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Mago Abedi

Francesco Bugnone
Francesco Bugnone Columnist 
Culto / Torna la rubrica di Francesco Bugnone: "Abedi l’ho scoperto prima di tanti altri, ma per puro caso"

Abedi Ayew detto Pelè. Un soprannome da poco, robetta. Un soprannome che sembra fatto apposta per farsi prendere in giro. “E’ arrivato Pelè ah ah ah”. E invece no, Abedi non sarà certo al livello di O Rey, ma non farà ridere nessuno o, almeno, nessun avversario, visto che vincerà tre palloni d’oro africani e il Pelè originale lo inserirà nei cento giocatori più forti di sempre. Sorriderà molto chi ce lo avrà in squadra, vedendo le sue magie, le sue serpentine, i suoi gol. E per una stagione intera abbiamo riso anche noi.

Abedi l’ho scoperto prima di tanti altri, ma per puro caso. Alla vigilia di Ferragosto 1990, guardavo una partita del Trofeo del Mediterraneo fra Genoa e Olympique Marsiglia con una certa partecipazione (eufemismo per dire “inspiegabilmente teso”), perché da quel risultavo sarebbe dipesa la vittoria del Toro in quel torneo con l’assurda formula del quadrangolare in cui si incontrano solo due avversarie e non tre (spoiler: lo vincemmo e mi dà ancora un’inspiegabile soddisfazione pensarci). Finirà 3-3 con doppietta di Skuhravy e rete di Aguilera, mentre Pelè segnerà il gol del provvisorio 3-2 per la squadra del presidente Tapie. Finta a dribblare Piotti su assist di Waddle e rete a porta vuota, un gran gol. Quando in primavera il Milan pescò proprio l’OM in Coppa dei Campioni, sapevo già cosa avrebbe potuto fare sia Abedi sia quella squadra dal talento debordante che solo le trappole della Stella Rossa per trascinarla ai rigori avrebbero potuto fermare. Il Milan andrà a casa e per quei giochi del destino che ci fanno impazzire, proprio la squalifica rossonera per il famoso riflettore spento al Velodrome libererà un posto per l’Europa che Toro e Parma sfrutterà a dovere. Pelè aveva già cominciato, indirettamente, a farci sorridere.

Il Milan, invece, continuerà a non farlo, quando incrocerà i guantoni contro i francesi, come la sera del 26 maggio 1993, finale di Coppa dei Campioni. Il piede di Abedi, dalla bandierina, fa partire la parabola che la testa di Boli metterà in rete. Stavolta sì, Marsiglia campione d’Europa, anche se lo scandalo della partita comprata contro il Valenciennes sancirà la fine dei sogni di una squadra incredibile, che per due volte stava per comprare Maradona (e chissà che bello avere Maradona e un Pelè in squadra): retrocessione, squalifica dalle coppe, niente Intercontinentale o Supercoppa Europea. Abedi si accasa al Lione e, l’estate successiva, entriamo in gioco noi.

Nell’estate 1994 Calleri smantella il Toro vendendo, svendendo e comprando. Tra alcune operazioni discutibili e ottime intuizioni dalle categorie inferiori (Pessotto e Cristallini), arrivano anche alcuni giocatori letteralmente magnifici come Angloma, Rizzitelli e, appunto, Abedi Pelè che nella prima conferenza stampa, accompagnata dagli annosi dubbi sulla sua vera età, perché quando prendiamo noi uno forte bisogna sempre spaccare il capello in ottantaquattromila, ci dev’essere sempre qualcosa dietro (due anni vennero aggiunti per poter lasciare l’Africa quando non aveva ancora diciotto anni, secondo la versione ufficiale, e questo dovrebbe spiegare perché in alcuni documenti risulta nato nel 1962 e non nel 1964), promette di segnare e far segnare. Cose che si dicono. Cose che farà.

