CULTO

Cammmmooooonnnn

Francesco Bugnone
Francesco Bugnone Columnist 
Dopo la pausa natalizia torna Culto di Francesco Bugnone per raccontare di quando l'alieno Joe Hart sbarcò sul pianeta Toro

Tra la fine di agosto e l’inizio di settembre 2016 il Toro è a caccia di un portiere: Alfred Gomis è stato cassato (troppo in fretta) dopo un paio di errori in amichevole, il ciclo di Padelli è giunto al termine senza particolari rimpianti ed è in quel momento che i granata iniziano a vivere una meravigliosa anomalia. Prima sono solo sussurri, poi voci sempre più convinte: sarà Joe Hart a difendere i pali granata nella stagione appena partita.

Mentre i tifosi granata si martoriano la pelle a furia di pizzicotti per capire se sia un sogno o meno, i più sconquassati dalla notizia sembrano gli addetti ai lavori. Per chi crede che esistano soltanto le solite tre squadre è un colpo ferale che una compagine che ha chiuso la stagione precedente con un mesto dodicesimo posto possa accaparrarsi il portiere della nazionale inglese e del Manchester City. La prima fase della reazione è una sogghignante negazione che potremmo riassumere con la formula “ma figurati se”. Ma figurati se arriva, ma figurati se va al Toro, ma figurati se possono permettersi l’ingaggio. Nessun “si ripaga con le magliette” qui.

Una volta che l’acquisto sembra cosa fatta il carrozzone mediatico passa alla fase successiva, quella sminuente. Se altri acquisti “fanno il bene del calcio italiano”, stavolta l’arrivo di un portiere di valore internazionale nasconde certamente il verme nella mela. Quindi Hart diventa di colpo scarso, collezionista di farfalle, finito. Invece dei video con le migliori parate si vanno a esaminare col microscopio gli errori, addirittura un noto giornalista si permette un tweet “Joe Hart: e uno” dopo un’uscita imperfetta che ci costa un gol subito nell’esordio contro l’Atalanta. Lo scenario muta ancora quando si capisce che per fare un altro tweet dove scrivere “e due” si dovrà attendere molto. Si passa alla fase tre, la definitiva: “dove andrà Hart”. Voci su voci su destinazioni possibili del biondo Joe non solo a fine anno, ma addirittura a gennaio. Se un giocatore spicca in una squadra fuori dal solito giro è buono solo per le notizie di calciomercato.

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Queste tre fasi riassumono chiaramente lo stato dell’informazione sportiva ai tempi, in cui invece di vivere la succitata meravigliosa anomalia si è deciso di provare ad affossarla senza godersela un minimo e dimenticando che il calcio italiano era di livello molto più alto quando trovavi Zico a Udine, Junior al Toro, Hagi a Brescia e così via. Venendo a noi perché Hart è venuto a Torino e come ha giocato?

L’acquisto del nativo di Shrewsbury è reso possibile da una serie di fattori che si vanno a incastrare alla perfezione. Innanzitutto l’arrivo di Pep Guardiola che preferisce tipi di portiere con maggior dimestichezza col gioco coi piedi, la voglia di un’esperienza in un campionato diversa (si dice anche per non giocare subito contro il “suo” City), l’apertura dei Citizens a pagare gran parte dell’ingaggio, il fatto che Hart conosca Attilio Lombardo presente nello staff granata. Tutto questo concorre a spedire la leadership e il sorriso di Joe sotto la Mole per iniziare una luna di miele bellissima.

Come molti grandi giocatori Hart ha piedi per terra e umiltà e non importa se per capire chi siano alcuni compagni abbia dovuto aprire Wikipedia, perché pare da subito uno di noi. Sorridente, leader, nel periodo più felice del Toro di Sinisa Mihajlovic è un gasamento continuo coi suoi video post-vittoria dove sbuca e ruggisce il suo “Come on” per poi mettersi a ridere. I tifosi granata vanno a seguirlo anche quando gioca in Nazionale e il nostro se ne accorge perché dichiara che si è sentito chiamare da un gruppetto di persone che aveva tutto tranne che l’accento inglese. Ovviamente erano i nostri. Ricordo uno Slovenia-Inghilterra 0-0 dove, dopo aver salvato il risultato con una parata irreale, ha sbattuto la schiena contro il palo della porta: mentre era a terra ero preoccupato come se fosse un mio parente.

