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Una delle cose più difficili è parlare bene di qualcuno che lo merita. C’è sempre il rischio di sfociare nella beatificazione o, all’opposto, di dire troppo poco per paura di esagerare. Credo sia quasi impossibile trovare qualcuno che possa dire qualcosa di negativo relativamente a Matteo Darmian, uno dei calciatori più rispettati del panorama italiano. Nessuno, per esempio, si è sognato di dire nulla quando sbagliò il rigore contro la Germania a Euro 2016, mentre grosse critiche andarono a Zaza e Pellè per via di una certa arroganza prima di batterlo tra rincorse inspiegabili e gesti di sfida a Neuer. Darmian è persona seria e affidabile, con una grande etica del lavoro, ma non è questo il motivo che mi ha fatto venire voglia di scrivere di lui sebbene queste qualità abbiano contribuito farmelo amare ancora di più. Il discorso è più semplice: Matteo Darmian è stato ed è ancora molto forte.
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Il Toro fa la conoscenza di Matteo Darmian nell’estate 2011 quando lo prende in prestito dal Palermo dove lo aveva portato Walter Sabatini (il direttore ha raccontato a Taconazo, su Cronache di Spogliatoio, di come Massara, ai tempi suo collaboratore, esultò per un cambio di gioco all’esordio in rosanero visto che Zamparini tendeva a lamentarsi alcuni acquisti se sbagliavano i primi palloni giocati). Il primo gol dell’era Ventura lo vede protagonista: Matteo si propone a destra per ricevere il passaggio di Stevanovic e crossa alla perfezione per la testa di Antenucci che decide il match di Coppa Italia contro il Lumezzane.
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L’incontro di Darmian con Gian Piero Ventura è decisivo: il tecnico ligure capisce di avere per le mani un giocatore capace di coprire diversi ruoli senza snaturarsi. Oltre a schierarlo largo a destra, lo sposta al centro in caso di necessità dove saprà disimpegnarsi sia in una difesa con due centrali che, negli anni successivi, in un reparto a tre, cosa che contribuirà a fare le sue fortune. Non solo: l’ex milanista sa giocare anche a sinistra dove se la cava alla grande, basti pensare a confronti impietosi coi destri che corrono sulla nostra fascia mancina da alcuni anni. Fin qui sembra l’elogio del gregario d’oro, ma anche questa definizione sta strettissima a Matteo, perché il nostro si ritrova ad avere una caratteristica importante: segna reti pesanti.
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La prima gioia in granata è una di quelle. Il Toro che sta guidando il campionato è appena incappato nella brutta sconfitta di Gubbio, la prima stagionale, e si ritrova sotto 1-0 all’intervallo contro l’Empoli a causa di un tiro da fuori di Lazzari. Il pareggio arriva a inizio ripresa con il neoentrato Antenucci che apparecchia per la rete di Ebagua poi, quasi a 20’ dal termine, la squadra di Ventura conquista un corner. Pelagotti compie un miracolo su Bianchi, ma sulla palla si avventa Darmian con un guizzo da centravanti d’area e scaraventa sotto la traversa. Gol che vale tre punti, si riprende la marcia derubricando il ko precedente a incidente di percorso e a fine stagione si festeggerà il ritorno in A.
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Tutte le altre reti arrivano nel 2014/2015 ed è un crescendo di importanza. Si comincia col Parma in una fredda serata di fine ottobre. Schierato a sinistra, Darmian controlla di petto un pallone spiovente al limite dell’area e lo scaraventa in rete di destro sul primo palo: primo gol in massima serie e vale tre punti. Si prosegue a Copenaghen dove il Toro, con un sonante 5-1, conquista l’accesso al turno successivo di Europa League: la rete del 4-1 è una sua staffilata al volo di destro su cross dalla fascia mancina. Ricorda qualcosa, ricorda Bilbao. Non pago di avere crossato due palloni perfetti per due reti di Maxi Lopez fra andata e ritorno (entrambe a fine primo tempo, entrambe per il provvisorio 2-1) sul risultato di 2-2 al San Mames Matteo cancella lo spettro dei supplementari al termine di un’azione che sappiamo a memoria. Sul cross di El Kaddouri da sinistra, il numero trentasei arriva in corsa sul secondo palo. Stavolta non cerca la pura potenza come in Danimarca, ma sceglie la precisione colpendo d’interno a incrociare. Il resto è storia di una delle poche gioie vere dal 1994 a oggi. Ma non finisce qui, perché il ventisei aprile arriva il derby.
