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13 Jan 2002: Cristiano Lucarelli of Torino in action during the Serie A match between Torino and Udinese, played at the Delle Alpi Stadium, Turin. DIGITAL IMAGE Mandatory Credit: Grazia Neri/ALLSPORT
Lo stadio resta l’unico posto in grado di fare andare totalmente fuori di testa qualcuno in modo assolutamente legale: un certo gesto tecnico in un determinato momento ti fa provare uno stato di euforia indescrivibile e puoi metterti tranquillamente al volante dopo perché nessun alcol test ti vieterà di guidare per aver perso completamente la voce quando Immobile e Cerci hanno ribaltato il Genoa o esserti quasi denudato invocando la Madonna con gli occhi fuori dalle orbite per il rigore alto di Salas. Gli esempi potrebbero sprecarsi, ma oggi ne cito uno in cui la gioia si è protratta a lungo, continuavamo a segnare e più segnavamo più deliravamo e più deliravamo più ne volevamo ancora e la squadra sembrava ascoltarci segnando ancora, il tutto per diciotto minuti. E’ successo un pomeriggio di fine novembre che compirà vent’anni fa domani: in un Delle Alpi non particolarmente gremito si gioca Toro-Verona.
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I gialloblù arrivano belli carichi dopo aver vinto il derby in rimonta contro l’insopportabile Chievo che, tra gli osanna degli innamorati delle favole innocue, è in vetta alla classifica. Un 3-2 che porterà il tecnico Malesani a esultare sotto la curva scaligera lanciando ai tifosi in delirio il suo giaccone, venendo investito da una serie di polemiche assurde. Perché Mazzone che corre sotto la curva avversaria urlando “li mortacci vostri” sia un figo e uno che festeggia coi propri tifosi sia da criticare o deridere resta uno dei misteri del calcio. Così come un mistero sarà la retrocessione di quel Verona, salvo per trentatré giornate, tranne in quella che contava, l’ultima, con giocatori come Mutu, Camoranesi, Paolo Cannavaro, Oddo, Gilardino e Italiano. Venendo al Toro, la posizione in classifica dell’undici di Camolese non è ancora sicura, ma è chiaro a tutti come, dopo il 3-3 nel derby, la squadra granata sia un’altra cosa rispetto all’inizio della stagione. Uno dei protagonisti della svolta è Antonino Asta che decide di regalare subito una scarica di adrenalina ai tifosi. Dopo pochi minuti il capitano intercetta un passaggio di Salvetti a centrocampo, giochicchia con la suola, passa fra lo stesso Salvetti e Mutu sulla linea dell’out e si invola sulla fascia destra evitando tre tentativi di scivolata dei difensori veronesi con lo stadio che alza i decibel a ogni avversario saltato e che fa partire un grande applauso anche se Tonino chiude l’azione con un cross che viene ribattuto.
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Al 10’ la doccia fredda. Delli Carri evidentemente sta ancora pensando alla più grande ingiustizia vista su un campo da calcio: la domenica precedente, a Firenze, gli è stato misteriosamente annullato un gol in rovesciata da fuori area da raccontare ai nipoti. Il difensore colpisce di testa in anticipo su Frick, poi, quasi senza guardare, con un azzardato passaggio orizzontale libera Mutu che si ritrova in area un ottimo pallone e lo calcia sul primo palo. La palla trova una leggera deviazione di Galante, Bucci si tuffa leggermente in ritardo e il Verona passa in vantaggio. I piani tattici del Toro vanno a farsi benedire, il resto del tempo è sterile tentativo di rimettersi in piedi e ci prova Asta a dare nuovamente la scossa nelle battute finali della frazione con una percussione, stavolta centrale, fermata da un duro intervento in scivolata di Gonnella. Tombolini sventola il cartellino rosso in faccia al difensore, una decisione severa, ma sta di fatto che ci ritroviamo con la prospettiva di giocare la ripresa undici contro dieci. Camolese sfrutta la superiorità numerica alzando la qualità tecnica a centrocampo con gli innesti di Maspero e Scarchilli e parte una lungo assedio alla porta scaligera che al 51’ vede Ferron, non al meglio, lasciare il posto al debuttante Pegolo. Sotto una Maratona che sostiene come si deve lo sforzo dei granata, il Toro vede il giovane portiere gialloblù esaltarsi su un colpo di Lucarelli dopo una fuga a sinistra di Castellini. La contraerea granata continua a spaventare, ma il colpo di testa di Galante su punizione di Maspero è fuori di pochissimo. Tombolini non considera il muro pallavolistico di Zanchi sulla rovesciata di Ferrante passibile di calcio di rigore e la curva incazzata comincia a cantare ancora di più. Poi arriva il 72’, finalmente. Asta è protagonista dell’ennesima discesa sulla destra conclusa con un traversone su cui Oddo colpisce male di testa, facendo di fatto la torre per Vergassola che, sempre di testa, anticipa la disperata uscita di Pegolo, sostituito ottimamente da Paolo Cannavaro che toglie la palla da sotto la traversa con una mano. Rigore solare, Tombolini ha il fischietto in bocca, qualcuno sente addirittura un fischio, ma viene data una cosa che Orsato, anni dopo, dirà non esistere, no, non esiste la regola del vantaggio in area, te la prendi con me se sbagli il rigore, eh, Cristante? E invece no, la regola del vantaggio esiste, cazzo se esiste e invece di assegnare il penalty, con relativa espulsione di Cannavaro, Tombolini aspetta un secondo perché sulla palla vagante si è scagliato Ferrante che scaraventa in rete. L’urlo della curva è liberatorio, la fine di un incubo ed è tutto un “daaaaai” per andarla a vincere.
