L’articolo su Ferrante andava scritto da tempo, il problema era cosa scrivere. Fare una classifica dei suoi gol più belli al Toro era impossibile, perché di alcuni stupendi, ma con la sola colpa di essere segnati tra i cadetti, non c’è traccia su YouTube e, per rispetto a quelle prodezze balistiche, non potevo permettermi di appellarmi alla semplice memoria. Allora ho pensato di fare un suo profilo, ma, sarà stato per il bene che gli ho voluto negli anni di transizione fra adolescenza e principi di maturità, continuavo a rinviare, timoroso di mettere nero su bianco cosa sia stato per noi. Poi è capitata una cosa semplice, un compleanno, il suo. Venerdì 4 febbraio Marco nostro ha compiuto 50 anni, cifra tonda che non si può ignorare e allora così sia, con tante schegge dei suoi anni al Toro e non solo, che non hanno la pretesa di essere esaustive, ma di tracciare una storia sentimentale sì. Prima di partire, soltanto due parole sul titolo. “50 Special” non è il genere di canzone che ascoltavo ai tempi, preferivo e preferisco altri generi, ma quando si andava a ballare nelle discoteche rock come l’Hiroshima o il Barrumba, a fine anni ’90 o inizio 2000, la mettevano sempre, tra un “Killing in the name of” dei Rage Against The Machine o un pezzo degli Offspring e la gente ballava felice. Un corpo estraneo che funzionava bene. Ecco, Ferrante quando è arrivato al Toro si è ritrovato in un mondo di compagni di squadra che dava spesso del voi al pallone, mentre lui gli dava spregiudicatamente del tu. Anche lui è stato qualcosa di diverso che ha iniziato a fare funzionare il resto che, progressivamente, è cresciuto e migliorato intorno a sé.
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Il primo contatto con Marco è il quattro giugno 1991, veste la maglia del Pisa nella finale di Mitropa Cup. Scherzo del destino che ci veda alzare il fin qui unico trofeo europeo ufficiale della nostra storia. “Guarda che gol ha fatto in Cesena-Pisa” mi scrive Fabrizio, mio amico di penna elettronica. YouTube aiuta: è una partita dal forte interesse per il feticismo granata visto che l’ex primavera Gallaccio avvia l’azione della rete di Ferrante e che sarà Lerda ad accorciare le distanze su rigore per i romagnoli. Ferrante riceve palla in area in avvio, spalle alla porta, defilato, il difensore addosso. Sul controllo la palla si alza, il resto è una rovesciata incredibile. Un gol da fenomeno. Marco arriva Torino alla fine dell’estate 1996 in un clima triste come solo quel Toro di Sandreani sa essere. Arriva in sordina, una sola stagione in doppia cifra (13 reti) non ci scuote. Quanto ci sbaglieremo. Indossa la numero venticinque. Alla seconda una traversa contro il Venezia, alla terza un palo contro il Bari, entrambi legni di testa. Potrebbero essere quattro punti in più e due gol, non sono niente tranne il capire dove si è finiti. Il primo centro si fa aspettare tanto. Arriva in mischia su angolo contro il Castel di Sangro, nella partita prima di Natale, surreale, col pubblico, esasperato dal brutto avvio stagionale, che fischia i nostri e applaude i loro ignaro di quanto ci costeranno quei loro per due anni di fila. Una rete che passa quasi inosservata, quindi. Non passa inosservato quello che combina Ferrante il cinque gennaio 1997 alla Reggina. Quattro gol tutti in una volta, spietato, due di sinistro, uno di testa, uno di destro. La Stampa gli da nove. Lui è felice e scherza “Forse era meglio tenerne uno per Lucca”.