Il 27 luglio Abedi decide di fare andare fuori giri i giornalisti in tribuna durante l’amichevole con Bolzano grazie a una rete segnata con una rovesciata fantastica, su un pallone altissimo, che realizza il sogno bagnato di ogni titolista: paragonare il gesto atletico di Abedi con il gol di “O Rey” in “Fuga per la vittoria”. Pelè non è solo rovesciate però, anzi, in campionato non lo sarà affatto (un tentativo contro il Padova al terzo turno finirà decisamente sopra la traversa, per dirne una). Pelè è tante cose: un giocatore che sa sacrificarsi così come sa fare gli assist e i gol, la cui tecnica non è mai il colpo fine a se stesso, ma è sempre indiscutibilmente utile. Lo dimostra alla sesta giornata, per esempio, quando nella gara interna contro la Roma, in posticipo serale, caracolla a centrocampo fra due avversari e, improvvisamente, con una carezza di sinistro, trova il corridoio giusto per mettere in porta Rizzitelli che realizza con un forte destro.

Una settimana dopo Pelè troverà le sue prime gioie in serie A. Quella contro il Brescia, che deve ancora sbracare, ma è già conscio di essere messo malissimo e terribilmente bisognoso di punti, è una gara tignosa. Il primo tempo si chiude a reti inviolate, ma nel secondo arrivano le magie di Abedi. Al 58’ Sinigaglia, da destra, pesca in area Silenzi che viene stoppato da Baronchelli. La palla vola per aria e Abedi la scaraventa in rete con un sinistro volante, apparendo quasi dal nulla. Proprio come fanno i maghi. Il secondo centro arriva a meno di15’ dal termine: Sinigaglia, che sta giocando forse la sua miglior gara in granata, vola a destra, Battistini respinge il suo traversone e il numero dieci, dal limite, controlla e insacca con una rasoiata di sinistro. Salti verso i tifosi, abbraccio a Sonetti al ritorno a centrocampo, tutto molto bello.

Pelè ci prende gusto: a Marassi, contro la Samp, sprinta a sinistra su Rossi e serve il pallone dell’unico gol in granata di Osio. A Napoli lancia Angloma che trova il provvisorio vantaggio, complice anche un erroraccio di Taglialatela. Contro il Bari, reduce da tre vittorie consecutive, è letteralmente incontenibile. Profetizza una sua rete e, cosa più importante, la segna al 17’ con un gran sinistro dal limite a sbloccare il risultato. Il resto della partita lo passa a fare impazzire i giocatori biancorossi, alternando rientri da gregario e magie da prestigiatore. I galletti non lo prendono mai e allora lo legnano, con Montanari che si guadagna anche un rosso con un’intervento bruttissimo, ma non c’è nulla da fare. La testa gira talmente tanto che più di ventiquattr’ore dopo, al Processo del Lunedì, Bigica si lamenterà ancora di come il ghanese li abbia fatti ammattire. Negli spogliatoi, dopo il 2-0 di Silenzi allo scadere, anche una signorile dedica a Rampanti, primo tecnico della stagione, e il giorno dopo La Stampa giustamente titola “Mago Abedi fa sparire il Bari”.

Nemmeno il ghiaccio ferma il ghanese. Contro la Fiorentina, su un campo da Holidays on Ice, Pelè dimostra di sapere anche pattinare: rischia di segnare con una parabola a rientrare dalla linea di fondo, ma colpisce la parte alta della traversa, poi nella ripresa chiama Toldo a un altro difficile intervento, il resto della gara, vinta 1-0, è il solito turbinare ovunque. Le magie continuano anche nel derby vinto 3-2 contro la Juventus di Lippi con un primo tempo in cui ipnotizza Conte e Sousa e una ripresa di sacrificio. Il gol ritorna alla seconda di ritorno contro la Lazio, in una delle migliori partite del Toro sonettiano. L’intesa d’oro con Angloma porta Abedi alla rete d’opportunismo sull’assist rasoterra del compagno. Il livello ormai è tale che, anche quando siamo pessimi come nel turno successivo a Padova, dove perdiamo 4-2, il ghanese è da sette in pagella e su punizione fa un incantesimo a Bonaiuti che battezza fuori la palla che, invece, entra a fil di palo. Più allegra la circostanza in cui trova il sesto centro stagionale: nel 4-1 a Brescia apre le marcature rubando palla a Giunta e dribblando Ballotta. Il confronto tra l’eleganza nel gesto del Mago e la goffaggine del portiere che prova a fermarlo è impietoso. Entrare nelle successive due marcature è solo l’antipasto al turno successivo, dove il nostro toccherà, forse, il suo zenit.

