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Il pallonetto di Pulici

Francesco Bugnone
Francesco Bugnone Columnist 
Culto / Torna la rubrica di Francesco Bugnone. Il grande protagonista è Paolo Pulici

Mi sono sempre chiesto cosa pensa un artista mentre sta componendo quello che sarà un capolavoro. I Pink Floyd si stavano rendendo conto di cosa stavano facendo quando hanno iniziato a mettere giù le prime note di “Wish you were here”? Picasso sapeva che avrebbe dipinto qualcosa di immortale quando ha iniziato “Guernica? Camus era conscio del libro mostruoso che avrebbe scritto vergando le prime righe de “Lo straniero”? E Pulici, quando è partito in progressione in un pomeriggio di inizio novembre 1972, sapeva che di lì a poco avrebbe fatto un gol che sarebbe entrato nell’immaginario collettivo tanto da marchiare a fuoco un derby che, per sempre, sarà ricordato come quello del pallonetto di Pulici?

Siamo in pieno Tremendismo. Che cosa sia è difficile da spiegare a parole, perché è così autoevidente che, come molte cose che lo sono, c’è sempre l’impressione di dire qualcosa che non renda totalmente l’idea, di non essere abbastanza bravi a raccontare. Però se nominiamo quella parola, accostata a noi dalla genialità di Giovanni Arpino, sappiamo tutti a cosa pensare: al colbacco di Giagnoni, a Ferrini, capitano infinito, a una squadra mai doma, lottatrice, con gli attributi, così calata nella parte che le maglie sono granata anche nelle immagini in bianco e nero. Tutte cose che, a volte, accostate al Toro possono sembrare retoriche. Bene, in quel caso specifico no. Perché, semplicemente, erano vere.

E’ una squadra forte quel Toro, amato come poche altre versioni dalla sua tifoseria. Castellini, Cereser, Agroppi, Sala, Fossati, Rampanti, Ferrini, il giovane Mozzini, Bui, solo per fare qualche nome. L’anno prima ci hanno rubato lo scudetto. Non per dire, letteralmente. Il gol non dato ad Agroppi a Genova, quello annullato a Toschi a San Siro, un punto solo dalla Juventus vincitrice, la lotta per il tricolore indirizzata da due fischietti di Cormons. L’inizio della stagione è alterno: in casa leoni, fuori meno. In coppa Uefa c’è la clamorosa eliminazione contro il Las Palmas, con il fortissimo sospetto di essere stati buggerati alle Canarie, per aver ingurgitato un sedativo (il Luminal) che inciderà talmente sulla prestazione dei nostri da prenderne quattro, dopo aver vinto 2-0 all’andata. Al quinto turno, però, c’è il derby e non è come adesso, dove sono zero punti quasi sicuri e non vediamo l’ora che passi. Al tempo non vediamo l’ora di giocarlo, perché spesso lo vinciamo, facendo passare 90’ non gradevoli ai cugini.

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E questo, tra le altre cose, succede perché c’è Paolo Pulici. Anche lui difficile da spiegare a parole, perché non sono sufficienti, non sono mai abbastanza. Ma ci sono gli occhi. Chiunque l’abbia visto dal vivo, lo sa. Chiunque abbia visto le sue immagini, lo sa. Paolo Pulici, detto Puliciclone, è un supereroe, potentissimo, ma in grado di incredibili colpi di classe. E’ un attaccante che potrebbe giocare benissimo nel calcio di dieci, venti, trent’anni dopo se una macchina del tempo lo teleportasse su un qualsiasi campo del futuro. In una partita dei primi anni 90 fra nazionale allenatori e nazionale cantanti, su cross, ovviamente, di Claudio Sala, stoppa di petto e si inventa una rovesciata incredibile. In porta c’è Paolo Mengoli, ma non l’avrebbe presa nemmeno Jascin. Poco prima aveva segnato con un tiro al volo dal limite nel sette per cui varrebbe lo stesso discorso su torre, ovviamente anche qui, di Graziani. Il tutto sotto la Maratona. E’ il 1992, ha 42 anni. Certi giocatori non riescono a fare certe cose nemmeno a venti.

