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Il calcio è fatto di paradossi. Il Brasile del 1982, era probabilmente la squadra più forte del mondo, anzi della maggior parte dei mondi immaginabili dalla mente umana, ma sta ancora piangendo per colpa dell’Italia, mentre quello del 1994 è stato uno dei meno dotati tecnicamente della sua storia (per quanto possa non essere dotato tecnicamente un Brasile), ma ha alzato la coppa del mondo e le lacrime stavolta sono state tutte azzurre. Venendo ai colori granata, come già detto qualche puntata fa, al Toro del 76/77 non è bastato giocare ancora meglio di quello dell’anno prima, avere la miglior difesa e il miglior attacco, perdere una sola partita, per rivincere lo scudetto. In mezzo a questi paradossi illustri, ne infilo uno più piccolo, ma clamorosamente vero: alcune delle partite del Toro di Franco Scoglio sono state le migliori giocate che abbiamo giocato in A nel periodo che va da metà anni ’90 al 2012. Grinta, tante occasioni, calcio propositivo. Allora perché è finita così male, con un esonero dopo 14 partite? Forse perché certe stagioni sono maledette e alcune sono peggio delle altre. La retrocessione del 1995/96 è un mix di suicidio sportivo (la gestione del caso Sukur, tre portieri che quell’anno sembrano aver disimparato come parare, Pelè lontano parente di quello dell’anno prima), torti arbitrali e sfiga difficilmente ripetibili. In più, in quelle quattordici partite, ci sono tre sliding doors che avrebbero potuto cambiare tutto e su cui, al contrario, ci spaccammo allegramente le corna. Ma andiamo con ordine.
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Io adoravo il Professore, sin dal suo storico “altrimenti dico parole ad minchiam” dopo un Cremonese-Genoa. Poche cose avrebbero potuto rivitalizzare un ambiente reduce dal derby perso 5-0 la sera del suo ottantanovesimo compleanno che costò la panchina a Nedo Sonetti, il quale non è riuscito a bissare lo splendido lavoro dell’anno precedente: con l’ingaggio di Scoglio, Calleri fa una di queste. La conferenza stampa di presentazione è subito pirotecnica: le somiglianze fra popolo genoano e popolo granata, il tifoso del Toro che l’ha chiamato dall’Australia, il Toro che non deve più fare tenerezza, ma paura, il Toro come squadra più attrezzata mai allenata. Pochi giorni di allenamenti full immersion, dove si provano la zona sporca e il rombo a centrocampo, e a Orbassano tornano a vedersi un sacco di tifosi a bordo campo.
L’esordio è subito un delicatissimo scontro salvezza contro il Piacenza, avanti due punti in classifica e va alla grande. L’intuizione migliore è Angloma, che sarà quasi sempre il migliore in campo nella gestione Scoglio, schierato davanti alla difesa, ma anche Dal Canto a coprire le spalle di Milanese funziona. Dopo un palo di Cristallini, arriva l’uno-due di Rizzitelli: prima un rigore e poi un tiro al volo sotto misura su assist di tacco di Karic che, in queste partite, dà l’illusione di essere un giocatore vero. La sfiga prova a fregarci con Caccia che segna proprio nell’istante in cui Cravero a bordo campo dolorante per un guaio muscolare, ma la paura la scaccia via un’azione pazzesca: tacco di Rizzitelli, Angloma controlla e affonda in area dove di esterno serve a Pelè un pallone da scaraventare nella porta sguarnita. Sono davvero gli stessi che ne hanno presi cinque domenica sera? Un sontuoso filtrante di “Rizzi” per l’inserimento di Bernardini che esegue benissimo vale il poker, inutile il gol di Caccia al 90’. Il Toro sorpassa il Piacenza ed è momentaneamente fuori dalla zona retrocessione, prima della trasferta in casa del Milan capolista.
