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Ho visto Zaccarelli
Sono nato nel 1979, tre anni dopo l’ultimo scudetto. Non l’ho vissuto, me l’hanno raccontato. Mio nonno granata che lo ascoltava alla radio. Mio padre, interista, che invece andava a vederlo allo stadio. Non mi bastava. Con una determinazione cieca ho divorato almanacchi del calcio Panini, ho acquistato libri, ho visto filmati, sono andato a riprendermi vecchi giornali, a tuffarmi negli speciali che ogni tanto andavano in tv. Volevo tutto, perché non c’ero.
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Sono nato nel 1979 e man mano che arrivavo all’età in cui cominciavo a capire qualcosa e a poter ricordare cosa vivevo, tutti i calciatori protagonisti di quello scudetto erano già andati via o avevano addirittura smesso. Tutti tranne uno e non uno qualsiasi. Inizio a tifare Toro nel 1985 e lui c’è, c’è e non è un ricordo sbiadito, perché anche se ero solo un bambino ce l’ho stampato lì davanti. Almeno un giocatore che ci ha aiutato a cucire il tricolore sul petto è ancora con la nostra maglia addosso, perché non se l’è mai tolta. E’ Renato Zaccarelli, quindi posso dirlo: ho visto Zaccarelli.
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“Zac” 1985/86 va per i trentacinque. In panchina lo guida Gigi Radice, tornato un anno prima per provare a rivivere i fasti del 1976. Non arriverà lo scudetto, ma, soprattutto all’inizio, saranno anni bellissimi. Renato, dopo una vita da mezzala, progressivamente è arretrato nel ruolo di libero. Si sa, verso fine carriera molti giocatori lo fanno, ma lui interpreta tutto in modo diverso. Non è una maniera di svernare, ma di dare un apporto ancora più prezioso alla squadra, con saggezza, con senso tattico. Altrimenti non lo troveresti anche in avanti, durante sganciamenti dai quali il suo successore, Roberto Cravero, ha sicuramente preso esempio. Altrimenti quell’anno non vincerebbe il Guerin d’Oro come migliore giocatore del campionato.
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La prima partita di cui ho ricordi è un Inter-Toro 3-3 e Zaccarelli segna con una gran botta da fuori, ma l’arbitro annulla ravvisando un fallo di mano quando un difensore nerazzurro gli calcia addosso liberandolo, di fatto, al tiro. Sembra petto, comunque il braccio è attaccato al corpo: niente. Sarà comunque un grande pomeriggio. La rete di “Zac” è rimandata di un paio di mesi, ma per certe gioie si può tranquillamente aspettare se arrivano nella partita più attesa dell’anno.
Sedici febbraio 1986, battute finali. Il Toro è immeritatamente sotto per 1-0 e usufruisce di una punizione da circa venticinque metri. La conclusione di Junior è un proiettile, la respinta di Tacconi è plastica, ma la sfera resta lì. Sul pallone, ancora più velocemente della bordata di Leo, si avventa una maglia granata che pareggia in spaccata. Mentre viene giù la curva Maratona, mentre Radice, con un elegante cappotto marrone, esulta con foga e poi rimane qualche secondo fermo col pugno alzato, un nugolo di altre maglie granata copre quella che ha segnato, tanto che nemmeno Ameri capisce subito chi sia il marcatore. Ai compagni che lo sommergono si aggiungono anche persone che stazionavano a bordo campo in quelle scene che oggi non potremmo mai più vedere. “E’ Zaccarelli, il capitano” così Ameri annuncia all’Italia intera che Renato ha segnato una rete pesantissima nel derby della Mole, l’ultima della sua carriera perché nel 1986/87 non ne farà. E la testa vola a una decina di anni prima, campionato 1974/75 dove ancora una volta una zampata di “Zac” ci aveva fatto impazzire con un gol che non era valso solo un pareggio di granito, ma una vittoria da ricordare. Un 3-2, uno dei tanti 3-2 che amiamo ricordare nelle sfide coi bianconeri. Prima di ritornare lì ascoltiamo ancora le parole del numero quattro: “Ho capito che il calcio di punizione era la nostra ultima occasione e mi sono buttato avanti, alla disperata, sperando che qualcosa di grosso sarebbe successo. E’ stato infatti così, Tacconi non ha trattenuto il pallone e l’ho calciato in porta con tutte le mie forze. Non posso dire neppure come ho fatto, un avversario mi è rovinato addosso e non ho neanche visto il pallone entrare in rete. Me ne sono accorto quando i compagni mi son saltati addosso e mi hanno abbracciato a lungo, impedendomi di alzarmi da terra. Una sensazione meravigliosa, la consapevolezza che qualcosa di incredibile era accaduto. Per me quell’attimo è stato veramente il raggiungere qualcosa di magico, tanto a lungo inseguito”. Poi due parole sulle possibilità di convocazione in nazionale per i mondiali messicani, la consapevolezza che i giochi per i ventidue siano fatti, ma la determinazione di voler mettere qualche dubbio nella pipa di Bearzot. Col senno di poi, ma anche col senno di allora, convocare Zac male non avrebbe fatto.
