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Sono tanti i giocatori per i quali ci si chiede cosa avrebbero potuto fare se non si fossero infortunati, formula probabilmente abusata e quesito per cui non esiste mai risposta certa dato che il destino ha scelto un’altra strada, quella del dolore. Per qualche calciatore, però, possiamo essere certi che senza quell’infortunio la carriera sarebbe stata luminosa e dalla domanda retorica si passa al rimpianto sordo. Uno dei calciatori per cui possiamo coltivare questa sicurezza è Alvise Zago per un motivo molto semplice: Alvise Zago era fortissimo.
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Il centrocampista rivolese si affaccia alla prima squadra nell’estate del 1988. Il Toro viene da una stagione tanto gagliarda quanto amara nel finale con la sconfitta ai supplementari nella finale di Coppa Italia con la Samp (Salsano, tu non sai il male che mi hai fatto) e ai rigori nel derby spareggio per andare in Uefa. Il mercato vede uscite dolorosissime: Polster va al Siviglia, Berggreen torna in Danimarca, Corradini e Crippa continuano la linea diretta col Napoli inaugurata da Francini, Gritti va a Brescia. Le entrate sono rappresentate principalmente dai tre stranieri, per la prima volta così tanti in serie A, con il bizzoso Muller, Edu e Skoro, il migliore del pacchetto. Con Landonio si prova a ritentare il colpo riuscito con Crippa, pescato dalla C e, in punta di piedi, arriva Luca Marchegiani: di lui sentiremo parlare. In quegli anni per completare la rosa sappiamo di poter attingere al Fila, perché la primavera di Vatta è semplicemente fantastica e da quel pozzo apparentemente inesauribile spunta Zago.
Alvise è un centrocampista moderno, coi piedi educati, grandi tempi di gioco, bravo negli inserimenti e forte di testa, nonostante manchi per pochi centimetri il metro e ottanta. Prenderlo nel 1988/89 e catapultarlo nel calcio di oggi è puro esercizio di stile, ma è uno di quei giocatori che erano “avanti” per il periodo e quindi potrebbero benissimo giocare anche nel calcio di adesso. Radice capisce che può essere un valore aggiunto per la squadra e, infischiandosene del fatto che sia appena diciannovenne, lo mette in prima squadra.
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Il campionato, causa Olimpiadi di Seul, inizia tardissimo, il nove ottobre. Per il Toro è un avvio amaro, sconfitta in casa con la Sampdoria con tanto di gol dell’ex di Dossena sotto la Maratona e violenta contestazione verso la società e l’allenatore. Nonostante questo, Zago debutta da veterano col dieci sulle spalle e risulta tra le poche note liete del caldo pomeriggio del Comunale. E così sarà anche per le seguenti partite: squadra in incredibile difficoltà e Alvise, sempre in campo, è fra le poche cose belle. Ottime prestazioni e voti alti in pagella, crescendo di partita in partita, è tra i pochi a salvarsi anche in gare disastrose come la sconfitta 2-0 a Pescara. Spesso parte piano per poi imporsi nel secondo tempo.
All’ottava giornata, contro il Verona, arriva anche il primo centro in serie A. Il Toro vorrebbe dare continuità alla vittoria di Roma, ma gli scaligeri non sono d’accordo e al 3’ passano con una deviazione di testa di Caniggia a punire una delle tante dormite difensive dell’anno. I granata reagiscono, ma tra fine primo tempo e inizio ripresa Cervone prende praticamente tutto e dove non ci arriva lui c’è Pioli sulla linea. Il pareggio arriva a un quarto d’ora dal termine quando sulla punizione di Skoro a rientrare da sinistra Zago incorna in rete come se fosse un centravanti e poi corre sotto la Maratona in festa. Nel dopopartita dirà che, mentre correva verso la curva, ripensava ai suoi genitori e ai sacrifici fatti per lui. L’amministratore delegato De Finis, davanti alle telecamere, gli stampa due baci sulle guance. Oltre al granata c’è anche l’azzurro dell’under 21 da vestire, cosa volere di più?
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Purtroppo il Toro ricomincia a scivolare verso il basso. La sconfitta di Bologna costa il posto a Radice e al suo posto arriva Claudio Sala che continua a insistere su Alvise. Come potrebbe essere altrimenti visto che è il solo a salvarsi in un centrocampo in balia degli eventi? Zago segna in rovesciata nell’amichevole contro l’Universitaria Craiova prima del derby di San Silvestro 1988, quello in cui debutta Marchegiani, quello in cui sembriamo illudere con un buon primo tempo e dove Alvise sfiora anche il vantaggio con Tacconi che respinge il suo secco tiro dal limite. Il gol di Altobelli spegnerà le illusioni regalando un amaro Capodanno.
Il Toro continua a inanellare prestazioni sconcertanti e perdendo ad Ascoli è ultimo da solo: umiliante. In casa col Como la rete di Milton potrebbe essere psicodramma puro, ma Muller pareggia proprio su traversone di Zago e Bresciani trova il 2-1 al 41’. Il girone d’andata, però, finisce male con la nettissima sconfitta in casa dell’Inter dei record (Zago è squalificato) e un pareggio incolore contro il Lecce. Il Toro è penultimo, ma il nono posto, occupato dal Verona, è solo a tre punti.
