Talvolta la vita è così incredibile nel suo svolgersi che basta raccontarla così com’è, senza romanzarla o trovare significati reconditi. La vita sportiva di Aldo Agroppi è un concatenarsi di situazioni che profumano di destino fin dall’inizio della sua storia calcistica e che sembrano fatte apposta per il suo carattere al tempo stesso sanguigno e malinconico tanto da non capire se fossero quelle vicende ad averlo determinato o il suo modo di essere ad aver attirato alcune circostanze.
Culto
Aldo Agroppi: il profumo del destino
É cosa nota che il giorno dell’esordio in serie A Aldo, col numero cinque sulle spalle, abbia vissuto l’estasi di un debutto vittorioso contro la Sampdoria e la disperazione totale per la morte di Meroni la sera stessa. In questo mescolarsi di emozioni nascerà il clamoroso 4-0 nel derby della domenica successiva, quello della tripletta di Combin e del gol di Carelli con la maglia numero sette, uno dei momenti più incredibili della storia granata col miglior amico di Gigi e il giocatore che ne porta la maglia a decidere la partita. Agroppi è in campo anche lì a vivere questo bagno di granatismo, un rito di iniziazione dopo il quale non si può più tornare indietro.
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Sempre a proposito di destino anche la fine dell’avventura granata del mediano piombinese ha dell’incredibile. Lo scudetto tanto inseguito da Aldo e scippato nel 1972 quando proprio un suo gol alla Sampdoria non venne visto da Barbaresco nonostante il mai amato Lippi avesse respinto dentro la porta (per tacer della rete non convalidata al 90’ a Toschi a Milano) si appoggia sulle maglie granata la stagione successiva al suo addio, in lacrime, al Torino. Nonostante questo quel tricolore è anche un po’ suo, come ricordato da uno striscione in Maratona prima della partita contro il Parma, perché nel Perugia che batte la Juventus all’ultima giornata con un gol di Renato Curi gioca proprio Agroppi e siamo certi che abbia caricato in qualche modo i compagni facendo indirettamente sì che l’autorete di Mozzini fosse “soltanto” un piccolo rimpianto per non aver raggiunto il record di quindici vittorie in quindici partite interne e non qualcosa di peggio. (Sempre a proposito di coincidenze, la prima vittoria interna nonché primo successo in campionato del Toro 75/76 arriva proprio contro il Perugia di Agroppi che, nella sua prima da ex, sarà molto emozionato, quasi spaesato dal fatto di affrontare così presto il suo amore calcistico tanto da sbagliare un’ottima opportunità per l’emozione).
In tutto questo turbinio di coincidenze e incroci la prima rete in serie A di Aldo Agroppi non poteva che essere contro la Juventus nel derby di ritorno 1967/68 ed è proprio di quella partita che parleremo. Alla vigilia della quinta di ritorno il Milan dell’ex Nereo Rocco in testa a quota 29 sembra irraggiungibile, al secondo posto c’è il sorprendente Varese di Pietro Anastasi a 23 e poi Toro, Napoli e bianconeri a 22. La vigilia è sentita, ma al tempo stesso tranquilla con Combin che predice il fatto che non segnerà non essendo al massimo e che proverà a mandare in rete i compagni: sarà buon profeta. Capitan Ferrini scherza sul suo duello con Leoncini affermando che a furia di stracittadine contro sono diventati amici.
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La ressa per vedere la partita è tale che l’arbitro Genel di Trieste ritarda di qualche minuto il fischio d’inizio per far sì che tutti (o quasi) prendano posto. L’inizio sembra arridere al Toro con la rasoiata di Combin che esce di poco, ma dopo 13’ è la Juventus a passare in vantaggio. Il centro rasoterra di Menichelli da sinistra passa tra Moschino e Agroppi prima di arrivare a De Paoli che con una secca girata di sinistro fulmina Vieri. Il numero nove bianconero esulta dicendo qualche parola di troppo nei confronti di Fabbri, (“Oggi vi faccio morire” una delle frasi proferite secondo alcuni testimoni), ma il Toro ha la capacità mantenere i nervi saldi e di mettersi sotto per rimettere in piedi la partita. De Paoli prova a rompere la pressione granata, ma la sua puntata viene fermata da una spettacolare uscita bassa di Vieri che si tuffa coraggiosamente sul pallone quasi sui piedi dell’avversario, rotola su se stesso e si rialza di colpo rimettendo il pallone in gioco, il tutto senza perdere il cappellino: roba da gatto o da virtuoso equilibrista.