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L’avversario è da far tremare i polsi, anche se è stato appena eliminato dal Bologna cadetto in Coppa Italia, dopo una maratona conclusa ai rigori a oltranza, ma Scoglio carica l’ambiente parlando di tabelle e di Intertoto. L’inizio del Toro a San Siro è consequenziale: Rizzitelli si presenta a tu per tu con Rossi che gli si oppone, poi, sugli sviluppi dell’azione, arriva un rigore per contatto Albertini-Karic che il numero sette trasforma. Boban pareggia quasi subito, poi il resto è Fort Apache: Caniato, che solo poche settimane prima stava per lasciare il calcio e occuparsi dell’impresa di pulizie familiare, para tutto, giocatori che si sacrificano opponendo l’opponibile a qualsiasi tiro rossonero, mischioni, calci, infortuni. C’è anche un favore arbitrale, dopo tanti torti passati e futuri, quando Tombolini ignora un mani in area di Angloma su Weah (“Velasco convoca Angloma” il titolo di Fegato Granata) e il pesantissimo punto arriva. Battendo la Cremonese, il Piacenza ci riscavalca, ma poco importa, perché sembra davvero un altro Toro.
Per la seconda trasferta consecutiva, a Cremona, Scoglio sceglie gli hotel in base alla scaramanzia, ma la fortuna sembra guardare dall’altra parte già al 1’ quando Rizzitelli centra il palo dopo uno spunto personale o a inizio ripresa quando il tiro di Angloma dal limite o il sinistro di Milanese a tu per tu con Turci escono di niente. Al 66’, praticamente alla prima occasione, un inserimento di Giandebiaggi porta in vantaggio i grigiorossi. Il gol di Pelè all’80’, in mischia su involontario assist di faccia di Dionigi, evita la beffa, fa esplodere uno splendido settore ospiti ed è l’ultimo regalo prima di partire per la Coppa d’Africa. Che palle farsi il Natale in zona retrocessione, anche se per un punto solo.
Dopo le vacanze al “Delle Alpi” arriva il Parma di Scala, bisognoso di tre punti per restare in scia scudetto. Senza Pelè, Rizzitelli gioca dietro a Dionigi e Karic. Sensini ci purga, come ha fatto più o meno con qualsiasi maglia indossata, ma reagiamo con rabbia: salvataggio sulla linea di Karic, poco dopo pareggio di testa di Dionigi. Nella ripresa segna Dino Baggio e poi succede qualcosa che sembra affossarci definitivamente: probabile rigore su Dionigi e fallo da espulsione di Cristallini su Sensini nel giro, letteralmente, di due secondi. Questo Toro ha due palle infinite e Angloma, con una rabbiosa incornata, fissa il 2-2 che vale l’aggancio al Piacenza. Una vittoria, tre pareggi e la prima sliding door compare all’orizzonte.
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L’andata si chiude in casa della Lazio, posticipo domenicale. I biancocelesti di Zeman sono i crisi, mancano Signori e Boksic, c’è voglia di quel colpo che può dare la svolta al campionato. Rizzitelli e Angloma ne parlano apertamente, Scoglio evoca addirittura lo spirito del Filadelfia. Ma non sono le parole, bensì i fatti a dimostrare cosa voglia il Toro: difesa attenta e prontezza a ripartire appena ne ha la possibilità. Poi, al 73’, con l’ingresso di Dionigi per Bernardini ,Scoglio urla ai quattro venti “voglio vincere”. All’80’ Dionigi appoggia a Rizzitelli che, ai trentacinque metri, spalle alla porta, con un tocco di classe elude due avversari autolanciandosi verso Marchegiani, superato con un delizioso pallonetto. Un gol magnifico, di quelli da ricordare, di quelli che possono valere una stagione. Ma in pochi se lo ricordano, perché tutti hanno la testa a quello che succede al 90’, quando la Lazio sembra ormai rassegnata e butta un pallone in mezzo più per abitudine che per altro. Cosa sia passato per la testa di Maltagliati non è dato sapere. Cosa è passato per le nostre lo sappiamo benissimo quando abbiamo visto la palla colpita da un inspiegabile colpo di mano e Bettin indicare il dischetto. Anche quando il guardalinee richiama l’arbitro per dirgli che il fallo è fuori area siamo rassegnati, sappiamo già. Batte Iannuzzi, un ragazzo della primavera, una montagna di talento che verrà fermata dagli infortuni, un esperto di punizioni. Ripeto: sappiamo già. E infatti la rete si gonfia, la Nord esplode e mentre Iannuzzi abbraccia il fratello raccattapalle in lacrime, puoi solo guardare nel vuoto senza parlare. Hai un bel dire che al momento sei fuori dalla zona retrocessione, che un pari all’Olimpico non è da disdegnare. Puoi raccontarti quello che vuoi, ma sai che quel treno andava preso e invece l’hai perso.
