Roberto Cravero ha vinto “soltanto” due derby, benché meravigliosi. Il primo è stato quello della semifinale d’andata della Coppa Italia 1988, lo splendido 2-0 targato Gritti-Ezio Rossi che ipotecò la qualificazione. Il secondo è quello di ritorno del 1990/91 in cui l’autorete di Daniele Fortunato stese la Signora che sarebbe stata poi superata e lasciata fuori dall’Europa. La stracittadina più dominata, quella della doppietta di Casagrande, fu costretto a guardarla perché tre giorni prima i tacchetti di Hagi avevano rischiato di stroncargli una gamba.
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Il derby di Cravero
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Tra le numerose sfide gagliarde spesso conclusesi in parità ce n’è una che è impossibile non associare a lui ed è quella del 26 aprile 1987, nella mia testa “il derby di Cravero”. Roberto ha ventidue anni ed è alla prima vera stagione da titolare con la maglia granata, di lì a poco a fascia da capitano verrà indossata stabilmente dal suo braccio e solo un totem come Franco Baresi impedirà, come ad altri bravi liberi della sua epoca, di indossare l’azzurro. Definire Robi libero, in realtà, è riduttivo dato che sa farsi valere anche avanzando a centrocampo e addirittura in attacco. Per esempio a Udine, alla penultima gara del girone d’andata, per ovviare alla lunga assenza di Kieft gioca col nove sulle spalle e realizza un gol di rapina nel finale che permette ai granata, tenuti a galla da un Lorieri mostruoso, di pareggiare il vantaggio di Collovati. Il suo vero ruolo, però, è quello di comandare la difesa anche se il suo perfetto inserirsi in avanti ne farà un interprete ultramoderno del ruolo.
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Il Toro sta vivendo un momento difficile nonostante il valore della squadra sia nettamente superiore a quello che dice la classifica fra campo e panchina. Fa effetto vedere una squadra allenata da Radice e capace di schierare i vari Francini, Dossena, Junior, Sabato, Kieft e (appunto) Cravero all’undicesimo posto in classifica. Ha pesato molto l’assenza dell’attaccante olandese per un lungo infortunio che renderà opaco anche il suo rientro, si parla di tensioni nello spogliatoio, Sergio Rossi sembra vicinissimo all’addio scatenando un domino infernale che porterà giorni infelici ai granata in futuro. L’ultimo mese abbondante ha visto i granata essere estromessi, ma sarebbe più corretto affermare “derubati”, dal Tirol nei quarti di Coppa Uefa, rimanere fuori dagli ottavi di Coppa Italia per mano del Cagliari ultimo in classifica in B, ma che di lì a poco farà fuori anche i bianconeri prima di venire travolto dal Napoli di Maradona in semifinale e senza vittorie in campionato. A essere precisi il successo in serie A manca dal primo febbraio, seconda di ritorno: una vita. Per trovare un po’ di pace i granata tentano la carta dei ritiri e del silenzio stampa, ma invano. Di contro la Juventus si rende protagonista di un campionato tutt’altro che brillante: troppo distante dal Napoli futuro campione d’Italia in campionato, eliminata ai rigori del Real ai rigori in Coppa dei Campioni e in corsa solo per la Coppa Italia anche se abbiamo visto come finirà. Il primo anno del dopo-Trap (e l’ultimo di Platini) è grigio. Il derby non può salvare la stagione per nessuno, ma sicuramente può rendere il finale molto meno amaro.
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Sembra retorica, ma l’arma in più dei granata sin dalle primissime battute è il Fila. Partono dal 1’ Francini, Cravero, Giacomo Ferri, Comi, Ezio Rossi, Dossena e Lentini e la voglia di riscatto si vede subito nella rabbia e nella furia con cui giovani e meno giovani granata si buttano nell’area bianconera anche se spesso non sono precisi, come dimostra un’inusuale ciabattata di sua maestà Leo Junior da ottima posizione. Lo specchio della porta lo centra solo Dossena dalla distanza con Tacconi che si salva in angolo, mentre, paradossalmente, i pericoli più grossi li crea la Juventus con due colpi di testa di Serena (il primo a lato di nulla e il secondo respinto dalla traversa). Copparoni si sporca i guanti ribattendo la conclusione dalla distanza di Soldà e la prima frazione si chiude a reti inviolate.