Il Pulici del 1972/73, dopo anni di pura irruenza, ma con meno gol di quanto atteso, dopo un passaggio con la Primavera di un paio di mesi a ripassare i fondamentali, è pronto per sbranare il mondo, per riversare sul campo la sua onnipotenza e vincere il primo dei suoi tre titoli di capocannoniere e lo fa vedere da subito. Ha già segnato tre gol in quattro partite e la gara contro la Juventus è l’ideale per far vedere chi è diventato ora, ovvero quello di cui avranno paura per anni.

Il Toro è privo di Sala, sostituito da Crivelli che seguirà ovunque Haller. La Juve si mangia subito un gol con Bettega sugli sviluppi di un angolo e al 7’ il Toro punisce: Fossati scende sulla sinistra e centra basso per Bui che prova la sponda per Pulici. Paolino sembra in controtempo, anzi lo è. Però quella palla lo chiama e allora torna indietro, se la sistema col sinistro, la porta leggermente avanti col destro e infine, col mancino, trova l’angolino basso con Zoff che non può arrivarci. 1-0, sotto la Maratona. Il resto del primo tempo è pieno di botte, Morini e Marchetti vengono graziati dall’arbitro, il primo per un pugno sullo scatenato Rampanti, il secondo per un fallo di reazione su Ferrini. La difesa granata regge bene, guidata da uno Zecchini autoritario. Si va negli spogliatoi sopra di uno.

Nel secondo tempo la Vecchia Signora prova a reagire. Capello invoca un rigore, Haller sfiora il palo di testa, Castellini vola sicuro su tiro di Causio. Poi arriva il minuto 63. Pulici parte. La sua curva, con cui ha un rapporto simbiotico, è alle spalle. Ha sempre detto che era la Maratona a dargli l’idea della vicinanza della porta, come se a seconda del ruggito del cuore del tifo granata potesse capire cosa potesse o non potesse fare. Chissà cos’ha sentito quando è partito a velocità tripla rispetto agli altri giocatori in campo e si è inoltrato nella metà campo avversaria. Forse ha sentito che avrebbe potuto chiudere quella corsa in un solo modo: segnando. Bisogna decidere come. E qui il come fa la differenza.

La testa, fino a quel momento bassa, si alza. Due bianconeri stanno provando a rinvenire su di lui, uno da dietro, l’altro da destra, ma Pulici guarda il portiere, non uno qualunque, Zoff, il più forte di sempre in Italia, forse. E’ fuori dai pali e allora il pensiero è fulmineo, o forse non è un pensiero, solo istinto. O forse è un superpotere. Qualunque cosa sia, sì, è ora di fare il pallonetto. Solo che non è un pallonetto morbido, non è un cucchiaio che sale e scende beffardo. E’ un pallonetto, ma al tempo stesso è forte, perché scagliato in corsa. Va su veloce e scende dolcemente. Per gonfiare la rete. Per entrare nella storia. Un gesto di culto.

Al 77’ Anastasi, al volo su cross di Haller da destra, punisce l’unico vero errore della difesa granata e accorcia le distanze, ma è tutto quello che la Juventus può fare. Quello è il derby del pallonetto di Pulici e se finisse 2-2 non sarebbe la stessa cosa. Forse per lo stesso motivo Pupi, con un altro affondo irresistibile, si fa chiudere in uscita da Zoff. Sarebbe stato ricordato come il derby della tripletta di Pulici e no, la storia, il destino, sotto forma di due tacchetti che saltano e lo fanno scivolare leggermente al momento del dunque, lo hanno impedito. Tanto Pupi il pallone se l’è preso lo stesso e l’ha portato alla sua bambina.

C’è una foto scattata immediatamente dopo il raddoppio. Zoff è in ginocchio. La sua espressione imperturbabile, per una volta, ha un lampo di incredulità per quello che è appena successo. Anche al più forte può capitare di prendere un gol così, se il tiro lo scaglia un demonio. E quel demonio sta passando dietro al portiere, nulla di beffardo, le braccia alzate, pensa solo a correre e  a urlare di felicità per il suo quinto gol in cinque partite, per un gol immortale, per la sua personale “Wish you were here”. E’ così che festeggia quando si è appena fatto il pallonetto di Pulici. E io vorrei essere nato quindici anni dopo per la possibilità di vivere quel momento dal vivo.

Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentinie…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.

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