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12 Dec 1999: Gianluigi Lentini of Torino is closed down by the AC Milan defence during the Italian Serie A match played at the San Siro in Milan, Italy. The game finished in a 2-0 win for Milan. Mandatory Credit: Claudio Villa /Allsport
Gian Paolo Ormezzano, quando vide lo spettacolo sugli spalti prima del Toro-Cesena in cui vincemmo lo scudetto, pensò che qualunque cosa avesse scritto il giorno successivo sarebbe stata meno bella di ciò che stava vedendo, essendo impossibile rendere l’idea dello spettacolo che si stava parando sotto i suoi occhi. Senza volermi lontanamente paragonare a un maestro del giornalismo atto a narrare la cosa più bella che sia capitata ai colori granata dopo il Grande Torino, anche io sono in difficoltà nel parlare e scrivere di Gigi Lentini, perché sono conscio che non renderò mai l’idea di cosa è stato e di cosa ci ha fatto provare in anni formidabili e anche in anni che lo sono stati meno, visto che è stato davvero qualcosa di pazzesco. Però chi c’è sa e chi non c’era, leggendo, potrebbe aver voglia di andare a rivedere cos’è stato quel fenomeno che portava palla sulla fascia mentre gli avversari cercavano invano di acchiapparlo.
Un ragazzo delle medie non poteva che essere rapito da Gigi Lentini quando, tornato dal prestito ad Ancona e ritrovando il Toro incredibilmente in B, a un certo punto ha iniziato a farsi largo fra i titolari trovando addirittura due reti nel pomeriggio della promozione matematica. Soprattutto non poteva esserne rapito dall’anno successivo quando, con Mondonico in panchina, sarebbe iniziato un sodalizio fondamentale nella carriera di entrambi.
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Davanti a un giocatore che era al tempo stesso forma e sostanza, il me di allora rimaneva rapito da tanto estro accompagnato da intelligenza (mai la ricerca del bello fine a se stessa, ma un bello concreto), dalla capacità di partire in dribbling sostenuto da un fisico non banale, che spesso si faceva beffe anche delle entrate rudi degli avversari. Un tumulto di splendide contraddizioni come i numerosi cambi di look che però non lo facevano mai apparire come un montato o una persona non umile, anzi, dalle sue interviste, dalle sue parole, finiva sempre con l’emergere una certa dolcezza e una malinconia di fondo che più avanti si sarebbe acuita o forse, per il brutto vizio che abbiamo di proiettare i nostri pensieri sul prossimo, forse quest’ultima è solo una nostra impressione. Gigi era una specie di rockstar con i piedi per terra. Uno che aveva voglia di vivere, ma anche tanta voglia di giocare e sul campo non si risparmiava mai.
Tutti ricordano il Gigi 1991/92, quello formato europeo, quello delle notti col Real. Però forse il migliore è quello del 1990/91 principalmente per una minor incidenza dei problemi fisici sul suo rendimento. I granata, nel primo anno col “Mondo”, fanno un campionato dove a tratti raggiungono vette di gioco elevatissime, cosa che, nella seconda e più celebre stagione, troveranno principalmente nella parte finale in cui furono probabilmente più “grande squadra”, ma meno “squadra spensierata”. Per capirci questa fu la differenza tra l’Italia del 1978 e quella del 1982 di Bearzot o fra quella del 1988 e del 1990 di Vicini. Ci si ricorda più delle seconde, ma erano più spettacolari, seppur meno mature, le prime. In quel Toro già così improvvisamente grande Lentini è subito protagonista. Bastano tre giornate per la prima rete in serie A e non è banale: contro l’Inter che vincerà la coppa Uefa e ai danni di Walter Zenga, portiere della nazionale. Anticipo netto su Battistini, fuga verso l’area e diagonale vincente. Il sorriso negli spogliatoi quanto spiega quello che Franco Costa definisce “un gol d’autore” è tipicamente lentiniano.
