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Meroni e Combin
Quello che succede la sera del 15 ottobre 1967 è storia tragica di cui chi c’era ha memoria e chi non era nato ha contezza: la carambola automobilistica di cui è vittima Gigi Meroni mentre attraversa corso Re Umberto, la corsa disperata al Mauriziano, gli inutili tentativi di salvarlo, l’urlo della sua Cristiana alla notizia che la Farfalla Granata non avrebbe più volato sui campi di calcio e come aveva fatto solo poche ore prima dando spettacolo durante lo spettacolare 4-2 rifilato alla Sampdoria e, soprattutto, sulle strade della vita. Sembra impossibile che ora il corpo di Gigi sia adagiato su un lettino con la divisa sociale granata e la testa fasciata mentre Ferrini piange a dirotto vicino a lui come si vede nella fotografia che appare in prima pagina su Stampa Sera. Invece è tutto vero.
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Una pioggia di lacrime scende nuovamente sulla Torino granata, mentre all’orizzonte sta arrivando la domenica di campionato che non prevede una sfida qualunque, bensì il derby contro la Juventus. C’è chi, sulla carta stampata, ipotizza timidamente il rinvio, ma il Toro non lo chiede. Così mentre l’Inter offre ai granata Ferruccio Mazzola, ma ci vorrebbe una deroga, e la città si prepara per i funerali ci si inizia a chiedere chi giocherà con la maglia numero sette contro i bianconeri. Sin da metà settimana il nome è uno: Alberto Carelli da Locate di Triulzi, provincia di Milano, classe 1944. Si sta facendo largo in granata dopo qualche stagione con poche presenze fra Torino e Catania, ma mai si sarebbe aspettato di indossare quella maglia e in quelle circostanze. Un buon giocatore che si ritrova sulle spalle il Mito dopo aver portato l’undici nella vittoria bella e maledetta contro la Sampdoria.
Nel clima triste con cui ci si avvicina alla stracittadina il Toro cerca di recuperare Poletti, presente la sera del tragico incidente dell’amico Meroni e colpito a una gamba, e rischia di perdere il centravanti Nestor Combin detto la Foudre, la folgore. L’attaccante franco-argentino viene colpito da una forte febbre e potrebbe essere anche a causa delle grosse emozioni vissute in settimana per la perdita del compagno di squadra e amico. Doveva esserci anche lui con Gigi e Poletti quella sera, ma preferì andare a casa perché stanco dopo aver piazzato una tripletta contro la Samp. Un’immagine storica vede Nestor chinarsi sulla Farfalla senza vita nella camera ardente come per fargli una promessa e una promessa così si mantiene, non c’è febbre che tenga.
Edmondo Fabbri deve rinunciare soltanto a Bolchi e Cereser schierando Vieri, Poletti, Fossati, Puia, Trebbi, Agroppi, Carelli, capitan Ferrini, Combin, Moschino e Facchin. Per il calendario si gioca “in casa” dei bianconeri che in classifica precedono di un solo punto i granata i quali, in campionato, non vincono dal 1963 con rete di Carlo Crippa. Il clima sugli spalti è commovente con un nodo in gola che non si scioglie da parte della curva Maratona, ma anche nel settore dirimpetto non si scherza. Un cuscino di fiori viene calato sul campo e un “Gigi Gigi”, che come fa notare Marco Cassardo in “Belli e dannati”, si aggancia a quel “Toro Toro” nella prima partita dopo Superga squarcia l’aria dopo il minuto di silenzio.
Il Toro parte fortissimo. Nestor Combin aveva già i suoi motivi per fare bene, la rivincita contro l’ex tecnico Heriberto Herrera, ma adesso conta solo onorare Meroni, la promessa fattagli ridendo dopo Toro-Samp e piangendo a tragedia consumata. Dopo soli 3’ i granata conquistano un calcio di punizione per un fallo di mano proprio al limite dell’area. Il numero nove granata prende la rincorsa e lascia partire un potente rasoterra che picchia sulla linea dell’area piccolo e si alza leggermente scavalcando la mano del portiere Colombo. La “Foudre” sullo slancio si fionda sotto la Maratona festante.