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A Lucca segna lo stesso. Il Torino è nel suo unico periodo d’oro stagionale, cinque vittorie di fila in cui ci mette sempre la firma. Nel 4-2 al Lecce capolista sblocca il risultato quando, spalle alla porta al limite dell’area, si gira e supera Lorieri con un rasoterra mancino che oggi chiameremo chirurgico. A Ravenna tocca a uno splendido pallonetto farci godere. Toro secondo al giro di boa. Ritorno amaro, il Toro si perde tra cambi societari, rosa deboluccia e cali di prestazione, Ferrante rallenta, ma comunque la butta dentro, tra i pochi a salvarsi. Un altro suo pallonetto, con la Lucchese in casa, è così bello che fa male che gli esca fuori in una gara che non conta più nulla e in cui non arriva neanche la misera soddisfazione dei tre punti, visto che ci rimontano due gol. Le reti a fine anno sono tredici: record eguagliato. Stagione nuova, nuove speranze, torna Lentini, Ferrante si cala sulle spalle un più adatto nove. Stagione nuova, nuove speranze, ma con Souness si arranca. Una sera di Coppa Italia contro la Samp ci fa respirare l’aria di quella serie A che non c’è più e la doppietta di Marco (gran girata al volo il secondo) ci fa sognare, per una sera, che lì ci potremmo anche stare. Il ritorno è un sinistro presagio. Marco segna ancora, ma una tripletta di Tovalieri annulla il 2-1 dell’andata. Quel Tovalieri che di lì a qualche mese andrà a Perugia. Arriva Reja, si risale dai bassifondi e sono proprio le reti di Ferrante a riportarci su passo dopo passo, una più preziosa dell’altra. L’abbraccio a Edi dopo il provvisorio 2-1 alla Reggina fuori casa è un’istantanea che rimane. Ferrante segna in ogni modo, il Toro a volte spreca le sue gemme facendosi rimontare due gol a Genova e a Cagliari dove Marco raddoppia con una punizione capolavoro. Ecco, le punizioni. Sarà stato lo spiare quelle di Maradona quand’era al Napoli, ma le tira da Dio.
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A Reggio Emilia, in uno stadio che sembra il Filadelfia che sogniamo, Ferrante parte in contropiede al 52’, si fa tutto la metà campo avversaria e segna il gol vittoria. A tre turni dalla fine la A sembra cosa fatta. Il sorriso di Marco nelle interviste è di chi ha fatto qualcosa di decisivo, ringrazia i tifosi (“Anche sul Filadelfia avranno sempre ragione loro”), sembra il momento tanto atteso. A un turno dalla fine è tutto rovinato, succedono cose che non voglio ricordare. Ferrante ci dà la stanca illusione della promozione diretta per una quarantina di minuti quando, su cross di Lentini, controlla di sinistro e scarica nel sacco di destro. Un gol che dovrebbe valere la A, non uno spareggio. Reggio Emilia stavolta è un inferno, col Toro in dieci da subito e non si sa ancora adesso perché, sullo 0-0 Marco ne sbaglia uno non da lui, sullo 0-1 ne sbaglia un altro non da lui, ma poi torna lui deviando in porta di testa la porta di Bonomi e poi facendosi tutto il campo per venire sotto di noi. Nella lotteria dei rigori la sbatte dentro. Diciotto gol più uno, record personale battuto, grandissima stagione, ma non è servito. 98/99, torna il Mondo, arriva Artistico, dubbi sul doppio centravanti, come si integreranno due prime punte? “Davanti alla porta non se la passano neanche i gemelli De Boer” se la ride Marco. Col Milan come contro la Samp. Si respira serie A, anche se è Coppa Italia. Col Milan come contro la Samp, grazie alla doppietta di Ferrante ai futuri campioni d’Italia, per una sera ci illudiamo di essere lì. Col Milan come contro la Samp, al ritorno nulla da fare, si va a casa.