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Gigi segna e soprattutto fa segnare, formando con Bresciani un tandem senza dubbio inatteso, ma che fa le fortune granata portandoci dritti in coppa Uefa davanti alla Juventus. Passano le partite e il tornante granata è sempre più idolo, apparendo come prototipo del giocatore moderno. Non mi piace e non trovo sensato il paragone fra le epoche, ma se un’astronave avesse rapito lui e Policano trasportandoli nel calcio di oggi non avrebbero avuto grosse difficoltà nell’ambientarsi subito. A colpi di grandi prestazioni arriva finalmente, e con un certo ritardo, la convocazione in nazionale e l’Italia-Belgio dove debutta, se per molti rimarrà un dimenticabile zero a zero al Libero Liberati di Terni, per noi tifosi sarà il momento in cui un granata torna in Nazionale e che granata. Ovviamente Gigi sarà il migliore, e non perché lo dico io ma sul serio, in quello scampolo di gara e bisserà anche nel torneo Scania 100 di fine stagione, una sorta di preludio all’Europeo (a cui, causa palo di Rizzitelli a Mosca, non parteciperemo) dove fu letteralmente devastante. Italia ed Europa scoprivano ciò che sapevamo già: quanto diamine fosse fenomenale Gianluigi Lentini.
Come facevi a non perdere la brocca quando partiva in progressione? Anche Pizzul si lascia andare a un “vai Lentini vai” quando Gigi fugge in contropiede mentre stiamo già conducendo 2-0 col Real e il “Delle Alpi” delira. Ricordo una partita contro il primo Foggia di Zeman. Il numero otto segnerà una rete di testa nella ripresa, ma la cosa più impressionante per me fu una sgroppata sullo 0-0 sventata dal povero Franco Mancini in uscita. Casualmente presente nell’altra curva, e non in Maratona, fu impressionante vederlo arrivare verso di me come un treno sono la pioggia battente coi difensori avversari paonazzi nell’inseguirlo, ma che non riuscivano a prenderlo. Uno strappo che mise in partita il Toro dopo un inizio complicato (prima grossa occasione foggiana) e che fece capire che davanti avevo semplicemente il più forte giocatore italiano in quel ruolo.
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La zavorra dei guai fisici, che comunque lo vedevano sempre scendere in campo stringendo i denti e soprattutto rendendo, vola via in primavera e la dimostrazione definitiva arriva in quello splendido affondo la sera del 2-0 al Real che verrà finalizzato dall’inserimento di Fusi. Conosciamo tutti a memoria ogni singola inquadratura di quel momento, di come l’ennesimo duello venga vinto e come le merengues si siano inginocchiate davanti al talento del nativo di Carmagnola. Poche partite e si sarebbe consumato l’addio, un addio forte, da fare scalpore, da spezzare il cuore. Le reazioni furono ovviamente veementi, i fischi al suo ritorno tanti, ma l’amore era sempre lì, enorme. Quell’amore che mi fece telefonare in sede il mattino dopo la notizia della sua cessione, perché credevo che mio padre mi avesse fatto un crudele scherzo, ma la povera segretaria che ricevette decine di telefonate simili mi conflerò che era vero. Ero talmente disperato, disperato come può esserlo un ragazzino, che fra le cose che lessi in quei giorni ce ne fu una a cui non feci caso, ma che rimase lì nella testa. Gigi aveva tentennato fino alla fine e solo in extremis si era convinto. A distanza di anni è ciò che mi è rimasto più nell’animo: aveva esitato e io gli credo.
Poi è successo quello che sappiamo, il momento in cui c’è un prima e un dopo. Non tornerà, e sono parole sue, quello di prima, ma tornerà un calciatore. Capello non lo butterà nella mischia in un Milan stanco la sera della finale contro l’Ajax se non per una manciata di minuti a buoi abbondantemente scappati e rimane un errore da matita rossa per don Fabio essendo Lentini, in quel finale di 94/95, uno dei più in palla della squadra. Un paio d’anni e ciao Milan. Un paio d’anni e Gianluigi si ricongiunge a Bergamo con Emiliano Mondonico. Nel 96/97, complice il Toro del malcapitato Sandreani che tutto fa tranne che attrarre, mi ritrovo a seguire cosa fa Gigi nella non amatissima Bergamo e cavolo se fa bene. Torna quasi imprendibile, torna decisivo, fa segnare una marea di reti a Inzaghi, duetta con Morfeo. Non è quello di prima? Non importa, perché è sempre magico. Si parla addirittura di ritorno in Nazionale, ma Lentini decide che il ritorno è un altro. Da noi.