Sul rendimento di Hart a Torino, anche tra tifosi, c’è spesso l’idea che sia stato inferiore alle attese: sessantadue reti subite in campionato sono indubbiamente tante, ma i motivi del Toro come quartultima difesa di campionato sono maggiormente imputabili a un’impostazione difensiva decisamente allegra condita da gravi errori individuali rispetto a grosse responsabilità del portiere. Le papere vere e proprie di Hart non sono molte (la succitata uscita imperfetta contro l’Atalanta, le responsabilità sulle reti dell’Inter sia all’andata che al ritorno) mentre spesse volte si è dovuto riparare dal fuoco amico (gli obbrobri di Ajeti contro Empoli e Pescara, dove si becca un “asshole” clamoroso da Joe) o ha ceduto dopo una respinta se non due di fila mentre i compagni guardavano estasiati gli avversari tirare indisturbati in area (l’1-3 di Pjanic nel derby arrivato dopo due miracoli su Higuain e lo stesso bosniaco, Mertens al San Paolo segna dopo un volo pazzesco  di Joe su Callejon e la difesa impalata, il gol di Benali giunge dopo un tuffo irreale su Memushaj e il famoso urlo ad Ajeti, la rete presa da Defrel all’ultima giornata col Sassuolo è successiva a una prodezza su conclusione a colpo sicuro di Politano).

Le belle parate, invece sono state parecchie, frutto di reattività e senso del piazzamento. Una delle più clamorose è a Crotone con un doppio intervento dove dice no sia alla rasoiata in mischia di Crisetig che al successivo tentativo di ribattuta di Falcinelli. Splendido anche l’istinto con cui inchioda a terra una conclusione a colpo sicuro di Dzeko nella vittoria sulla Roma e una deviazione sotto misura di Mandzukic che cambia completamente la traiettoria del pallone nelle prime battute del derby d’andata. Il bloccare palloni che altri respingerebbero rendono apparentemente facili anche interventi come quello su Cofie in Toro-Genoa, una botta da fuori che, se ribattuta, avrebbe creato grossi guai. Non mancano anche i voli spettacolari come quello su un colpo di testa di Okonomou a Bologna.

Il pezzo forte di Hart è, però, l’uscita bassa, mettendosi a croce nella posa che verrà resa celebre dal Dibu Martinez nella finale di Coppa del Mondo 2022. Sono tantissimi gli attaccanti che devono pagare dazio davanti a questo gesto tecnico che vede l’estremo difensore arrivare a valanga coprendo tutto lo specchio della porta: tocca a giovani come Pucciarelli o Trotta e a grandi attaccanti come Zapata o Dzeko. Soprattutto toccherà a Dybala, fermato nella stracittadina di ritorno quando tutto lo stadio stava urlando al gol.

L’impressione generale è che ci saremmo potuti godere di più un portiere e un personaggio simili, mentre ancora adesso leggo qualcuno che lo derubrica a “bidone”. Attenzione, un portiere, anche fortissimo, può non piacere e ci mancherebbe. Ma tra dire “non mi piace” o “è scarso” passa tutta la differenza del mondo. Hart è stato un portiere fortissimo, sostituito da uno ancora più forte, ma che nonostante ciò avrà sempre un posto speciale nel mio cuore per professionalità, simpatia e capacità di calarsi in un contesto diverso da quelli frequentati in precedenza. Ci ha voluto bene e si è visto. Ogni tanto mi mancano quei filmati in cui ruggiva il suo “CAMMMMONNNNN”.