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Ferrante segna di continuo. Trasforma i rigori che arrivano un pochino più copiosi del solito (coscienza sporca dall’anno prima?) e mette nel sacco ogni cosa che gli capiti a tiro e in qualsiasi modo. Marco ha nel mirino la promozione e il record di ventisei gol di Fanello in serie B. Un suo tiro deviato da Frezza, in casa del Chievo, verrà rivendicato come suo in questa lunga corsa, con la Gazzetta che glielo assegnerà, secondo le nuove norme, e altri giornali inspiegabilmente no. La lega stessa, inspiegabilmente no. A fine anno saranno ventisette, ma tocca leggere ventisei. La partita decisiva è il primo maggio 1999, a tre giorni dal cinquantenario di Superga. A tempo scaduto, sul 2-2, è lo spirito di Gabetto a dare la forza a Ferrante, claudicante, di colpire di testa il cross di Sommese e regalarci una gioia unica. Contro l’Andria, sul neutro di Benevento, l’incubo triennale finisce grazie anche al gol della sicurezza di Ferrante, sgusciante nell’andare via e preciso nel diagonale del provvisorio 3-1 che blinda la A e non poteva essere diversamente. Nello svenimento collettivo contro la Reggina a fine campionato è la sua testa, su corner, a chiudere la stagione. Nel difficile campionato di A è sempre lui a inaugurare le marcature con una zampata su assist di Ivic contro il Venezia per l’1-1, poi crossa per il 2-1 in spaccata di Artistico allo scadere. Contro l’Inter il Toro gioca bene, c’è un rigore. Ferrante non lo tira male, ma Peruzzi compie un miracolo. A Cagliari, il sabato dopo, ce n’è un altro. Ferrante sul dischetto come nulla fosse, Scarpi la tocca, ma la palla entra. “Ho tirato così forte che stavolta non l’avrebbe presa neanche Jascin”. Dopo un buon inizio il Toro, in seguito alla vittoria in nove sulla neve di Verona, si blocca. Toro che era in nove anche per l’espulsione di Ferrante dopo una gomitata a Brocchi. Arrivano sei sconfitte consecutive, qualcuna meritata, qualche altra no e dopo la più drammatica, col Lecce (doppietta di Lucarelli), il nove viene messo in discussione.
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Adorato quasi incondizionatamente dalla curva, a volte Marco viene criticato per motivi astrusi da altri. Qualcuno arriccia il naso perché “fa gol furbi, da gobbo” (ma che cazz) o lo definisce il bomber delle retrocessioni e degli spareggi (sic) persi. Di fronte a certe affermazioni, la sua risposta possibile è una sola: il gol. Gol di testa col Piacenza, doppietta al Bologna (secondo gol fantascientifico con Pagliuca che che ironizza su come gli sia venuto un tiro simile, denotando un certo bruciore), rovesciata a tempo scaduto col Venezia che vale il 2-2 quando al 90’ eravamo sotto 2-0. Chi era in discussione? Nessuno, scusa. A Bari un’altra punizione stupenda, liftata, da piede delicatissimo. Solo Ademino Ljajic le tirerà così, ma questo è un tempo che deve ancora arrivare. In casa con la Fiorentina un destro vincente al volo è il preludio al derby, che perdiamo in modo incredibile (due autoreti, una di Brambilla da trenta metri), mentre tutte le dirette concorrenti per la salvezza vincono. Però in quella stracittadina paradossale, dove Collina fischierà un penalty per un fallo di Zidane di Tricarico nel finale, che è un po’ come dire che l’uomo morde il cane, Ferrante sfoggia per la prima volta l’esultanza che lo renderà immortale. Le corna del Toro. Le fa sul rigore dell’1-1, puntandole sotto la Maratona. Ai tempi si veniva ancora ammoniti se si andava sotto la curva e quindi ci accontentiamo di vederle da lontano.
