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Best of Bersellini 3: quella partita
PRIMA PARTE: Best of Bersellini 1 1982/83
SECONDA PARTE: Best of Bersellini 2 83/84
27 marzo 1983, Domenica delle Palme, nella notte è scattata l’ora legale, mentre nel pomeriggio, alle tre e mezza, scatta l’ora del derby. La Maratona è calda come il fuoco, uno striscione di novanta metri è una chiamata alle armi al vecchio cuore granata. Dal minuto successivo al fischio finale della vittoria contro la Fiorentina tutti i giocatori del Toro stanno pensando a come vincere la stracittadina, a come vendicare la sconfitta dell’andata, assicurano di sapere come fare. Un Toro in forma, carico, in un ottimo periodo, ma nessuno, neanche il più ottimista può pensare a come starà di lì a un paio d’ore, al fatto che sta per assistere a QUELLA partita, quella dei tre gol in tre minuti e quaranta che è un modo come un altro per dire Storia.
Al 15’ una rete folle, dove la fisica sembra divertirsi con palloni che sembrano troppo lunghi che si rivelano utili e giocate sicure che diventano folli. La verticalizzazione di Platini per Boniek sembra sfilare sul fondo, ma il polacco riesce a recuperare e a centrare basso. Sulla sfera arriva Van de Korput e Bettega si fionda su di lui: sono entrambi all’ultimo derby, lo sanno e si vanno a giocare quel pallone con lo spirito di chi sa che potrebbero essercene sempre meno anche se siamo ancora all’inizio. Il numero sette sembra in grado di rubarla, ma è un’illusione. L’olandese pare in controllo, ma è un’illusione anche quella. Michel fa iuno dei retropassaggi meno opportuni della storia e Paolo Rossi è lì con un tocco che è pura beffa per un rabbioso Terraneo. Toro zero Juventus uno, la Roma sta perdendo a Firenze e i bianconeri sono a meno uno. Non potrebbe andare a peggio, siamo così lontani da quello che succederà più tardi che se ce lo raccontassero non ci crederemmo. O forse sì, perché Dossena, quando torna negli spogliatoi nell’intervallo, dice ai microfoni di Claudio Icardi che cercheremo di vincere la partita.
Eppure la realtà sembra continuare a fare a pugni con quello che oggi sappiamo succederà. Al 65’, nonostante un Toro volenteroso e la delusione per la notizia che la Roma ha appena ribaltato il risultato a Firenze, la Juventus sembra avere messo due zoccoli e mezzo sul derby. Boniek scatta in profondità, fa una finta su Zaccarelli che, intervenendo in ritardo, lo prende in pieno. Rosario Lo Bello indica il dischetto. La parata di Terraneo sul destro di Platini è una piccola illusione, ma il francese è lestissimo a mettere in rete. Però, col senno di poi, quella non è stata una piccola illusione, ma un sinistro rintocco del destino per i cugini, solo che nessuno è stato in grado di sentirlo. O forse l’ha sentito quel cuore che pulsa dentro tutti noi, ma non osavamo crederci.
Al 70’ si entra nel mistico. Conosciamo a memoria queste immagini, ma sono ancora capaci di stupire. Un attimo prima Terraneo deve uscire trenta metri fuori area per anticipare Boniek pronto a triplicare e pochi secondi dopo tutto è cambiato, tutto è girato e il mondo è granata. L’anticipo secco di Galbiati che avvia l’azione è una specie di “ora basta, iniziano a giocare i ragazzi più grandi”. Il numero sei avanza incontrastato e chiede e ottiene triangolo a Bonesso che è subentrato a Borghi al 59’ (e forse, nonostante la buona stagione, Claudio si starà ancora chiedendo perché abbia giocato solo la parte sbagliata di quel derby. Anni dopo lo faranno anche Semioli e Osmanovsky). Bonesso va a terra, ma il tocco per il compagno è buono. L’ex viola centra lunghissimo, sul secondo palo, dove Dossena arriva di corsa e colpisce in maniera splendida di testa, incrociando in rete. Giusto che il gol che riapre tutto lo segni lui, l’uomo che aveva giocato praticamente ogni pallone granata quel giorno, prima di andare a raccogliere l’abbraccio di una miriade di raccattapalle, incitando una curva rianimata.