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Passano 4’ e il demone che si è impossessato delle gambe di Combin gli fa scaricare un destro da venticinque metri che prende una parabola maligna e lascia interdetto Colombo quasi incerto su come buttarsi per rimediare al siluro del futuro milanista. Dopo 7’ il Toro conduce il derby per due reti a zero contro una squadra che sin lì aveva solamente subito una rete dal Mantova su calcio di rigore. Ancora una volta si va sotto la curva Maratona per esultare. La partita è già indirizzata. La Juventus si scuote e prova a prendere il possesso del gioco, ma il Toro è un muro che blocca ogni tentativo con un’attenzione meticolosa. Dopo aver battuto più volte la testa sulla compattezza avversaria, la compagine bianconera rischia di prendere la terza rete col solito Combin lanciato da Carelli, ma per il momento si salva e si va a riposo sul 2-0.
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Gigi Simoni, maglia bianconera ma granata nell’animo, potrebbe riaprire la contesa in avvio di ripresa, ma il pallone viene salvato sulla linea. Il Toro decide di chiudere la partita allo scoccare dell’ora di gioco: verticalizzazione sublime di Moschino su cui Combin si fionda assatanato, brucia Salvadore e insacca il 3-0 con un secco diagonale rasoterra. A questo punto finisce la partita e inizia la mistica, perché più di sessantamila persone stanno per vedere una rete segnata non solo dal giocatore, ma dalla maglia che stava indossando. La maglia numero sette.
Al 67’ Carelli viene lanciato in profondità e Leoncini lo affronta con vigore, forse commettendo fallo, ma l’ala non cade perché il forte centrocampista bianconero si sta scontrando con due persone. Quella in carne e ossa che sta portando avanti la palla e quella in spirito che ha voluto rimanere intrisa nel tessuto della maglia numero sette per darci l’ultimo saluto. Giunto in area Carelli scocca un esterno destro potentissimo che non lascia scampo al frastornato Colombo che si è visto davvero arrivare troppo Toro da ogni parte. 4-0, ha segnato Alberto Carelli con la maglia numero sette. Il Toro non segnava quattro reti in una partita ai bianconeri dal 1957, da qui in poi si fermerà al massimo a tre. L’autore della rete recupera il pallone in porta e corre verso il centro del campo portandolo in alto come per consegnarlo idealmente a chi non c’è più.
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Troppo facile cercare in quello che è accaduto legami con la tragedia della domenica prima, ma a sentire i calciatori è andata proprio così. “Il pizzico in più” che Pianelli ha chiesto a ognuno per compensare la scomparsa di Meroni, la rabbia che montava durante la settimana in cui gli allenamenti furono impostati come più blandi ma affrontati con uno spirito tremendo di cui parlano Fossati e Lido Vieri, tutto ha contribuito a creare un Toro ferito così nel profondo da essere indomabile. Alla fine della partita i sorrisi si mischiano alle lacrime di un popolo che crolla di dolore, ma non si spezza.
Nell’estate 1995 il campionato di serie A adotta per la prima volta i numeri fissi e il Toro organizza una sorta di asta per aggiudicarseli. Ruggiero Rizzitelli, reduce dalla stagione più prolifica della sua carriera, ha indossato la sette l’anno precedente e riesce a ottenerla e non solo perché era già stata sua, ma perché sa cosa vuol dire nella storia granata scendere in campo con la maglia numero sette.
200 puntate di Culto è un gran bel traguardo, ma non finisce qui. Ci sono ancora tante storie da raccontare che siano piccoli o grandi, che siano miserie o nobiltà c’è tantissimo da riportare alla luce o anche solo da lucidare un po’ per togliere la patina di polvere su un ricordo. Grazie per avermi seguito fin qua, spero continuiate ad avere voglia di farlo.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (0 meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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