La patiamo. Contro la Fiorentina ne prendiamo tre in casa. Da segnalare che, sullo 0-0, Quartuccio nega un clamoroso rigore (più espulsione) per fallo di Schwarz su Angloma al limite dell’area piccola, dando un opinabile vantaggio sprecato da Bernardini, ma è solo l’ennesima perla arbitrale della stagione. A Bari, invece, il vantaggio di Rizzitelli dura pochissimo e viene ribaltato da Andersson e Protti, ma i galletti decidono, dopo aver subito gol da Hakan Sukur all’andata, di provare l’ebbrezza di farsi segnare anche da Karic, lanciato da Cravero. La sconfitta avrebbe aperto un baratro, invece la salvezza, rappresentata dal Piacenza, è a un punto solo. La partita col Padova è qualcosa di molto simile a un’ultima spiaggia.
Coi biancoscudati è anche la duemilesima partita del Toro in serie A e la onoriamo alla grande. Rizzitelli segna subito con un gran colpo di testa, poi, dopo un palo da fuori di Gabrieli, ci fischiano un rigore a fine primo tempo: Bonaiuti para su Rizzi, palla sul palo e Cristallini insacca, ma Bolognino riesce a farci cristonare anche in una simile ricorrenza perché sostiene che l’ex pisano fosse entrato prima del tiro. Nella ripresa, dopo un palo di Karic, l’apoteosi: Angloma, scatenato, scarta Bonaiuti e, dalla linea di fondo, tocca magnificamente in rete in scivolata. Una rete pazzesca. Continuiamo ad attaccare, palo di Rizzitelli, tutto bello. No. Perché c’è la seconda sliding door ed è a Piacenza. Contro l’Inter, i biancorossi, che nel primo tempo avevano fallito un rigore, all’86’ subiscono a loro volta un penalty che potrebbe portarli a meno due da noi. Branca, però, se lo fa parare da Taibi. Peccato, ma siamo comunque avanti di un punto. Non sono allo stadio, sto guardando “Quelli che il calcio” a volume azzerato. Ma anche senza volume, quando appare l’immagine di Angelo Carbone che esulta al 95’ capisco che non sta festeggiando un pareggio., hanno vinto, sono davanti loro Di nuovo quel vuoto, come contro la Lazio. Anche se hai giocato benissimo e hai vinto 2-0.
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Perdiamo giocando male con la Samp, doppia beffa per il Professore ex genoano, poi c’è l’Inter che mai ha vinto in trasferta. Con la salvezza a due punti, ci si gioca tantissimo. Invece sarà la terza sliding door. Branca ci ha segnato alla sesta di andata quando era alla Roma, si ripete adesso che è passato all’Inter e in mezzo, ricordiamo, c’è stato il rigore sbagliato a Piacenza. Forse da piccolo ha litigato con un bambino del Toro e vuole farcela pagare, perché non è possibile questa sequenza.