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Mentre un Toro che si trascina stancamente verso un’umiliante metà classifica cadetta schierando (con tutto il rispetto possibile) i vari Lombardini, Cinetti, Rocco e compagnia danzante, la nuova presidenza Vidulich decide che il solo modo per risvegliare un ambiente depresso e voglioso di sbattere la testa contro il muro sia far tornare Lentini. Il riuscirci è una fiammata di gioia. Mentre la squadra chiude il campionato con un umiliante 4-0 interno col Ravenna, la testa è tutta per lui, l’entusiasmo è ritrovato. Il capitano è ritornato a casa, anche se non si deve mai tornare dove si è stati bene lui è qui. Non ricordo di essermi mai esaltato così per nessun acquisto in vita mia.
Purtroppo Gigi si prenderà tutto il brutto possibile di quegli anni. Per esempio il furto subito col Perugia nel finale di campionato 97/98 che ci privò di una promozione sacrosanta. In tutta la baraonda di quelle ultime giornate più spareggio, a un turno dal termine, fece conoscenza dell’entrata peggiore che abbia mai subito su un campo di gioco compiuta da un giocatore che amava indossare lo smoking bianco in una delle sue configurazioni successive. I segni sotto la maglietta mostrati il giorno successivo ai giornalisti restano le dolorose stimmate di un periodo orrendo. Ci furono anche momenti difficili, addirittura qualche contestazione. In una delle partite più nere del Toro di fine secolo, un 2-2 col Milan con doppietta di Pinga e B a un passo, lo stadio contestò pesantemente Mondonico, anche lui tornato per darci una mano e forse convinto proprio dal suo pupillo, e in molti se la presero anche con Gigi. Volevo nascondermi.
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Però ci furono anche cose belle. D’altra parte è proprio Gigi, di testa in tuffo, a buttare in porta un perfetto traversone di Sommese sul neutro di Benevento contro la Fidelis Andria. Si tratta del gol del 2-0 il giorno del 4-1 che ratifica la promozione matematica in serie A. Sette giorni prima si era conquistato un rigore decisivo contro il Brescia. Nella faticosa risalita il graffio di Gigi, quindi, c’è ancora. Poi, dopo la retrocessione della stagione successiva, un triste addio con la nuova dirigenza e un’incredibile avventura a Cosenza dove si farà adorare. Tempo dopo Mondonico lo raggiungerà mantenendo intatto il dolce filo che li lega. Ogni tanto ammetto di andare a vedere lo splendido gol dal limite con cui Lentini decise Cosenza-Treviso al 90’.
In molti pensano a cosa avrebbe potuto essere Gigi senza quel maledetto incidente. Ma Lentini non è un incompiuto, Lentini è quello che abbiamo visto. I suoi primi tre anni completi in A con Toro e Milan non hanno mostrato un calciatore promettente, ma un calciatore già vero, già decisivo, già insostituibile. Uno che ti faceva vincere partite e campionati. Noi sappiamo cos’era Gigi, il destino ha voluto diversamente, ma noi sappiamo che Lentini è quello, anche se il Gigi successivo era un bel giocatore (mentre scrivo mi viene in mente il match di coppa Italia contro il Milan vinto 2-0 dove fu incontenibile). In parole povere, Lentini non ha mai avuto nulla in più da dimostrare, perché aveva dimostrato tutto. Non esiste nessun giocatore che mi abbia emozionato così, in tanti si sono avvicinati, ma lui è lui e non è semplice nostalgia, bensì la pura e semplice realtà. Grazie di tutto Gigi, il mio cuore urlerà sempre “Gigi alè, Gigi Lentini”.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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