investire nella squadra e riportarla nell’olimpo delle divinità calcistiche. Non ci sono più scuse. I tifosi sono stanchi di vedere il simbolo del Toro farsi calpestare in così tante occasioni diverse. Gli anni d’oro del Grande Torino sono lontani, e del tremendismo granata non v’è più traccia. Che fare allora? Predare e razziare la città con i forconi e le torce come ai tempi di Frankenstein o mostrare il proprio autentico e feroce disappunto manifestando in maniera pacifica ma tenace? Vada per la seconda. Ed è quello che la marcia dei 50mila restituirà agli occhi dei media stranieri: laddove il tifo sia vero e autentico a tal punto che nessun tipo di calamità sia capace di alterarlo o intaccarlo, i miracoli si compiono e le cose si cambiano davvero. E se le cose non si cambiano resta tuttavia inalterata la scorza dei tifosi torinisti, la volontà dei vinti di rifiutare un simile appellativo e rimarcare il proprio valore da combattenti, non importa quanto gravi siano le avversità che si prospettano all’orizzonte.

Il luogo della partenza del corteo non poteva che essere lo stadio Filadelfia. E il passaggio accanto al cippo del compianto Gigi Meroni una tappa obbligata. La marcia trova il suo culmine in piazza San Carlo, dove l’orgoglio di tifare Toro viene urlato da gente di ogni età e classe sociale, a riprova che neanche i momenti più bui riescono a corrompere la tifoseria della nostra squadra, il cui stemma ricalca appieno il motto sedimentato nel subconscio di ciascuno dei suoi appassionati: forza vecchio cuore granata, pioggia o vento o catastrofi telluriche noi saremo sempre insieme a te. 

Laureato in Lingue Straniere, scrivo dall’età di undici anni. Adoro viaggiare e ricercare l’eccellenza nelle cose di tutti i giorni. Capricorno ascendente Toro, calmo e paziente e orientato all’ottimismo, scrivo nel segno di una curiosità che non conosce confini.

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