Le maglie personalizzate arrivano ufficialmente nel calcio italiano nella stagione 1995/96 (escludendo un precedente del Milan nei primissimi anni ’80, presto accantonato), ma anche prima c’erano dei casi in cui non c’era bisogno di un nome scritta sulla schiena per indicare che una casacca fosse di proprietà quasi esclusiva di un calciatore. Il dieci di Maradona, il sei di Franco Baresi, il cinque di Beckenbauer e, nel Toro, l’undici di Paolino Pulici.


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Carlo Borghi – La maglia più pesante
Nell’estate 1982 il giocatore che storicamente è stato il più grande esempio dell’incarnazione dello spirito granata sveste la casacca che ha indossato per quindici anni e che idealmente continua ad avere addosso ancora oggi. A trentadue anni è bollato come “vecchio”, viene addirittura accostato alla Sanremese, ma vederlo nelle categorie inferiori sarebbe onestamente una bestemmia e Pupi si accasa a Udine. Chi indosserà la sua maglia granata? Chi raccoglierà un’eredità da far tremare i polsi?
Forse l’unica maniera per evitare di travolgere chi indosserà la undici è metterla sulle spalle di un giocatore diverso, non di un bomber da cui ci si aspettano reti a ripetizione, ma di una seconda punta capace di aprire gli spazi, di conquistare punizioni e rigori, di segnare, ma soprattutto di far segnare il compagno di reparto. La scelta ricade su Carlo Borghi, reduce da due annate strepitose a Catanzaro dove ha mandato in doppia cifra sia Palanca (13 reti) che Bivi (12) contribuendo ai due brillantissimi campionati dei calabresi.
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Il Toro ha fatto il suo incontro ravvicinato con Carlo Borghi il venti dicembre del 1981 e si è fatto rovinare il Natale. I granata passano in vantaggio con una girata di destro di Dante Bertoneri poco dopo la mezzora, ma Borghi pareggia al 44’ rimanendo freddo davanti a Terraneo dopo essere stato smarcato da Massimo Mauro. Non pago, il nativo di Castiglione della Pescaia a metà ripresa brucia Gigi Danova con uno scatto memorabile sulla destra e dal fondo serve al centro Bivi per il 2-1 finale al 68’. Probabilmente da quel giorno il tecnico Massimo Giacomini ha pensato a Carlo come possibile rinforzo per l’anno successivo, anche se l’interessato verrà informato della cosa soltanto dopo l’ultima giornata di campionato, quel famoso Catanzaro-Juventus deciso dal rigore di Brady che deciderà la corsa scudetto al veleno contro la Fiorentina. In quella gara proprio Borghi reclamerà un giusto penalty per intervento di Brio sullo 0-0, ma invano.
Borghi arriva al Toro in un momento di transizione con la società che da Pianelli passa in mano a Sergio Rossi e cambia anche la guida tecnica con Eugenio Bersellini che subentra a Giacomini. Pur senza essere una sua scelta, col nuovo allenatore il nuovo numero undici giocherà tutte le partite di campionato della stagione 1982/83. Nonostante si fosse presentato come uno che i gol non li fa, ma li fa fare, la maglia che era stata di Pulici nelle primissime giornate regala al nuovo arrivato, dopo una doppietta in Coppa Italia contro il Monza, tre gol in quattro giornate. Si comincia con una rete da opportunista nel brillante 4-1 all’Avellino e poi alla terza giornata è la volta di un bel gol di testa nello sfortunato pareggio contro il Genoa. La quarta giornata è molto particolare: il Toro va a Udine e affronta Pulici da avversario per la prima volta.
I granata passano in vantaggio con una rete in mischia di Hernandez a punire un errore di Corti in uscita, poi l’Udinese rimonta con un rigore conquistato da Pupi, contestato da Danova e trasformato da Causio e una punizione dello stesso Causio deviata da Dossena. Il Toro non è fortunato visto che delle quattro reti subite da inizio stagione tre sono autoreti e la restante un penalty. A quasi un quarto d’ora dalla fine Dossena si rifà dell’autogol con una magnifica verticalizzazione per Borghi che alla vigilia era in dubbio per un dolorosissimo ascesso e decide di scaricare tutto il dolore patito scattando in profondità e scagliando il pallone sotto la traversa con un potentissimo collo destro da posizione defilata. Un gol alla Pulici davanti a Pulici.
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Nelle giornate successive Carlo cala il ritmo delle marcature, adeguandosi al suo solito ruolo di punta di appoggio e assistendo con efficacia Franco Selvaggi, ma prima della fine del girone di andata trova la via del gol altre due volte, entrambe in casa: nel pareggio interno contro il Napoli con una rete in mischia festeggiata sotto la Maratona e nella vittoria per 2-0 contro l’Ascoli a interrompere una serie di tre sconfitte consecutive. Il gol del numero undici è quello della sicurezza dopo il vantaggio di Selvaggi e arriva al termine di una grande manovra con Bertoneri che serve al limite Hernandez, il quale inventa l’assist giusto per il meglio piazzato Borghi. Controllo, stangata di destro e si può respirare.
La miglior partita di Borghi arriva a San Siro contro l’Inter, uno stadio dove, anche contro i cugini rossoneri, si è spesso comportato molto bene in carriera. I nerazzurri di Marchesi vorrebbero e dovrebbero rilanciarsi in ottica scudetto, ma marca subito male. La traversa di testa di Torrisi è un campanello d’allarme inascoltato e allora al 28’ una perfetta pennellata di Van de Korput viene incornata in rete da Borghi con Collovati pietrificato. La reazione dei padroni di casa è tutta in una punizione di Bagni diretta nel “sette” salvata da una prodezza di Terraneo. Così come nel primo tempo è un legno del Toro a inaugurare le ostilità nella ripresa (palo su splendida punizione di Hernandez) e il raddoppio arriva al 71’: Borghi si scopre assistman pescando in area Selvaggi che controlla e raddoppia con un preciso diagonale rasoterra. Dopo il dubbio rigore fatto calciare tre volte ad Altobelli (uno a segno, ripetizione a lato, versione definitiva parata) all’89’Borghi mette Torrisi davanti a Bordon che viene dribblato prima dell’appoggio in rete da posizione quasi impossibile. Il rigore, stavolta a segno, di Altobelli non guasta la prestazione e Borghi torna da Milano con una rete, due assist e una domenica da ricordare.
L’ultima rete in campionato è quella che vale il 2-0 contro la Fiorentina in una gara in cui gli uomini di Bersellini danno spettacolo, l’ultima ufficiale è quella da ex che decide l’andata dei quarti di finale di Coppa Italia a Catanzaro. Nel derby del 3-2 gioca la porzione di partita “sbagliata” (“Li ho fatti stancare”, ricorda sorridendo) e non riesce a incidere nel poco brillante finale di stagione granata (un punto nelle ultime cinque partite, brutta eliminazione in Coppa Italia contro il Verona) quando, nonostante una buona stagione, si vociferava già di una sua cessione. Carlo ha il rimpianto di non aver disputato una secondo anno in granata, con una conoscenza migliore dell’ambiente, che avrebbe potuto far alzare ulteriormente il suo rendimento, ma nella vita a volte va così. Rimane il ricordo di un bravo attaccante che non ha avuto paura di indossare una maglia scomodo ed è stato ricompensato segnando il suo record di reti in massima serie: non male davvero.
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Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (0 meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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