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Ci vorrebbe Mariani

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“La sera del quindici settembre 1979, nella camera di un hotel in Sardegna, due ragazzi sono sdraiati sul letto. Il primo è Danilo Pileggi, centrocampista ventunenne che ha già esordito in A col Toro nel 77/78 segnando una rete al debutto al...
Francesco Bugnone
Francesco Bugnone Columnist 

La sera del quindici settembre 1979, nella camera di un hotel in Sardegna, due ragazzi sono sdraiati sul letto. Il primo è Danilo Pileggi, centrocampista ventunenne che ha già esordito in A col Toro nel 77/78 segnando una rete al debutto al Bologna prima di andare un anno in prestito all’Ascoli e poi tornare in granata. Domani, prima di campionato a Cagliari, gioca. L’altro giovane è Pietro Mariani, attaccante di bellissime speranze e di soli diciassette anni. Per lui è già un sogno essere lì, con quelli che vedeva nelle figurine. Non pensa minimamente a scendere in campo il giorno dopo.

A un certo punto si apre una porta: è Gigi Radice. Saluta i due e dà una piccola infarinatura a Pileggi che vestirà il dieci di lì a qualche ora. Poi passa a Mariani e gli dice “allora, tu domani giochi con la numero sette”. Pedro rimane come fulminato, non se l’aspettava. Il mister e Danilo se ne accorgono, perché gli chiedono se vada tutto bene. Mariani torna sulla terra per finire di sentire cosa gli sta dicendo il mister, anche se non gli sembra vero. In realtà vestirà la undici perché sostituirà Pulici, ma non importa: è a meno di ventiquattr’ore dal suo esordio in serie A.

Ci sarebbe da dormire, ma chi ce la fa? Mariani racconta di essere andato addirittura tredici volte in bagno a fare la pipì, qualcosa di fisicamente in possibile, nemmeno quando bevi litri e litri d’acqua vai tredici volte in bagno. La notte passa e gli occhi restano sbarrati tanto che, a un certo punto, Pileggi chiede se non sia il caso di provare a rilassarsi e dormire visto che l’alba è vicina e c’è una partita da disputare.

Il battesimo di Pedro è all’Amsicora, davanti a trentacinquemila spettatori. Quando arriva allo stadio, giusto per non mettere il carico da undici, si ritrova davanti Gigi Riva che lo saluta: “Ciao Mariani”. Rombo di Tuono sa chi è e lo chiama per cognome. Non male. La partita termina 0-0. Stampa Sera parla di “buon esordio del giovanissimo Mariani, mossosi con la disinvoltura da veterano”. Un severissimo Corriere della Sera titola “Nel Torino si salva solo un diciassettenne” e appioppa un bel sette al numero undici granata. Non finisce qui. Si vola a Stoccarda per la coppa Uefa e Pietro, pur guardando il match di andata dalla panchina, sentirà anche che profumo ha l’Europa. Non ha ancora la patente, ma il Toro gli sta facendo macinare chilometri su chilometri.

16 dicembre 1979. Il Toro non vince in casa dalla seconda giornata, contro l’Ascoli, in un girone d’andata che si sta rivelando più complesso del previsto. Siamo quinti, appaiati al sorprendente Avellino e a sei punti dall’Inter capolista che sta preparando la fuga. Ospitiamo il Pescara ultimo in classifica, ma non riusciamo a sfondare fino a 18’ dal termine quando Graziani, in mischia, fa respirare una Maratona che iniziava a spazientirsi, invocando addirittura il nome di Giagnoni. La sicurezza di passare un buon Natale arriva all’81’: gol “made in Fila” con Mandorlini che centra dalla destra e Mariani che incorna splendidamente a fil di palo. Primo centro in serie A e il nostro non ci crede, si mette due volte le mani sul volto prima di abbracciare Gigi Radice. Nessuno può saperlo, ma quella sarà l’ultima vittoria della prima esperienza in granata del Mister dello scudetto. Quello che invece si sa è che Pedro ha fatto un gran gol che gli resterà impresso nel cervello per sempre. “Lo potrei disegnare”, dice.