Dalla panchina si alza Bersellini, inizia a dire che la vinciamo. Una specie di scossa elettrica, come racconterà Terraneo, passa dentro la squadra. In una sorta di telepatia tutti pensano “la si vince, la si vince”. Però prima di vincere bisogna pareggiarla. Detto, fatto. La Juve prova a fare melina, ma prima o poi la palla va ributtata su: ci pensa un rinvio di Zoff, la palla è buona in profondità per Rossi, ma le braccia di Terraneo diventano quelle di Mister Fantastic e abbrancano il pallone sui piedi di Pablito, poi si riparte. Il Toro sembra rallentare con Beruatto che scambia con Dossena, poi, all’improvviso, si accelera. Torrisi viene incontro e sfiora per Zaccarelli che ha il tempo di aprire ancora per Dossena. Vanno tutti su di lui, ma con la vista periferica il “Dos” apre a sinistra per Beruatto che ha tutto lo spazio del mondo per mettere un bel cross e lo sfrutta. Bonesso piomba sul pallone in mezzo a un presepe vivente bianconero, gli basta accarezzare la palla di testa mentre passa, quasi distrattamente, come se fosse un’incombenza da sbrigare prima di fare ciò che conta: andare sotto la Maratona in delirio. Bonesso e Dossena l’anno prima avevano portato il Toro sul 2-0 prima che ne prendessimo quattro. Ora hanno deciso di ribaltare tutto, c’è più gusto.
La scarica elettrica è ancora più forte. Si va verso quello che è già deciso. Un tiro senza pretese di Bonesso in altri tempi verrebbe controllato da Gentile senza problemi. Stavolta viene spazzato con paura in fallo laterale senza nemmeno controllare se ci siano altri granata per paraggi oltre a quelle migliaia che sono alle spalle e ruggiscono. Da Beruatto a Hernandez che crossa da sinistra. La difesa bianconera respinge. E’ il momento della redenzione, visto che rientrano in gioco i due giocatori che avevano “causato” le due reti bianconere. Zaccarelli arpiona il pallone, è elegante come sempre e vede Van de Korput a destra. Il lancio per pescarlo è semplicemente perfetto. L’olandese controlla col sinistro e si appresta a crossare di destro. Un traversone liftato, morbido, dolce, che non va sottoporta, ma verso il centro dell’area, dove c’è Torrisi, liberissimo. Il numero sette ha già fatto le prove generali con un gran gol contro il Cagliari e deve solo ripetersi. Sforbiciata, la palla picchia per terra e diventa imprendibile. Torrisi corre, guarda la curva, ma poi vola verso Bersellini. Anche lui sta correndo, va ad abbracciare l’autore del 3-2, pazzo di gioia, come la gente in curva che rimbalza nelle immagini. Da qualche parte, Boniperti, andato via come sempre a fine primo tempo, si chiede se Ameri, per radio, lo stia prendendo in giro. Le immagini televisive della sera diranno di no. Bersellini torna in panchina dopo aver dato le ultime indicazioni a Zaccarelli. Ha le mani in tasca, se la ride felice, indica i componenti della panchina come dire “Avete visto? Ve l’avevo detto” e lo confermeà anche dopo la partita. Era sicuro di vincere, aveva preparato la partita per venire fuori alla distanza ed è successo. A volte si riescono a preparare anche i sogni.
Il viaggio nel Toro di Bersellini finisce e lascia un po’ di nostalgia per certi tempi che chi ha vissuto vorrebbe rivivere e chi ne ha assaporato vorrebbe avere vissuto. Però c’è anche malinconia perché Eugenio Bersellini, galantuomo, non c’è più, ci ha lasciato nel 2017 in un giorno di metà settembre. Nel 2010 una malattia maledetta come l’Alzheimer aveva deciso di iniziare a togliergli la vita un pezzo alla volta. E’ incredibile pensare che anche Radice abbia subito un destino simile, incredibile e doloroso. In una struggente intervista a quotidiano.net, la figlia Laura disse una cosa a cui non smetto di pensare da quando l’ho letta. «Lui era seduto sul divano che guardava una partita. Non parlava più da tempo. Io mi sono inginocchiata per mettergli i calzini perché faceva freddo, in quel momento mi è scesa una lacrima. Ho alzato lo sguardo e ho incontrato il suo. Lui mi ha guardato e con la mano mi ha asciugato le lacrime. In quell’incrocio di sguardi c’era tutto mio padre».
Grazie per avermi tenuto compagnia in queste settimane, mister. Grazie per quei due anni. Grazie per QUELLA partita.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentinie…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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