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Iniziare l’anno con il derby. E’ così che parte il 1988 ed è un un segnale, perché da lì a maggio saranno cinque le stracittadine disputate, roba da record (“Mi avete fatto giocare cinque volte contro quelli là”, queste le parole di Boniperti riferite da Bruno, ai tempi bianconero, tanto per far capire il livello di tensione). Tra l’altro l’anno solare si chiuderà proprio con un altro derby il 31 dicembre, per completare il cerchio.
Per la classifica una gara in tono minore, ma la realtà dice altro. Gli spalti straripano alla faccia delle scarse prevendite, con quasi 55000 spettatori che dalle immagini sembrano dentro il campo, talmente sono vivi. Vivi sono anche i giocatori che la buttano subito sull’agonismo col Toro che non fa vedere la differenza di miliardi spesi rispetto ai cugini, come ai tempi d’oro di queste sfide. La sblocchiamo verso la fine del primo tempo, con un gran colpo di testa di Crippa, su centro da destra di Corradini, a seguire l’esempio di papà Carlo, presente allo stadio, che, più o meno allo stesso minuto, segnò su punizione la rete che decise il derby del marzo 1963. Come dirà Gritti a fine gara, se Laudrup, in settimana, si era chiesto come avessimo fatto a segnare quattro gol alla Samp, ora lo inizia a comprendere.
Al 57’ la Juventus pareggia con Alessio che, su torre di Rush, si incunea fra i centrali granata e scaraventa in rete. Il Toro ricomincia ad attaccare furente. Al 64’ Berggreen spara incredibilmente in curva su centro da sinistra di un Polster a tutto campo, ma 2’ si torna avanti: al termine di un’azione tambureggiante, l’ennesima, Tacconi respinge corto un tiro di Berggreen e Gritti è un rapace a insaccare prima di volare sotto la Maratona. La partita sembra in mano, il Toro continua addirittura ad attaccare, solo una puntata in avanti di Brio mette in difficoltà Lorieri. A 6’ dal termine, però, ecco il pari che è un sinistro presagio. Rush non ha fatto quasi nulla, sta giocando un campionato che definire deludente è un complimento, non lo sa ancora, ma sarà protagonista della rubrica “Fenomeni parastatali” a Mai dire Gol, forse non sa neanche che a Rivoli c’è una scritta sul muro (“Viva Rash”, scritta proprio così, come si legge) che verrà presto cancellata. Rush romperà le palle solo a due squadre: al Pescara e a noi. Inizia in quel pomeriggio quando si butta sul pallone centrato da Laudrup da sinistra insieme a Rossi, non sa nemmeno se ha toccato la sfera per ultimo o meno (il tabellino dice autorete di Ezio), si rialza stralunato, ma ha contribuito in qualche modo al 2-2 finale.
Negli spogliatoi ci girano le scatole e vorticosamente. Girano a De Finis che avrebbe barattato il miliardo d’incasso col successo, girano soprattutto a Radice che elogia la prestazione gagliarda, ma si rammarica per il successo buttato via, girano anche ai giocatori che hanno messo sotto i cugini più ricchi, ma che, in campo, non hanno dimostrato la grossa differenza di budget. Però se giochi così e alla fine sei incazzato, vuol dire che, al di là dei peccati di gioventù, sei un Toro, sai quanto vali, sai che vuoi vincere.
Il giorno della Befana si perde di misura l’andata degli ottavi contro il Verona a causa di un gol di Elkjaer scaturito da una punizione dubbia. Nulla di irrimediabile. A Roma i granata ottengono un buon pareggio prima irretendo la manovra giallorossa con una ragnatela a centrocampo poi, dopo aver subito il vantaggio di Voller, bravo a tramutare in rete un tiro del Condor Agostini su azione d’angolo, e aver ringraziato il tedesco per un clamoroso errore sull’occasione che avrebbe potuto chiudere il match, gettandosi all’attacco e trovando il gol con Gritti a meno di un quarto d’ora dal termine. Tullio, che aveva scheggiato una traversa di testa in precedenza, punisce l’incertezza di Collovati su lancio di Crippa e infila Tancredi con un diagonale precisissimo. Pari non banale visto che l’Olimpico giallorosso ci riservava amarezze da sette anni consecutivi. Pari che viene salvato anche da Lorieri, autore di un paio di grandi parate.
