Luglio è cominciato male: Vincenzo D’Amico si è spento a causa di una brutta malattia proprio il primo giorno del mese. Il fantasista della Lazio del primo scudetto è stato un personaggio amatissimo e non soltanto dai suoi tifosi storici, ma anche dai semplici appassionati anche grazie alla sua seconda vita da commentatore dove, caso più unico che raro, è riuscito a essere credibile al cento per cento pur senza negare mai il legame con la sua squadra storica. Sarà merito della sua faccia da ragazzino che ha mantenuto con gli anni e che non poteva che fare simpatia o del mischiare leggerezza e competenza, cosa non da tutti. La carriera di Vincenzo D’Amico è, escludendo il biennio finale con la Ternana, tutta biancoceleste, ma con una piccola anomalia, un puntino color granata. L’esperienza al Toro del nativo di Latina è anomala per molti motivi. Quante volte, nella nostra storia, abbiamo dovuto sacrificare i nostri gioielli per motivi di bilancio? Stavolta siamo dall’altro lato della barricata, siamo noi a comprare un giocatore ceduto per necessità. La Lazio è retrocessa in serie B per la brutta questione scommesse, ha problemi di bilancio e non può cedere i pezzi pregiati Bruno Giordano e Lionello Manfredonia perché squalificati. Il bilancio piange e il presidente Aldo Lenzini, succeduto al padre Umberto, patron del tricolore, deve chiedergli di andar via, anche se, nelle prime interviste, il neo arrivato parla anche di qualche incomprensione col nuovo tecnico Castagner.
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In memoria di Vincenzo
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D’Amico arriva a Torino nel giugno 1980, quando Claudio Sala lascia il granata. Impossibile parlare di “sostituzione”, essendo due giocatori molto diversi, ma la maglia numero sette sulle spalle dell’ex laziale è una suggestione non da poco. Rabitti, come tipo di allenatore, sembra adatto a farlo ulteriormente crescere e a lanciarlo come stella del Toro dei primi anni ’80, ma entra in scena un’altra anomalia. Il Toro, dopo tante stagioni tra lo splendido e il molto buono, ne conosce una brutta come non succedeva da tanto tempo. Si tratta dell’ultimo atto di molti attori dello scudetto del 1976 (a fine anno lasceranno Pecci, Pat Sala e Graziani) e la cosa non può non pesare. Rabitti prova per un po’ a resistere, ma alla fine verrà sollevato dall’incarico e sostituito da Romano Cazzaniga che non riuscirà a migliorare la situazione, anzi (ultime sette partite senza segnare, per fare un esempio). Il nono posto finale è deludente, grigio, lontano dalle speranze di inizio stagione. D’Amico segna una volta sola in campionato (una splendida azione personale contro il Catanzaro), mentre nelle coppe va molto meglio. Nel trofeo nazionale segna quattro reti di cui due pesantissime nella semifinale contro il Bologna: in Emilia una sua punizione costringe alla papera Zinetti regalando il provvisorio vantaggio granata prima del 2-2 dell’ex di Garritano, ma, soprattutto, al Comunale è lui che prende la palla e la porta sul dischetto col risultato di 2-1 per i felsinei a 2’ dalla fine. Vincenzo era subentrato a Sclosa dopo il gol del rossoblù Benedetti che ci stava eliminando ed è glaciale nel regalarci i supplementari. Sarà Ciccio Graziani, al 98’, a regalarci la finale che perderemo per il secondo anno consecutivo con la Roma ai rigori, recriminando per l’arbitraggio di Michelotti all’ultima gara in carriera. (Ricorda qualcosa?)
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In Europa le reti di D’Amico sono due. La prima è in casa contro il Molenbeek e, curiosamente, è un’altra punizione su cui il portiere avversario pasticcia, la seconda è al secondo turno contro il Magdeburgo e un pochino acuisce il rimpianto per quello che poteva essere e non è stato. È proprio di questa perla che vorrei parlare per rendere omaggio a Vincenzo. Il ventidue ottobre del 1980 il Toro ospita i tedeschi dell’Est dopo due sconfitte consecutive in campionato (Roma in trasferta e, soprattutto, Cagliari in casa), ma si ritrova improvvisamente e decine di utilizzare la gara di andata per disputare la miglior prestazione stagionale. Un certo peso ce l’ha il ritorno di Pulici che sembrava dover esser ceduto nel mercato di riparazione (avete letto bene) e invece disputa una gran prova. Il risultato viene sbloccato da Pat Sala con una rete da rapace dell’area di rigore al tramonto del primo tempo, poi, al 54’, Pecci raddoppia in una sorta di scambio di ruoli con Graziani, visto che Ciccio sforna l’assist ed Eraldo si inserisce alla perfezione per trovare il gol sull’uscita del portiere. Al 61’ D’Amico rileva Pupi stanchissimo e, poco dopo, Steinbach colpisce istintivamente al volo col sinistro dal limite dell’area trovando una rete insensata che riapre tutto.
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A questo punto D’Amico sale in cattedra iniziando col battere una punizione dal limite prendendo due passi di rincorsa e lasciando il portiere Heyne immobile, ma il pallone centra in pieno il montante al termine di una splendida parabola arcuata che aveva già fatto gridare alla rete tutto lo stadio. Al 74’ Sclosa suggella una partita dominante smarcando in area Vincenzino che salta in aria per stoppare il pallone di petto e calcia sull’uscita del portiere che riesce a respingere il suo tocco rasoterra. Il numero quattordici non demorde, corre verso la sfera che si sta allargando a sinistra, alza la testa per guardare dove sono i compagni, poi si porta la palla sul destro disorientando un difensore. Siamo sulla linea di fondo o quasi, Heyne è rientrato in porta, c’è un altro avversario sulla linea, sarebbe più sensato un passaggio al centro, ma l’idea del nostro è quella di segnare e ci riesce con un magnifico tiro che entra sul secondo palo. Passaggio del turno più vicino (al ritorno perderemo 1-0) e boato della Maratona. Sulle ali dell’entusiasmo il Toro vincerà anche il derby (e D’Amico scodellerà il traversone per l’1-1 di Graziani) in uno dei rari momenti felici della stagione granata. Al cuore, però, non si comanda e l’estate successiva D’Amico chiuderà la sua parentesi torinese e ritornerà alla Lazio in B per una stagione travagliatissima in cui, con una tripletta al Varese avanti 2-0 all’Olimpico, regalerà la salvezza ai suoi giocando con una caviglia sanguinante per una dura entrata di un avversario. Peccato sia durata così poco, peccato sia arrivato in un anno così balordo e problematico. Il vero peccato, però, è che adesso non ci sia più. Ci mancherà.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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