La primavera è ancora lontana qualche giorno, ma la primavera, intesa come squadra, come vivaio, negli anni ’80 c’è tutto l’anno e sono proprio i figli del Fila a far festeggiare una Maratona vestita a festa contro il Milan. Mariani, titolare dopo tanto tempo e finalmente in grado di rimanere in campo 90’, è tra i migliori, Comi decide l’incontro con una doppietta, Cravero, quando subentra a Francini, è preziosissimo. Il resto è il solito, splendido, centrocampo granata. Le reti arrivano entrambe sugli sviluppi di un corner e su assist di Junior: il numero undici segna di piede sul secondo palo nella prima frazione e con un imperioso colpo di testa nella ripresa. I rimpianti del Milan si spengono su una traversa di Evani timbrata sull’1-0.
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1985/86: Storia di una stagione sottovalutata (parte 3)
Al “San Paolo” il momento d’oro del Toro (e di Mariani) sembra continuare, visto che è proprio Pedro a sbloccare il risultato dopo 14’ deviando in rete una punizione da destra di Junior, col giallo del guardalinee che alza la bandierina, ma il gol viene comunque convalidato. Nel giro di 2’, però, il Napoli la ribalta con uno sfortunato autogol di Ferri, precursore di quello di Brambilla in un derby, ma da molto più vicino, e con Caffarelli di testa, ma qui la perla non è il gol, ma l’assist, visto che Maradona decide di inserire la modalità “Dio del calcio” e la mette sulla capoccia del compagno con una rabona bella da urlare. Bagni triplica a inizio ripresa, ma, nonostante il ko, il Toro entra comunque nella storia dalla parte giusta in quel pomeriggio. Copparoni, infatti, buttandosi sulla propria destra, neutralizza il mancino di Maradona dagli undici metri. Il portiere-avvocato è il primo a dire di no al Pibe de Oro, sempre a segno dal dischetto. Complici i risultati non eccelsi delle dirette concorrenti, si può, se non sorridere, non disperarsi troppo per la sconfitta.
A Bari invece, no. A Bari ci si deve proprio incazzare. In un gara durissima che l’arbitro Longhi fatica a tenere in mano, le emozioni arrivano dagli undici metri. Al 56’ Bivi conquista e trasforma un dubbio rigore. Entrano dei giocatori in area, ma l’arbitro non fa ripetere. Ricordiamocelo. Al 72’ il rigore, forse ancora più dubbio di quello barese, tocca al Toro e Junior lo trasforma di potenza, ma stavolta Longhi vede giocatori in area e cambia metro rispetto a un quarto d’ora prima. Si ribatte: palla in curva. Le altre, stavolta, vincono. Il Toro è di nuovo con le spalle al muro.
Ogni volta che si è trovato in quella situazione, però, l’undici di Radice ha sempre reagito come vuole la storia, come vuole la Maratona, come vuole chiunque sappia cosa vuol dire avere il granata addosso. Con l’Avellino il successo è sofferto, il bel gioco è messo da parte, ci sono i nervi, la rabbia, l’affanno che prende nelle partite da vincere a tutti i costi, quando guardi il cronometro e vedi che vola, mentre devi ancora sbloccarla. Due traverse con Junior su punizione e con Sabato, occasioni fallite, qualche rischio in contropiede. A 3’ dalla fine, su punizione da una ventina di metri, però, Junior finta per il sinistro dell’uomo della provvidenza. E’ Vittorio Pusceddu, subentrato a Cravero da neanche 10’, a trovare la via della rete. A fine stagione i numeri diranno cinque presenze e due reti per il sardo. E reti pesantissime. Non male come media. L’Inter perde a Napoli e il Toro lo aggancia al quinto posto.