Il Toro ospita il Cagliari di Tabarez in una domenica di primavera che è un antipasto di estate. Manca meno di un quarto d’ora alla fine, è durissima, perché i sardi sono avanti 2-1 grazie a una doppietta di Muzzi (un colpo di testa dopo pochi minuti, un inserimento su geniale tocco di Oliveira con la difesa granata quanto meno distratta a metà ripresa) inframezzata dal temporaneo pareggio a fine primo di Rizzitelli, autore di un meraviglioso pallonetto volante. E’ durissima, perché sembra che pronunciare due paroline (“zona Uefa”) abbia portato i granata troppo vicino al sole e, come Icaro, il forte caldo del pomeriggio stia sciogliendo le loro ali di cera. Quando il Toro  tocca la terra, però, può fare una cosa che non poteva fare mentre volava: caricare. E lo fa, col cuore e con la classe. Pelè, ai venti metri, vede Rizzitelli al limite dell’area, lo serve d’esterno e sa già cosa fare, sa che anche Rizzi può essere magico, quindi scatta. Il numero sette, di tacco, parla la lingua del ghanese, taglia fuori tutta la difesa isolana e Abedi è solo davanti al portiere. Il diagonale rasoterra mancino non può che essere vincente. Un paio di minuti e c’è una punizione dalla destra che Osio batte in area con una soffice pennellata, Pelle è il più piccolino, ma ha piegato gli eventi al suo volere e la sfera gli arriva perfettamente sulla testa. Anche qui mettere dentro è mera conseguenza. Il Toro può continuare a sognare e sogna ancora di più quando sconfigge la Juventus nel secondo derby stagionale.

Poi, all’improvviso, tiriamo il fiato. Ci sta, il Toro ha giocato una stagione forse al di sopra delle sue possibilità. Da qui alla fine pareggi interni e qualche dolorosa sconfitta. Le ultime due prodezze di Pelè sono nell’ultima gara interna contro la Reggiana, un 4-0 da arrivederci all’anno prossimo: un colpo di testa in tuffo su centro di Scienza e un morbido sinistro da centro area. L’anno dopo, però, non va come deve né per il Toro né per Pelè. Assenze prolungate per guai fisici e coppa d’Africa lo portano a giocare diciotto partite in tutto, con tre reti, e a essere davvero lui solo nella prima parte dell’era Scoglio. Retrocediamo, il Mago se ne va, non accetta la serie cadetta con qualche dichiarazione non particolarmente elegante e si accasa al Monaco 1860. A Torino tornerà il giorno della festa del Centenario, felice di esserci, perché ci ha voluto bene come gliene abbiamo voluto noi, come gliene voleva Sonetti che a volte si fermava proprio per vedere cose combinasse in allenamento. D’altronde non si può non voler bene a un mago buono.

Ps ho citato Maradona nel pezzo, scritto poche ora prima di sapere della terribile notizia, per quei casi del destino che non hanno nessun senso, se non quello che gli diamo noi. Vorrei dire tante cose, ma non so che cosa dire se non che era il più grande, se non che era più di un giocatore, con quel sinistro infinito. Spesso lo abbiamo affrontato col vestito buono, con Dossena, Junior, Kieft, Poster, Lentini e, al di là dei risultati, è bello che ci abbia visto così belli. Perché lui, calcisticamente, era bellissimo. Mancherà in modo assurdo.

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