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Lo stiramento inguinale di Junior fa sì che la pattuglia del Filadelfia si rafforzi a inizio ripresa con l’innesto di Diego Fuser per il brasiliano che, all’esordio in serie A, si presenta strappando il pallone a Michel Platini. Lo stesso numero dieci francese, con una rasoiata dalla distanza, costringe Copparoni a distendersi e a salvare in corner, ma la rete bianconera è rinviata di poco. Vignola, che nel primo tempo ha rilevato l’infortunato Pioli, batte una punizione dalla sinistra sulla linea di fondo, Brio irrompe di testa e per la difesa granata non c’è scampo. Manca poco più di un’ora alla fine e il Toro deve ingoiare l’ennesimo boccone amaro del periodo e provare a ritrovare le forze per raddrizzare la situazione.
Poco dopo la metà del secondo tempo il derby si colora di rosso. Rosso è infatti il sangue che perde Copparoni dal capo dopo uno scontro fortuito con Serena e le immagini restano impressionanti anche quando le guardi sapendo che tutto è finito bene. Il “Coppa” è stato ferito al cuoio capelluto e se la caverà con un buon numero di punti di sutura, mentre il centravanti bianconero, colpito da ingenerosi fischi per l’accaduto, è sotto shock e di fatto esce dalla partita, incredulo sull’aver causato una ferita simile all’ex compagno dato che indossava scarpe con tacchetti di gomma. In serata l’ex granata andrà a trovare il portiere che lo scagionerà completamente (“Scontro fortuito, Serena non ha colpe, ditemi soltanto come ha pareggiato il Toro, come ha segnato Cravero”. Ci arriviamo, Renato. Un attimo e ci arriviamo).
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Il Toro si ribella rabbiosamente all’ulteriore colpo subito dalla sorte e si riversa in avanti con tutti gli effettivi spingendo in maniera esaltante. Ci prova Corradini, che reclama anche un rigore, ci prova due volte Comi, ci prova anche Dossena con una splendida soluzione a spiovere su cui Tacconi si salva con affanno poi, a 4’ dalla fine, sotto una Maratona ruggente ecco che si materializza “il derby di Cravero” dopo un’azione che parte da Venaria, prosegue a Carmagnola (o meglio, a Villastellone) poi torna da Venaria. Di Venaria è chi avvia e chi conclude il tutto (Fuser e Cravero), di Carmagnola, come luogo di nascita, e Villastellone come comune in cui è cresciuto è chi la rifinisce, cioè Gigi Lentini.
Fuser parte in percussione, salta un avversario che prova a fermarlo in scivolata al vertice destro dell’area e poi perde un rimpallo, ma solo apparentemente visto che la palla finisce a Lentini. Gigi sembra rallentare, caracolla verso il fondo e fa partire una parabola arcuata, insidiosa, ma non altissima. Sebbene contesto e tipo di cross siano diversi (teso da sinistra quello di Graziani, morbido da destra quello del numero undici di giornata) la distanza del pallone dal suolo non è così diversa da quella che Pulici, in tuffo, impattò il giorno dello scudetto del 76. Cravero sicuramente non ci ha pensato, ma il suo dna granata l’ha fatto per lui e, benché quasi affossato da Bonini, si butta per deviare la sfera e ne esce un proiettile che termina sotto la traversa.
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La Maratona esplode. Il viso di Cravero è, nei primi momenti del festeggiamento, stravolto dall’energia, con la bocca che disegna l’urlo più bello se hai appena segnato “GOOOOL”. Alcuni tifosi in campo cercano di abbracciarlo, ma non contengono la sua gioiosa furia che si placa quando arriva Antonio Sabato che lo cinge felice prima che arrivino i compagni. Il numero quattro va verso Radice che lo attende a braccia alzate come liberato da un peso. La faccia di Cravero, dopo l’abbraccio del Mister, è pura gioia, serenità. Gli ultimi metri verso il centrocampo sono a braccia alzate, sorridente. Sembra un ciclista che ha appena vinto una tappa in volata, ma i ciclisti non indossano la maglia più bella del mondo che, a fine partita, volerà in Maratona “tra un muro di facce felici e di braccia levate al cielo” come scriverà La Stampa. “I Boys del Toro fermano la Juve” titola il giornale torinese, “Il fuoco granata manda in cottura la Juventus” risponde il Corriere della Sera. In un pomeriggio in cui i ragazzi del Fila hanno dimostrato ancora una volta cosa sono capaci di fare per il Toro è giusto che il sigillo l’abbia messo uno dei più granata di sempre.
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