CULTO

Il ritorno di Robi

Francesco Bugnone
Francesco Bugnone Columnist 
Nel settembre 1995 Roberto Cravero ritorna a casa e Culto di Francesco Bugnone racconta di quanto abbia amato la nostra bandiera anche in un triennio cupo che Robi, sicuramente, non meritava così doloroso.

L’agosto 1995 è appena finito e a Torino c’è già aria di crisi. I granata hanno perso la prima di campionato a Firenze dove, dopo un primo tempo sprecone, sono stati trafitti due volte dalla meteora Banchelli, poi vengono estromessi clamorosamente dalla Coppa Italia per mano del Fiorenzuola nonostante la rete di Dionigi. L’attacco deve ancora ingranare con il turco Sukur che soffre problemi di ambientamento, il centrocampo balbetta, ma i problemi più grossi sono in difesa e allora si corre ai ripari. Serve un giocatore importante, ma soprattutto un uomo importante, per questo Calleri decide di far tornare a casa Roberto Cravero che rescinde con la Lazio e riveste granata tre anni dopo il passaggio ai biancocelesti.

Roberto alla Lazio ha fatto bene e si è trovato bene, ma lui da Torino e dal Torino non sarebbe mai andato via, perché “Roberto Cravero granata vero” non è soltanto uno splendido striscione, ma la pura realtà. Rivederlo allenarsi con la nostra maglia, anche se non più al Filadelfia, e poi siglare una doppietta nella prima partitella è una cosa che emoziona e fa dimenticare ai tifosi sia la doppietta di Banchelli che il gol di Clementi che ci ha estromesso dal trofeo che alzavamo solo tre stagioni prima. Nel primo anno coi numeri fissi e i nomi sulle maglie il sei è già stato preso da Maltagliati, quindi Robi prende il ventiquattro. D’altra parte due più quattro fa proprio sei.

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“Voglio ripagare il Toro aiutandolo a crescere. Non sono il salvatore della patria, né possiedo bacchette magiche, però ho giocato con moduli di gioco diversi e con assi come Boksic e Signori in una Lazio da vertice. Quanto ho imparato lo metterò al servizio del Toro”. Queste le prime parole del Cravero bis che si concretizza il pomeriggio del dieci settembre quando Sonetti che lo schiera subito titolare contro il Bari. “Cravero forever” è lo striscione che lo accoglie mentre entra in campo con l’espressione emozionata. La presenza dello storico capitano granata, anche se ora la fascia è sul braccio di Rizzitelli, sembra dare la carica ai padroni di casa che, pur privi di Pelè, si buttano in avanti sin dai primi minuti e passano in vantaggio quando una botta di Bacci dal lato sinistro dell’area incoccia Ricci e finisce in rete. Sembra tutto bello, bellissimo, ma il revival finisce in fretta. Il Toro filtra poco a centrocampo e il Bari di Materazzi, con Gerson e Ficini, prende il sopravvento in fretta. Cravero si ritrova in difficoltà, lasciato spesso solo sugli attacchi avversari. A fine frazione un tocco rapido di Kenneth Andersson libera Protti al tiro e il futuro capocannoniere riesce a battere in diagonale mentre il numero ventiquattro prova a chiudere in scivolata. Biato non può che inginocchiarsi e guardare la palla infilarsi in rete.

Nella ripresa, però, col passare dei minuti il Toro sale e prende il sopravvento. Cravero si scioglie e  trova maggior confidenza, concedendosi anche qualche inserimento offensivo dei suoi. Una spettacolare parata in tuffo di Fontana su incornata di Cristallini è il preludio al gol del 67’. Lo segna Hakan Sukur saltando indisturbato su un corner da destra di Bernardini ed è una rete che sembrerebbe il preludio alla valanga di marcature sognate da tutti i sostenitori relativamente al bomber turco, invece sarà l’unico. Anche il suo sostituto Veldin Karic ne segnerà uno solo, sempre contro il Bari, stavolta al ritorno. Un errore del subentrato Doardo non viene punito da Andersson e a 3’ dalla fine il Toro chiude la partita con Rizzitelli che conquista e trasforma il rigore del 3-1.