Il Toro crolla, Vidulich lascia, arriva Cimminelli, l’ultima speranza arriva con una vittoria contro la Reggina, sotto forma dell’urlo violento che parte quando Ferrante realizza un’altra punizione capolavoro. Un mio amico gobbo e un po’ reggino continua a dire che quella partita era combinata, era il favore da restituire l’anno prima, che quella punizione l’hanno fatta entrare. Ma guardatela, colpisce il palo e finisce dentro, è perfetta. E’ imparabile. E allora, come ogni volta che entriamo nel discorso, pernacchione per il mio amico gobbo e un po’ reggino, devo ricordarmi di Ferrante che si fa di nuovo tutto il campo per venire verso di noi, non ho tempo. A Lecce, in un drammatico remake di undici anni prima, si scende. L’ultima in casa col Piacenza vede tutti fischiati tranne Marco che segna due gol che lo portano a quota diciotto. Primo italiano, alla pari con Montella, in classifica marcatori. Ma non era adatto, giusto? L’anno successivo, in B, qualcosa non gira e, a metà stagione, Ferrante va in prestito all’Inter con otto gol segnati. Guarderà da lontano il Toro di Camolese rimontare e vincere il campionato. In quella cooperativa del gol, finirà con essere comunque quello ad avere segnato di più, alla pari di Schwoch, anche se lo ha fatto nel momento più buio del campionato. Quando Ferrante viene ceduto, la curva, alla prima interna senza di lui, gli tributa un coro. Paolo, se non ricordo male, dirà di fargli un gol per ringraziarlo di averci dato una mano in questi anni, prima di avere l’occasione in una grande. E allora “Marco Ferrante facci un gol”. Quell’Inter tardelliana, però, è una delle peggiori di sempre. Marco un gol lo farà, bello, dei suoi, una girata ravvicinata, ma tutt’altro che facile, a decidere, in extremis, la sfida interna contro l’Udinese, poi basta.
Estate 2001, raduno al Ruffini. Ferrante è lì, ma la società non lo vorrebbe. Però è lì e quel pomeriggio la curva fa capire cosa ne pensa. E’ fra i più acclamati, lui saluta, sorride. Vogliamo lui in campo con Lucarelli, chi se ne frega di chi vuole il presidente. Camolese, poco lontano, osserva. Marco ha la maglia numero novantaquattro, il numero dei gol segnati con i nostri colori. Quando vado a vedere i ragazzi in ritiro a Cogne, Ferrante è il primo a cui faccio firmare la mia. Il Toro non inizia bene, tutti evochiamo Marco, ci libererà dal male. Camolese, da tecnico magnificamente intelligente, lo rimette in campo. La seconda vita di Ferrante in granata inizia contro il Piacenza, dove non può evitare il disastro. A Genova, in coppa Italia, parte dall’inizio e segna con un’altra girata delle sue. Poi c’è il derby. La storia la sappiamo tutti. Entrano lui e Vergassola e tutto cambia. Il lancio per Lucarelli, il rigore trasformato con una natta impressionante che mi è costata una maglietta strappata (ma me ne accorgerò solo ore dopo, a casa, una volta riprese le corrette funzionalità cerebrali), il colpo di testa da cui è arrivato il 3-3 di Maspero. Col Perugia lo spirito di Maradona si impossessa di nuovo del piede di Marco. Un passo di rincorsa, la palla che scavalca la barriera e finisce nel sette, la corsa a perdifiato verso di noi. Capolavoro degno del Louvre delle punizioni. Il gol storico arriva col Parma, nel recupero della sesta di campionato. Pomeriggio dicembrino, esco dal lavoro e arrivo alla mezzora. Sono in tempo: a fine frazione rigore per il Toro, Frey respinge, ma la palla resta lì. Ferrante la ributta dentro e, come tante volte in cui segna sotto la Scirea, riprende la folle corsa sotto di noi. Ha una maglia in mano. Stavolta c’è scritto cento.