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La scarica elettrica passa dal campo agli spalti e viceversa. Neanche cinque minuti e siamo di nuovo lì, al limite area con Lucarelli che, invece di calciare, ha la lucidità di fare correre il solito infinito Asta sul lato destro dell’area. Il capitano crossa morbido perché ha visto Vergassola arrivare di gran carriera da dietro e Simone, autore di una grandissima gara, si tuffa di testa. La palla carambola su Italiano ed entra in rete spiazzando Pegolo in uno di quei gol che dalla curva pregusti prima che la sfera entri, perché vedi che il portiere è già tutto dall’altra parte, l’occhio ha già calcolato tutte le traiettorie possibili e quella che stai guardando è giusta. Un attimo e la rete si gonfia. Neanche 5’ fa masticavamo Madonne e ora ci abbracciamo tutti ululando, urlando di non mollare, con la voglia di chiuderla, di farne ancora, di far pagare cara quell’ora buona di sofferenza che ci hanno inflitto i veronesi. Il Toro obbedisce e dopo due minuti conquista un angolo. La parabola mancina di Maspero da destra è maligna, ma risulta lunga per tutti, però, sul palo opposto, sbuca Delli Carri che ha voglia di riscattare l’errore di inizio gara e di dimenticare almeno un pochettino l’amarezza della domenica prima. Non sarà un gol in rovesciata da fuori area, ma il suo cross insospettabilmente vellutato che pesca Galante solo a pochi metri dalla porta è un bijou. Fabio non può esimersi dal colpire di testa mettendo nel sacco e, di fatto, chiudendo la contesa. Abbiamo ancora aria nei polmoni da buttar fuori, ci abbracciamo fra sconosciuti, sghignazziamo, che cazzo sta capitando, ah ah ah. Del quarto gol ho un flash. Un tizio vicino a me con un pile viola, spessissimo, col barbone e il capello selvaggio che riceve una telefonata in cui dice “sì, sì, stiamo vincendo 3-1, ma aspetta, aspettaaaaa” perché in quel momento Dossena, con un retropassaggio troppo corto, di fatto smarca Lucarelli che, con una sberla in diagonale sfiorata da Pegolo in uscita, fa poker. Di nuovo tutti uno sopra l’altro, urlando, facendoci diventare roventi le braccia per i gesti dell’ombrello, stragodendo.
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“C’è chi sostiene che i gol iniziano a perdere di valore in vittorie particolarmente facili, ma non ho mai trovato che questo sia un problema. (Ho apprezzato l’ultimo gol della vittoria per 7-1 dell’Arsenal contro lo Sheffield Wednesday tanto quanto il primo.)" Parole di Nick Hornby in “Febbre a novanta”, nel capitolo “Sette gol e una scazzottata”, e posso dire che ha ragione. Infatti il quinto gol che chiude quei diciotto minuti di delirio puro, di rete che si gonfia di continuo sotto la Maratona, mi ha fatto, CI ha fatto stare da Dio. Galante ha ancora la forza di fiondarsi in avanti e poi appoggia a sinistra a Maspero che pennella col suo sinistro magico per Ferrante, il quale arretra leggermente con la testa e con una mezza frustata insacca imparabilmente. Boati, abbracci, gente che invita perfidamente Malesani a venire sotto la curva, d’altronde quando si è ciucchi un pochettino si esagera, sempre gran rispetto per il mister. 5-1, l’ultima volta in serie A era capitato in casa contro il Genoa nella gara che chiudeva la stagione 1976/77 dove nonostante il miglior attacco, la miglior difesa e una sola sconfitta eravamo costretti Dio solo sa perché a scucirci lo scudetto dal petto e a darlo a quegli altri e così abbiamo capito che anche una goleada può farti venire il groppo in gola. Quel pomeriggio uscendo dallo stadio, con delle prospettive ovviamente inferiori e imparagonabili, invece, stiamo saltellando e cantando, felici. Dopo diciotto minuti di delirio puro fai fatica a trovarti le gambe, la voce, le braccia, forse anche le chiavi della macchina. L’unica cosa che sai dove si trova è il tuo sorriso: è lì quando sali in macchina, quando torni a casa, quando vai a dormire, quando rivedi le immagini di quel match e quando, il giorno prima che compia vent’anni (ed è di nuovo puro caso che il pezzo esca proprio in questo momento) ne scrivi per la prima volta.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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