30 dicembre 1979, Lazio-Torino. Battiamo il calcio d’inizio e ci catapultiamo in avanti. Graziani chiede triangolo a Mariani e lo ottiene, complice un’incertezza di un difensore biancoceleste. Ciccio carica il tiro e Pedro sa già dove andare. Si fionda verso il portiere, perché bisogna andare sempre e comunque, gliel’hanno insegnato al Fila. Può capitare di tutto, un palo, una ribattuta e bisogna essere pronti, se non succede non fa niente, ma bisogna essere pronti. Stavolta succede e Mariani è pronto eccome: Cacciatori ribatte d’istinto, il numero undici è in agguato e insacca a porta vuota.

Pietro viene da vicino Rieti. Quando arriva la lettera che dice che ha superato i provini e lo invita in Piemonte a vestire il granata, la sua famiglia dà una mega festa, una di quelle feste di quartiere dove entra ed esce chiunque, parenti, vicini o amici che siano. Ora i suoi familiari e amici sono lì, l’Olimpico è immenso, ma Pedro li individua subito e va a festeggiare con loro, sono venuti per lui, per vederlo giocare e lo hanno visto addirittura segnare. Purtroppo il Toro perderà quella partita, ma rimarrà un altro ricordo dolce nel lungo percorso di Mariani.

17 maggio 1980, finale di Coppa Italia, gara unica a Roma. Michelotti ha appena fischiato la fine dei tempi supplementari, chiusi a reti inviolate, e si va ai calci di rigore. Il Toro conosce già questa situazione: doppio zero a zero nei quarti contro la Lazio e successo ai tiri dal dischetto, doppio zero a zero nel derby in semifinale e ancora undici metri amici. La cabala sembrerebbe sorriderci e pare mettersi tutto bene sin dal principio quando Terraneo si tuffa alla propria sinistra per respingere il tiro non irresistibile di Giovannelli. Tocca a Mandorlini che spiazza Tancredi con un forte destro portando avanti il Toro. Il secondo giocatore giallorosso a presentarsi è Bruno Conti che la mette all’incrocio nonostante il nostro portiere poeta intuisca. Mariani è subentrato a Pulici nei supplementari e si sta avvicinando all’area per calciare il suo penalty. Gli hanno detto “Mariani lo tiri tu” e quindi bisogna tirarlo, anche se un pochino le gambe tremano, i fischi dei sessantamila dell’Olimpico si fanno sentire e Tancredi sembra largo quanto la porta.

In quei momenti c’è chi si affida alla scaramanzia, ai santini, a qualsiasi cosa per mantenere la calma e cercare fortuna. Mariani si affida a Pulici, nel senso che ripensa ai consigli ricevuti dal semi-infallibile Pupi per segnare i rigori. “Li tiri bene, ma ne sbagli ancora troppi.  Devi partire veloce perché il portiere ti guarda i piedi, non dargli il tempo, guardalo”. Mariani sistema la sfera, arretra e poi parte, parte veloce, Tancredi si butta con anticipo battezzando l’angolo alla sua sinistra e Pedro lo punisce mettendo la palla nell’altro, rasoterra. La selva di fischi che poteva sotterrarlo diventa un gelido silenzio.

Sembra fatta quando De Nadai calcia debolmente il terzo rigore romanista facendoselo bloccare da Terraneo, ma a quel punto capitano le cose che succedono solo a noi, o quasi, e non ne mettiamo più uno dentro. Andiamo due volte a tirare per vincere, ma non va e finiamo con perdere al sesto tiro dal dischetto. Sbagliano Greco, Pecci, Graziani e Zaccarelli. Tutti più vecchi di Mariani e Mandorlini, anche se Greco ha solo ventidue anni, come a dimostrare quanto non sia questione d’età. La Roma che alza la coppa in quel modo è la seconda coltellata della stagione dopo l’eliminazione con lo Stoccarda in Uefa. Sarà anche la prima di tre finali consecutive perse: ci aspettano un’altra beffa ai rigori contro i giallorossi, stavolta a Torino, e una sconfitta contro l’Inter.