Al 33’ il Toro pareggia e il tutto parte da un’altra decisione inusuale dell’arbitro Genel che, accortosi di aver fischiato un fuorigioco inesistente a Combin in una specie di “auto-var” , scodella una palla a due nei pressi dell’area bianconera. Ferrini è lesto a recuperare il pallone e appoggia a Combin sul cui traversone dal vertice sinistro dell’area Facchin è bravo a svettare deviando alle spalle di Fioravanti. Come anticipato Nestor non promette mai a vuoto: ha detto che non avrebbe segnato, ma fatto segnare e così è stato.
Passano 4’ e il Toro usufruisce di una punizione sulla destra. Calcia Poletti e la palla spiove verso Agroppi. La Juventus è campione d’Italia, ma il modo in cui non marca Aldo è molto lontano da ciò che si aspetta da chi si fregia di tale titolo. Il numero cinque non ha nemmeno bisogno di saltare e con un preciso movimento del capo colpisce la palla come meglio non potrebbe. Il cuoio vola verso l’incrocio dei pali e Fioravanti è nuovamente battuto. Agroppi salta sul posto poi corre verso il centrocampo, ma non riesce nemmeno a uscire dall’area che Ferrini lo ha agguantato per abbracciarlo. Impresa non facile perché il nostro si muove come una molla, gira su se stesso, ma alla fine si fa sommergere dai compagnie si gode la gioia per la prima rete in serie A.
Nella ripresa Combin sbaglia il 3-1 poi il Toro resiste e porta a casa un successo importante. Mentre Heriberto Herrera se la prende con l’arbitro gli animi si scaldano: De Paoli rischia di subire le ire dei tifosi granata per il battibecco con Fabbri dopo il gol si dice per motivi legati al periodo della nazionale e poi battibecca con Vieri. Di contro i granata sorridono. Non vincevano due derby in un campionato dal 1948/49, ultimo anno del Grande Torino. Sempre a proposito di Grande Torino a fine stagione arriverà il primo trofeo vinto dopo Superga visto che con un 2-0 in casa dell’Inter nell’ultima giornata del girone finale gli uomini di Fabbri solleveranno la Coppa Italia.
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Agroppi segnerà in altri derby come quello del 1971/72 che rilancerà il Toro in zona scudetto, e anche qui sarà la rete del 2-1 dopo uno svantaggio, o la stagione successiva, anche in quel caso quinta di ritorno e anche in quel caso due derby vinti su due, chiudendo un grande schema su punizione. Troppe coincidenze, troppi incroci, troppo magone per scrivere compitamente di un granata vero che mai ha rinnegato il suo amore verso il Toro nonostante qualche battibecco coi tifosi da giocatore (si sa, tra innamorati di questa maglia il litigio può succedere, ma poi passa) e qualche delusione come quando pensava (e gli era stato fatto pensare) che sarebbe potuto sedere sulla nostra panchina.
Rendere a parole quanto ci volesse bene è impossibile, ma volendo c’è un modo per capirlo. Qualche anno fa Fabio Milano ha caricato sul canale Famila76 tutta Toro-Real Madrid. Agroppi è la seconda voce della telecronaca guidata da Bruno Pizzul e per tutta la gara l’emozione guida la sua prestazione. Nel finale non commenta quasi più per la tensione. Il momento più significativo arriva quando, sull’1-0 per noi e a metà primo tempo, il diffidato Hierro viene ammonito saltando così l’eventuale finale. Aldo non si tiene: “Tanto non l’avrebbe giocata comunque”. Pizzul lo rimprovera bonariamente chiedendo prudenza e allora Agroppi cede con un romantico “Hai ragione, hai ragione, quando vedo queste maglie purtroppo…”. Nessun “purtroppo”, Aldo. Quando vediamo queste maglie il cuore si scioglie esattamente come si scioglie il tuo ed è stato stupendo che il destino abbia fatto sì che sia stato proprio tu a commentare quello che è stato il momento più alto del Toro dai giorni dello scudetto. Quanto ci mancherai, ti vorremo bene per sempre.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (0 meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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