Sono al “Delle Alpi” e, dal vantaggio interista in poi, ricordo solamente due cose: un tizio che ha insultato Milanese fino al 90’ per qualsiasi cosa accadesse in campo, anche a 50 metri dal terzino, e il Toro che domina. Una partita così a senso unico che anche il pari sarebbe stato strettissimo. L’Inter non fa più nulla se non subire e pregare: la tattica funziona. Rizzitelli si divora reti che non sbaglierebbe nemmeno volendo, Cristallini timbra la traversa da fuori, un colpo di testa di Milanese ballonzola davanti alla linea senza che arrivi nessuno, Pagliuca si oppone al tiro a colpo sicuro di Cravero, un colpo di testa di Dionigi fuori di un millimetro, un altro su cui Pagliuca fa ancora una grande parata e in mezzo Rizzitelli che mette dentro l’occasione più difficile, in rovesciata, ma, beffa delle beffe, era in fuorigioco. In qualsiasi universo il Toro avrebbe vinto questa partita. Noi ci troviamo in quello in cui l’abbiamo persa e siamo a -3 dalla salvezza. Vogliamo provare a illuderci, ma il percorso sembra segnato.
A Roma perdiamo per un’altra chicca arbitrale: l’azione del gol di Statuto nasce col guardalinee piantato con la bandierina alzata per un fuorigioco di Balbo (“Non c’ho più la forza di protestare”, il commento di Rizzitelli). Contro l’Udinese arriva la contestazione, ma il Toro ha un ultimo sussulto: due pali di Rizzi che poi sblocca su rigore e il raddoppio della giovane promessa Mezzano per sperare, in una gara della quale non esiste alcun riflesso filmato in rete. Il Piacenza torna a un punto. A Vicenza Otero segna in avvio, ma il pareggio di Angloma è tanto rapido quanto, ancora una volta, stupendo (sinistro al volo nel sette su lancio di Rizzitelli), però il finale, ancora una volta, vale più di tante parole: Otero segna di testa all’88’, nell’azione successiva Angloma colpisce un palo clamoroso. Il terzultimo posto torna a tre punti (Atalanta), Scoglio prova a pensare positivo, ma è sempre più dura.
Si dovrebbe andare a Napoli, ma lo sciopero dei calciatori rinvia la giornata e la gara successiva è contro il Cagliari, in posticipo. L’ultima chiamata per rilanciarsi è una via crucis: Oliveira e Rizzitelli segnano dal dischetto, i sardi sono vivaci, il Toro ha un macigno addosso. E poi c’è ancora lei, la sfiga. Arriva a pochi minuti dalla fine, quando Angloma, di testa, colpisce il quattrodicimilesimo palo che poteva cambiare tutto. I sette minuti di recupero sono buoni solo per farci incazzare dopo una grande parata di Abate su punizione di Pelè. Fischio finale, fischi del pubblico. A tre punti dalla zona salvezza si potrebbe ancora fare, ma Calleri decide di mandare via il Professore, incolpandolo di “non gioco” mentre per almeno due terzi della gestione Scoglio il Toro ha giocato e creato come non farà lontanamente nelle restanti partite. E allora via Scoglio, senza neanche la gioia di vederlo in un derby, di sentire cosa si sarebbe inventato. Arriva Lido Vieri e la squadra crollerà definitivamente, perdendo anche quel poco di proponibile mostrato fin lì (e Lido non è nemmeno lontanamente responsabile, sia chiaro).
Resta l’amaro in bocca per come avrebbe potuto funzionare con quel personaggio straordinario che, nonostante questo, per il popolo granata ha continuato ad avere parole buone fra un’esperienza all’estero e un ritorno al Genoa, correndo sotto la curva dopo un 2-0 in un derby. Fino a un capolinea che mi stringe il cuore ricordare, una profezia incredibile per come si è avverata. Morire parlando del Genoa, morire per diventare immortale. Ma Prof, perché. Lo saresti stato comunque.
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