La carriera di Mariani in granata prende strade strane e poco fortunate. Nel 1982/83 Pedro va a Catanzaro, quando in molto pensavano che avrebbe ereditato la undici di Pulici che, invece, finirà sulle spalle di Borghi. I calabresi retrocedono, ma Mariani segna quattro gol e pensa di tornare, ma il destino si mette sulla sua strada in modo crudele. Nel ritorno dei quarti di Coppa Italia c’è Toro-Catanzaro e, al Comunale, a qualificazione già decisa, Mariani si scontra con l’ex compagno Ezio Rossi e deve uscire in barella per un grave infortunio al ginocchio. Le due stagioni successivievedranno solo una manciata di minuti nell’ultima giornata 84/85 contro la Roma, primo anno del Radice Bis, secondo posto dietro al Verona.

“Io ritornavo sempre”, dice Mariani, col sorriso e con una punta d’orgoglio, perché è da Toro fare così. E ritorna nella stagione 1985/86, per esempio in un Toro-Milan deciso da una doppietta di Comi dove Pedro veste la numero nove e Carlo Nesti apre il servizio per la Domenica Sportiva chiedendogli se per uno sportivo la vita può cominciare a ventitré anni e mezzo. Pietro sorride soddisfatto, dice che non era importante la prestazione maiuscola (“che comunque è arrivata”, sottolinea senza falsa umiltà), ma constatare la perfetta guarigione, poi ringrazia tutti per essergli stati vicini.

Sempre quell’anno sarà protagonista di un episodio particolare nel ritorno dei quarti di finale di Coppa Italia contro la Sampdoria. Dobbiamo recuperare la sconfitta 2-0 di Marassi e ci buttiamo in avanti. Alla mezzora Casarin fischia una punizione dal limite e, improvvisamente, un blackout lascia il Comunale al buio per un quarto d’ora coi calciatori che, già infreddoliti per una forte pioggia, cercano di mantenersi caldi. Mariani è bollente visto che, appena torna la luce, trasforma il piazzato con un bolide. Nella ripresa Mancini pareggia, ma il diluvio costringe l’arbitro a sospendere la partita e per il Toro è un vantaggio visto che non si parte, come oggi, dal minuto della sospensione, bensì si ricomincia da capo. Tre giorni dopo Mariani troverà la via del gol con un gran colpo di testa sotto la Maratona. La partita, che registra anche una discreta rissa, finirà 4-3 per i blucerchiati. Nulla da fare, quindi.

Nel 1987 Mariani lascia Torino, ma si porterà sempre dentro tanto di noi. “Mariani del Toro” sarà una splendida nomea che lo accompagnerà ovunque, in primis a Brescia dove parlerà talmente tanto del granata a Marchegiani che contribuirà a portarlo fra le nostre braccia. Pietro è amato, stimato e riconosciuto un grande ovunque. In una carriera che non sembra finire mai, forse per placare quella fame di campo cresciuta negli anni degli infortuni, Mariani, che nel frattempo ha cambiato ruolo spostandosi sulla fascia prima e in difesa poi, è adorato a Venezia e considerato un semidio a Benevento, dove ha deciso uno scontro salvezza con un gol storico alla Fidelis Andria, proprio nella sua ultima partita: una sventola da fuori all’incrocio che ha fatto venire giù lo stadio. Rete incredibile, perché il pallone è stato calciato quasi da fermo e ha preso una forza pazzesca. Pedro dice che uno dei motivi per cui gli vogliono bene è proprio il Fila e come lo ha fatto diventare quell’ambiente, vera palestra di vita.