Cravero è sorridente a fine gara. Franco Costa gli chiede dove fossimo rimasti e Robi ricorda Amsterdam, quindi afferma di essere contento che la sua avventura sia ripartita bene. Ritornando a quella serata Costa gli chiede se qualcosa sia cambiato dal punto di vista della fortuna. Ancora un sorriso del ragazzo di Venaria: “Sì, forse qualcosa è cambiato, anche se avrei preferito che fosse cambiato quella sera di tre anni fa”. La paventata crisi sembra allontanarsi, ma è solo un’illusione.

Nonostante Roberto giochi bene e sia spesso tra i migliori, anche se verrà fermato da qualche problema fisico, il Toro precipita nel triennio più buio della sua storia. Sonetti salta dopo un derby perso 5-0, Scoglio inizia bene, ma poi la sfortuna inizia ad accanirsi anche su di lui, Vieri non riesce a salvare la baracca ed è serie B. Se nel 1989/90 fu immediata risalita stavolta arriva un’annata mortificante con Sandreani in panchina e ancora Vieri richiamato nel finale. L’addio di Calleri e il cambio societario sembrano risvegliarci col ritorno di Lentini, ma quel maledetto palo di Perugia a Reggio Emilia ci ha ucciso ancora una volta o così sembrava.

Cravero è stato un giocatore immenso e non meritava un triennio simile. Non meritava il derby perso 5-0, le sconfitte col Castel di Sangro, il Delle Alpi semideserto, Souness allenatore, lo sconcio del duello contro il Perugia che rimane uno di quei furti fatti passare col silenziatore che gridano vendetta al cielo. Il troppo amore lo ha riportato a noi, ma il troppo dolore sportivo che ha subito con intorno qualcosa che tutto sembrava tranne quel Toro trascinato nella buona e nella cattiva sorte nelle stagioni fra fine anni ottanta e inizio anni novanta, non è giusto.

Il 14 giugno 1998 Cravero, teoricamente, lascia il calcio. Teoricamente perché le contemporanee vittorie del Toro sulla Lucchese (rete da cineteca di Ferrante) e del Perugia a Monza significano spareggio per decidere la quarta promozione nella massima serie. Allora quello di Roberto è “soltanto” l’addio alla Maratona che in quel pomeriggio si è agghindata come nei giorni migliori, con una scenografia stupenda. Il nostro avrebbe anche l’occasione per segnare, ma la difesa rinviene su di lui quando ci stavamo per abbracciare tutti insieme pensando a un finale da favola con una rete nel giorno dell’addio, però quegli anni sono solo beffe e porte sul muso, niente lieto fine, nonostante prima del match giri di campo, cori, abbracci e saluti avessero fatto sperare in qualcosa di diverso. C’è stato qualche sorriso, ma scompare quando è ora di tornare ai microfoni a commentare la gara con un’espressione ben lontana da quella sfoggiata dopo il 3-1 al Bari. Le parole sono secche, drammaticamente giuste e reali. Fanno male, ma al tempo stesso scaldano l’animo. “Penso che questa squadra meritava di andare in serie A subito per quello che ha fatto durante l’anno. Il Torino per avere qualcosa non lo deve meritare, lo deve strameritare e allora speriamo di strameritarlo in questo spareggio”. Non basterà nemmeno strameritarlo, invece, visto che nonostante 115’ in dieci contro undici per un’espulsione mai chiarita il rigore sul palo di Dorigo sarà l’ennesima coltellata sulla nostra pelle, una delle più dolorose e difficili da rimarginare.

L’ultimo pallone toccato da Cravero prima di lasciare definitivamente il calcio, prima di diventare in due occasioni dirigente del Toro (e, per favore, non fatemi ricordare anche cosa successe nel 2005 dopo la promozione con una delle squadre più futuribili che abbiamo mai avuto superando proprio il Perugia), è sul dischetto dello stadio di Reggio Emilia. Terzo rigore, i primi due li hanno segnati entrambe le squadre. Edi Reja ha mandato in campo Robi al minuto 103 al posto di Ficcadenti. Nessun numero ventiquattro, sulla schiena c’è il sei. Cravero ha trascinato il pallone fino al punto di battuta, concentratissimo. La rincorsa è lunghissima, il tiro è rasoterra e angolato, rimbalza una volta e si insacca. Dopo il gol la nostra bandiera esulta rabbioso, carica i compagni e abbraccia Ferrante. Ancora una volta ha risposto presente prima che il destino reclamasse, per l’ennesima volta, un pezzo del nostro fegato, neanche fossimo Prometeo.

Forse ti ho amato di più in quegli anni di quando facevamo tremare il Real. Grazie di tutto, Robi.