Marco scalda una fretta notte bresciana entrando in campo con Scarchilli e confezionando con lui il gol che inizia la rimonta (splendida conclusione al volo su punizione telecomandata di Alessio), poi fa l’assist per il 2-1 di Vergassola. Ferrante ci prova gusto anche nel fare andare in porta i compagni: invita lui Lucarelli alla sventola al volo che decide la partita con la Lazio. Altro che fratelli De Boer che non si passano il pallone davanti alla porta. Sta diventando anche rifinitore. Al derby segna il gol più bello di tutti. Di fronte c’è una Juventus stellare, ma noi siamo il Toro e stavolta non è un cazzo retorica. Resta il derby giocato meglio degli ultimi venticinque anni. Ferrante segna con un diagonale al volo da posizione difficilissima, angolata. Ricordo solo la coordinazione, poi la palla che si gonfia. Raramente ho provato un livello di gioia e delirio simili. Gol sotto la Scirea, corsa sotto di noi, facendo le corna. Momento iconico, sotto la Maratona un simil torero lo fa passare sotto un drappo granata. Qualcuno, segnando un 2-2 finale con un colpo di testa di puro culo, proverà a imitarlo, a sfotterci, sembrando solo un unicorno sfigato nelle fattezze e una gazzella per come è scappato a fine partita. Dopo quel gol, comunque, Ferrante può fare di tutto per me, anche rapinare le vecchiette. Il Toro si salva, nonostante un calo finale, Ferrante ne fa dieci e il bottino non aumenta solo per tre rigori sbagliati nelle gare contro il Venezia, di cui due al ritorno. Ma chi se ne frega, andiamo in Intertoto. Ferrante segna contro Bregenz e Villareal, ma i rigori in casa del sottomarino giallo ci costano caro (ne sbaglia uno anche lui). Marco quest’anno sceglie il dieci. Sarà un anno terribile per noi. Lui sarà fra i pochi a salvarsi.
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Nel naufragio generale, Marco ci darà una speranza incornando in casa della Lazio il cross dell’esordiente Marinelli. Ci darà un minimo di dignità nelle partite sul neutro di Reggio Emilia, dopo i fattacci in casa contro il Milan, contro Reggina e Perugia. Contro gli umbri, soprattutto, arriva una doppietta in rimonta: diagonale vincente dopo essersi liberato di Di Loreto “alla Ferrante” e azione solitaria con destro a giro vincente. Esultanza di rabbia, di orgoglio, anche se non servirà, e lo sappiamo, ma ogni tanto bisogna dare un segno di vita. 2003/2004. Si torna in B. Si cambia maglia: la numero undici. Con una brutta B ha iniziato, con una brutta B ha finito. Stesso numero di gol: tredici. Un cerchio. Il mostro della serie cadetta a ventiquattro squadre ci regala qualche gioia, il colpo di testa al Palermo di Toni e Corini ci fa pensare in grande. L’altra incornata, contro il Cagliari, con Ferrante che mima una nuotata sotto la curva, pure. Quando al 77’ realizza un rigore al Piacenza in uno stadio letteralmente deserto, non possiamo sapere che sarà il suo ultimo centro contro di noi. Sarà per quello che, l’anno dopo, quando ce lo troviamo di fronte in Toro-Catania, risponde all’assist di Vugrinec con un colpo sotto che scavalca Sorrentino in uscita. Voleva farci vedere ancora una rete sotto la Maratona, tanto sapeva che ne avremmo fatti due, probabilmente. Lui il Toro lo conosceva, lo aveva dentro. Così dentro che in una torrida estate di playoff è lì, a pochi gradini da me, con una polo rosa in mezzo agli ultras a vedere il ritorno delle semifinali fra Toro e Ascoli, quell’Ascoli in cui giocherà l’anno dopo, cavandosela egregiamente, proprio perché verrà ripescato grazie al nostro fallimento, ma allora non lo sa, è lì per tifare Toro, perché se una cosa l’ho capita e se di una cosa sono certo è che Marco Ferrante è uno di noi.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentinie…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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