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A Pisa è un pareggio annunciato e la sconfitta dell’Inter in casa dei “cugini” bianconeri vale il quinto posto solitario. La partita in casa contro il Como sembra essere l’occasione giusta per rafforzare la posizione vista Europa, ma così come quando sembra finita ci rialziamo, quando la strada sembra in discesa, inizia lo psicodramma. La via crucis parte al 4’ e la prima stazione è un bel colpo di testa nel “sette” di Maccoppi su traversone da destra di Mattei. Sotto la pioggia battente, la seconda stazione arriva al 41’, con Borgonovo che si attira mezza difesa granata addosso prima di mettere Corneliusson a tu per tu con Copparoni per il raddoppio. Il secondo tempo illude: Sabato la riapre di testa su punizione di Junior, Paradisi salva il risultato in qualche occasione, ma all’81’ Tempestilli la chiude in contropiede. Il Toro scivola al settimo posto, ancora una volta spalle al muro.
E ancora una volta, però, questo Toro ferito, con le banderillas lariane ancora nella carne, si scuote dall’angolo e vince la gara più importante della stagione, contro l’Inter nello scontro diretto. Il gol partita arriva al 67’ con un tocco di rapina di Comi, dopo una rovesciata mancata da Schachner su centro da sinistra di Beruatto. L’unico brivido arriva quando l’ex Mandorlini incorna in rete una punizione di Fanna, ma Lo Bello dice di non avere fischiato e non convalida. Il Toro è quarto alla pari col Milan e non ha nessuna intenzione di mollare, adesso.
A Bergamo è botta e risposta nella ripresa. L’acrobatico, e inusuale per lui, colpo di testa di quell’immenso giocatore che era Donadoni, al 50’, ci sveglia. Toro all’assalto e che, al 67’, pareggia con Dossena, bravo a deviare di destro l’assist di Sabato. La punizione capolavoro di Magrin all’87’ fa di nuovo vedere le streghe, ma per l’ennesima volta dell’anno il Toro, colpito quasi a morte, ricomincia a caricare col sangue agli occhi. Manca poco, si butta in avanti anche Cravero che è pronto a ricevere la verticalizzazione di Mariani, riuscendo, contemporaneamente, a portar via un difensore e a mettere Schachner davanti a Piotti. L’austriaco è precisissimo: due pari.
Ci si gioca tutto negli ultimi 90’ e, nuovamente, la sorte sembra dire ancora di no contro il Verona che gioca la sua ultima partita in campionato con lo scudetto sul petto, quello scudetto che sarebbe stato benissimo sulla nostra maglia un anno prima, ma adesso non è tempo di pensarci, bisogna prendersi l’Europa. Diluvia, come (e forse più) che contro il Como: primo rintocco sinistro. Palo pieno di Junior da fuori, secondo rintocco. Il terzo rintocco è il vantaggio scaligero con Vignola su punizione al 25’. Solito copione, solita reazione. Il pareggio arriva al 36’, quando su lungo cross di Dossena da sinistra, Francini si ritrova a fare il centravanti e farlo bene con un colpo di testa alla Hateley che finisce sotto l’incrocio. Giovanni si ripete nella ripresa, sempre di testa, stavolta su azione d’angolo, e corre sotto una Maratona piena di ombrelli festanti: è il gol che vale l’Uefa. La rovesciata di Comi contro la traversa è solo l’ultima beffa della sorte che, comunque, non è stata più forte di noi. Giusto che, in un anno in cui il gol è stato affare da cooperativa più che da bomber, in un anno in cui i nati dal vivaio sono stati il pizzico di cuore in più di un muscolo già immenso per antonomasia, la partita decisiva venga decisa dalla doppietta di un ragazzo del Fila che di mestiere fa il difensore, per quanto spesso offensivo. E giusto è quello che scrive La Stampa, al termine di questa stagione bella e travagliata: anche il Toro ha il suo scudetto. Noi sappiamo che lo ha vinto con le armi che ci hanno fatto innamorare di questa splendida squadra.
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Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentinie…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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