Andare a Torino in quel periodo, per un ragazzo non è facile. Si viaggiava molto meno e, come dice lui, anche le gite scolastiche, ai tempi, sembravano lunghe traversate. Pietro arriva quindicenne in una grande città che sta vivendo in pieno gli anni di piombo. Arriva e pensa “cosa ci faccio qui?” quando vede come giocano i futuri compagni. Se a Rieti era il più forte di tutti, adesso rischia di essere uno dei tanti e si scoraggia, ma gli dicono di avere pazienza, che il legno è buono e verrà lavorato fino a farlo arrivare a un grande livello. Mariani stringe i denti e lavora, si ambienta, si rende protagonista anche di qualche episodio tenero come quando, ed è sempre lui a raccontarlo, i genitori chiamarono la società preoccupati perché non lo sentivano da tempo. Il problema era che Pedro non aveva capito come funzionassero i telefoni a gettoni e quindi, non volendo chiedere per evitare brutte figure, semplicemente non chiamava.

Le giovanili del Torino sono carota, ma anche bastone. Per un ritardo a cena di tre minuti, rischia di essere rimandato a casa. In una partita giocata in Piazza d’Armi, invece, viene schierato sulla sinistra per affinare il mancino. Il tecnico gli dice che, alla prima palla crossata dal fondo di destro, lo sostituirà, non importa quanto tempo sia passato dal fischio d’inizio. Prima azione e Mariani vola sulla fascia, va sul fondo poi, gasato dalla grande azione, si dimentica per un attimo dell’indicazione impartitagli e centra col destro. Un bel cross, tra l’altro. L’ultimo di quel giorno: viene richiamato subito in panchina, come promesso.

Il Fila è anche educazione sentimentale, simile a quella impartita, per esempio, da Ferrini a Pulici a suon di mazzate sui fianchi. Durante un allenamento Mariani fa un paio di tunnel di troppo a Pecci che non si scompone e gli dice “Bravo. Però ti fai anticipare troppo spesso e usi poco i gomiti”. In una partita contro la Sampdoria primavera al Fila, però, Mariani i gomiti li usa eccome e li fa sentire al marcatore di turno, meritandosi un cartellino rosso. Tra il pubblico c’è la prima squadra e, ovviamente, Eraldo che gli dice “bravo”, ma stavolta sul serio, aggiungendo di star tranquillo perché, se qualcuno volesse punirlo per l’espulsione, ci penserà lui a difenderlo.

Il Fila, per Mariani, è uno stato dell’anima. Provate ad ascoltare quando ne parla, a vedere l’espressione che fa, il sorriso con cui ricorda i vasconi, il profumo degli spogliatoi, la roba stesa, il pensare che lì venivano posate le maglie degli Invincibili. Ci dice che non possiamo capire cosa fosse il Filadelfia al crepuscolo, in quel momento in cui il giorno sta finendo e non è ancora esattamente sera, con quella luce particolare che rende magico il campo. Ha ragione, lui lo può spiegare benissimo e lo fa, ma è vero che non possiamo capire, non avendolo vissuto così. “Anche se mi portate nei campi più belli del mondo, comunque non sono il Filadelfia”.

Pedro è in contatto con tanti ex compagni, qualcuno ha giocato in prima squadra, qualcuno no, qualcun altro non è mai arrivato fra i professionisti, ma tutti loro parlano così del Fila, come si fossero tramandati l’anima del Toro. E allora ci vorrebbe Mariani, adesso. Mentre il Filadelfia di oggi è così distante da ciò che era, ci vorrebbe Mariani che il Filadelfia lo porta dentro, nell’anima. Ci vorrebbe lui, con la sua simpatia e la gran capacità di raccontare, a spiegare certe cose ai giocatori che magari non le sentono soltanto perché nessuno gliene ha parlato nel modo giusto. Se il presidente, da questo punto di vista, è una causa persa, mi sento di credere, da povero illuso, che un giocatore, ascoltando determinate cose, potrebbe pensarci due volte prima di cambiare sponda del Po.

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