Parte il ritorno e sembra sempre di poter ricominciare, di avere una nuova opportunità, pare che basti una ripartenza per fare cambiare tutto e tramutare una stagione disgraziata in qualcosa di diverso. A Genova con la Sampdoria non è per niente facile, ma l’inizio sembra confermare la pia illusione che spesso i tifosi portano nel cuore. La gara, riscaldata alla vigilia da una serie di dichiarazioni polemiche di Dossena da un lato e da accuse di dolce vita a qualche giocatore dall’altro, sembra mettersi bene dopo un quarto d’ora: Cravero lancia con un esterno grondante classe Zago che, in diagonale, impegna Pagliuca, Bresciani è il più rapido a raccogliere la respinta e a rimettere in mezzo dove è ancora Zago a colpire in caduta, ma stavolta in maniera letale. Toro in vantaggio. La gioia dura poco, pochissimo.
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Su un pallone alto, poco fuori dall’area del Toro, vanno a svettare Victor e Zago. Lo scontro tra le teste è forte, l’immagine dello spagnolo che, ricaduto, rimane privo di sensi a pancia in giù è impressionante. Zago è cosciente, ma c’è qualcosa che non va. Si sbraccia, chiede l’intervento della panchina, è successo qualcosa al suo ginocchio mentre cadeva. La sera, fortunatamente, una tac escluderà complicazioni per il centrocampista doriano che addirittura insisterà per andare a Barcellona per sposarsi con la compagna, ma per Alvise, invece, il calvario è appena iniziato. Il Toro crolla e ne prende cinque, ma è davvero il meno rispetto ad aver perso il suo calciatore più promettente.
“Un infortunio raro nel calcio, più tipico del football americano, è come se gli fosse passato sopra un tir”. Sono le parole di Roberto Campini, storico medico sociale granata. La diagnosi dice rottura di entrambi i legamenti e della capsula articolare. Di fatto il ginocchio è distrutto e i tempi di recupero sono da mettersi le mani nei capelli: un anno e mezzo. Non solo perderà il finale della stagione in corso, ma anche l’intero campionato successivo. Cravero promette “ci salveremo per lui”, ma purtroppo sarà una promessa che non riuscirà a mantenere. Forse l’unica possibilità di restare in A sarebbe stato salvarsi CON lui. Adesso sarebbe ora di prendere Zago e portarlo nel futuro, non per far vedere che nel nostro calcio ci potrebbe stare, ma perché con le conoscenze e gli strumenti di adesso avrebbe potuto tornare prima.
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Un anno e mezzo dopo, nell’amichevole fra la mista ToroJuve e il Porto che inaugura Delle Alpi, Alvise subentra a Skoro, giocando bene, e spera in uno spezzone a Monza nell’ultima di campionato che chiude la gloriosa promozione targata Fascetti, ma invano. Giocherà l’ultima gara del Toro al Comunale, un’amichevole in casa contro il Genoa indossando la maglia numero undici.
Il ritorno ufficiale col Toro è a Bologna, dove rileva Policano all’82’ nella sfortunata sconfitta contro i felsinei. Poi in prestito a Pescara e Pisa per ritrovare ritmo e continuità. E’ giovane, c’è tempo. Si sta disimpegnando bene. Ricordo che quando, durante Tutto il calcio, ascoltai la notizia del suo primo gol con la casacca abruzzese, sorrisi e come me credo lo abbia fatto qualunque granata in ascolto o semplicemente qualunque amante del calcio.
Nel 1992/93 torna al Toro per rimanere. E’ la stagione post-Amsterdam, post-Lentini, post-Cravero, post-Policano e chi più ne ha più ne metta. Zago è pronto a giocarsi le sue carte, ma la sfortuna sembra non volerne sapere di lasciar perdere. In coppa Italia contro il Bari parte dall’inizio, ma nell’intervallo resta negli spogliatoi per una distorsione al ginocchio. Un mesetto dopo, contro il Foggia, riecco la maglia da titolare. Non la dieci, che è di Scifo, ma la pur sempre valorosa sette, numero non banale per i nostri cuori. E’ proprio lui dopo pochi secondi a recuperare palla a centrocampo, innescando l’azione granata che porta subito in gol Silenzi. Finirà 1-1, a metà ripresa il rivolese dovrà lasciare il posto a Sottil per l’espulsione di Sergio, ma c’è da essere fiduciosi ed è stato bello vederlo gioire e andare, per primo, ad abbracciare Pennellone.
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Purtroppo è solo un’illusione. Qualcosa è cambiato. Zago è senza dubbio un buon giocatore, ma è lontano il calciatore che abbiamo conosciuto anni prima. Valerio Spadoni, un altro grande che ha visto la sua carriera stroncata da un grave infortunio, una volta ha detto che una volta col pallone disegni e poi all’improvviso scrivi. Non è la stessa cosa e il timore è che questo valga anche per Alvise che, a fine stagione, abbandonerà il Toro per sempre, ma dopo aver vinto la Coppa Italia. Una piccola gioia sul palmares, l’ultimo trofeo che abbiamo alzato. Non compensa quello che è accaduto, ma è meglio di un carniere vuoto.
Le tappe successive sono Bologna, Nola, Saronno, Varese, Seregno (dove in molti andavano allo stadio ben decisi a goderselo, perché uno come lui, nella loro squadra, non l’avevano mai visto), Meda e Rivoli, la sua Rivoli che contribuirà a portare in serie D. Sempre da grande professionista, sempre con dignità. Le parole che dice quando viene intervistato sono sempre serene: il ritenersi fortunato, l’avere conosciuto tanta gente e soprattutto la descrizione di cosa si prova quando si segna un gol che resta un’emozione fortissima ovunque si giochi.
C’era un videogioco manageriale strepitoso che si chiamava Pc Calcio 7. Si partiva dalla serie C e io ogni volta prendevo il Varese sia per un bug incredibile (aveva 140 miliardi di budget!) sia perché c’era lui e lo schieravo sempre titolare. Per un semplice motivo: Alvise Zago era fortissimo.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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