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30 maggio 1975, il numero sulle spalle stavolta è il dieci. E’ un derby vibrante, come quasi sempre negli anni settanta. In quelle partite siamo più Toro che mai, come quasi sempre negli anni settanta. Pulici ci porta avanti due volte, la gobba ci raggiunge con Bettega e Capello. Il gol di quest’ultimo, a 7’ dal termine, pare aver messo l’ipoteca sul segno x. A 2’ dal termine Claudio Sala, in una delle ultime apparizioni col nove sulle spalle, scende sulla destra e, pur cadendo, crossa. Graziani controlla col destro, si destreggia sull’attacco di un difensore e trova lo spazio per calciare. Zoff tocca col piede, la palla rimbalza, trotterella, lenta. Dietro la porta bianconera qualcuno sta saltellando pregustando il meglio, ma la sfera rimbalza contro il palo. Agroppi e Furino si fiondano sul pallone, si scontrano, la telecamera si muove come se seguisse una partita di tennis e in questo strano tremolio Zaccarelli mette dentro. Un gol di rapina anche questo, come quello del 1986, perché nel derby anche chi ha tecnica sa usare la scimitarra. Tanto arriva il momento giusto per usare la classe quando ce l’hai.
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Per esempio l’anno dopo, quello del tricolore, nella Milano rossonera gioca una partita pazzesca in una di quelle gare che fanno capire che sì, può essere davvero l’anno giusto. Il numero dieci manda completamente a vuoto Turone sulla sinistra con una magia, entra in area e batte Albertosi in uscita con un tocco vellutato a scavalcarlo dando il via a un successo che, in casa del Diavolo, mancava dal 1954. Nel 4-2 contro il Verona, dopo aver colpito una traversa con un poderoso sinistro al volo, segna il provvisorio 3-1 penetrando come una lama nel burro nella difesa scaligera. Nel pazzesco 4-3 alla Fiorentina, il giorno della clamorosa tripletta di Pulici con tanto di stretta di mano di Mazzone, sigla il preziosissimo 3-2 con un tocco astuto su assist di Salvadori. Nella goleada col Cagliari, dove il profumo di scudetto ormai è così forte da inebriare, avvia l’azione servendo Pulici, che a sua volta smista a Graziani, e la chiude con uno splendido sinistro in diagonale su servizio di Ciccio. La classe travalica anche i confini nazionali e accarezza l’azzurro, come in un pomeriggio a Mar de la Plata quando un diagonale splendido di Zac completa la rimonta sulla Francia nell’esordio italiano ai Mondiali ’78.
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Anche dopo aver appeso le scarpette al chiodo Zaccarelli ha continuato a essere tra noi, a essere dentro il Toro anche in momenti difficili dove aggrapparsi a lui era la cosa più granata che potessimo fare mentre intorno tutto cadeva a pezzi. Ho visto le sue lacrime di gioia la sera della finale playoff col Perugia, in quella che sarebbe diventata una “stagione che non c’era” visto che, di lì a poco, il fallimento ci avrebbe inghiottiti. Ho visto Gianluca Berti prenderlo letteralmente di peso per portarlo sotto la curva. Ancora lacrime di commozione il giorno del Centenario, quando Chiambretti ha letto il suo nome e lo stadio gli ha tributato un’ovazione. Renato continua a portare il Toro dentro ovunque vada, anche quando fa la seconda voce su Sky, sebbene sia integerrimo, serio e professionale. Però a volte capita che, quando ci commenta, il microfoni resti aperto e si senta qualche sospiro quando sbagliamo un gol o quando lo segniamo. Segnali impercettibili che però il nostro orecchio granata coglie, come lo scorso anno durante la rimonta contro il Sassuolo da 0-2 a 3-2.
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Ho visto Zaccarelli e sono felice che sia successo. Buon compleanno, immenso Zac, sempre elegante, ma con il cuore.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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