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L’equilibrio è stato rotto da una punizione capolavoro di Andrea Pirlo al 34’, ma quello è un Toro diverso dal solito e non ci sta al solito destino ineluttabile che ci vede soccombere da anni. Al 44’ Quagliarella lavora palla molto bene sulla sinistra e, con Maxi Lopez controllato da Lichsteiner, decide di servire l’accorrente Darmian accorrente a sinistra. Complice la velocità di inserimento lo stop di Matteo è inguardabile, ma finisce con il mettere in ambasce la difesa bianconera. La palla si alza, Lichsteiner dovrebbe staccarsi, ma rimane abbracciato a Maxi, Buffon esce in ritardo, Bonucci prova a mettersi sulla linea. Darmian ha rincorso il pallone senza pensare a nulla e si ritrova al limite dell’area piccola toccando con il destro giusto un attimo prima che il portiere possa chiudergli lo specchio. Bravura nell’inserirsi, capacità di non lasciar perdere dopo l’errore, bel tocco per chiudere l’azione: in questa rete c’è tutto Matteo ed è uno dei gol più urlati dal sottoscritto allo stadio.
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Sulle ali dell’entusiasmo il Toro riparte di slancio anche nella ripresa. La punizione di Pirlo che colpisce il palo sembra il segnale che il vento è definitivamente cambiato e al 57’ il Toro segna. El Kaddouri entra in area in posizione centrale con il suo tipico incedere caracollante mentre, alla sua sinistra, Darmian si propone ad altissima velocità. Il passaggio dell’ex napoletano è perfetto, l’assist del laterale lo è altrettanto e arriva col tempismo giusto per mettere fuori causa l’intervento in scivolata di Lichsteiner. A quel punto la rete di Quagliarella è pura matematica. Un gol e un assist nel giorno dell’unico derby dell’era Cairo vinto, l’unico pomeriggio felice all’interno di un ruolino sconcertante e che grida vendetta al cielo. Basterebbe questo per dedicare a Darmian un momumento equestre a Torino, ma, come abbiamo visto e come sappiamo, c’è stato tanto di più. L’ovazione dopo la sua ultima gara con il granata addosso, contro il Cesena, ha dentro tutta questa gratitudine per un ragazzo prezioso umanamente, ma forte forte forte sul terreno di gioco.
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A Manchester, sponda United, trova spazio nelle prime due stagioni e la sua capacità di coprire più ruoli gli torna utile quando Mourinho punta su Valencia e schiera il legnanese a sinistra. Poi nelle ultime due annate non trova spazio. In molti mollerebbero, si ritroverebbero l’etichetta di giocatori finiti o quasi sulla schiena, ma Matteo torna in Italia. Riparte dal Parma e poi si passa all’Inter dove presto diventa imprescindibile col suo mix di impegno e talento. Non perde il vizio per i gol pesanti: nel 2021 le reti contro il Cagliari e il Verona risolvono gare complicate e avvicinano in maniera decisiva i nerazzurri di Conte allo scudetto. Ritroverà anche la nazionale, farà ancora male alla Juventus nella finale di Supercoppa Italiana credendo nell’errore di Alex Sandro all’ultimo minuto dei supplementari e regalando a Sanchez l’opportunità per la rete della vittoria. In poche parole è ancora protagonista ad altissimo livello, soprattutto come braccetto che non disdegna qualche avanzata. Guardando i nostri cosiddetti esterni arrabattarsi sulla fascia cercando un cross che sarà sempre o troppo alto o troppo corto o ribattuto, non può che arrivare una fitta di malinconia e di mancanza dritta all’anima.
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Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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