Chiudiamo il girone d’andata battendo il Pisa e, ridendo e scherzando, ritrovando la vittoria che mancava da fine ottobre contro la Fiorentina. Troppo tempo, soprattutto guardando il valore delle prestazioni e anche stavolta avrebbe potuto mettersi male visto che Gritti si mangia un gol fatto e sul ribaltamento Lucarelli punisce una grossa incertezza difensiva dei nostri. Però il Toro ha una coppia offensiva che sa alternarsi: prima Gritti si sacrificava per i gol di Polster e ora Polster si sacrifica per i gol di Gritti. Al 12’ Toni crossa dalla sinistra e il compagno di reparto realizza di testa. L’ex bresciano, a inizio ripresa, si inventa assist-man per Berggreen che contrariamente al match di Roma (“ho fatto schifo” l’impietosa autoanalisi del danese) qui il gol dell’ex lo fa eccome con una bella girata. Gritti è scatenato: si procura un rigore ed è il più lesto ad avventarsi sulla sfera respinta da Nista sulla conclusione dal dischetto di Polster che dopo centrerà anche una gran traversa su punizione. Tre a uno e prima doppietta in A per il numero undici. Toro ottavo al giro di boa a ridosso della zona Europa alla pari del Verona che attende per il ritorno degli ottavi di Coppa Italia.
Il gol lampo di Benedetti (tap-in su respinta di Giuliani dopo un colpo di testa di Corradini in seguito a elaborata azione da corner) è solo il primo atto di una serata lunghissima dove si registrano una traversa di testa di Elkjaer, storie tese fra Polster e Berthold e un salvataggio di quest’ultimo su tiro a colpo sicuro di Crippa allo scadere dei regolamentari. L’1-0 non cambia neanche ai supplementari e si decide il passaggio ai quarti ai rigori che ci sorridono. Lorieri para su Galia e Volpecina, Berthold centra la traversa e l’errore di Polster risulta indolore. Benedetti come ha aperto, chiude: suo il rigore decisivo.
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Con l’Avellino non riesce l’en plein al Comunale di tre vittorie in una settimana e perdonateci lo spoiler se diciamo che contro le due future retrocesse (gli irpini e l’Empoli) il Toro farà solo due punti in quattro gare e la cosa peserà non poco. Gara costantemente in avanti, ma con poche idee e un Di Leo impegnato solo nel finale: 0-0. Pari di ben altro peso quello di Marassi contro la Sampdoria dove, privi di Gritti, riempiamo il centrocampo di trappole in cui i blucerchiati finiscono per cadere e al vantaggio fortunoso di Mannini, colpito da un rinvio di Corradini che genera una parabola letale, replica un rasoterra da fuori di Comi che continua a giocare meglio in trasferta, indice di un rapporto particolare, senza dubbio travagliato, con la Maratona.
Il gol, però, carica il numero dieci che, proprio sotto la sua e nostra curva, aprirà le marcature contro l’Ascoli con una gran zuccata su corner al termine di un primo tempo dominato dai granata che trovano un miracoloso Pazzagli a impedir loro la goleada. Il raddoppio arriva nella ripresa con un colpo di testa di Crippa che rimbalza a terra e prende una traiettoria stranissima. Indolore il (severo) rigore ascolano trasformato da Greco nel finale: si vince 2-1 e, a braccetto col Verona, si va ad acchiappare la Juventus. E’ davvero un bel Toro, tutti si aiutano, ti ritrovi i difensori che provano la via del gol, gli attaccanti che si sacrificano sulla fascia, i centrocampisti che si buttano dentro e spesso segnano. Una squadra così non ha nemmeno paura del Napoli capolista che incontrerà in Coppa Italia e che sarà privo di pedine importanti come Francini, Ferrario, Bagni e Careca.
Comi non si ferma più e, dopo 3’, apre le marcature: controllo, palleggio di destro e staffilata da fuori sempre di destro che, complice un rimbalzo maligno, supera Garella. Renica, però, pareggia quasi subito con un colpo di testa all’incrocio su traversone da sinistra di Giordano. Il Toro ha il morale a mille e non ha paure di nessun tipo, continua ad attaccare, ma il risultato non cambia e i partenopei si sentono mezza semifinale in tasca. Ci sarà tempo per pensarci, ora si va nella San Siro nerazzurra.
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Il Toro non vince in trasferta in campionato da fine ottobre 1986, 2-0 all’Atalanta griffato Comi-Kieft. E’ San Valentino. E’ ora di fare un regalo a chi ti ama. Gli uomini di Radice obbediscono e l’instancabile Berggreen triangola con Cravero, si ritrova davanti a Zenga e lo dribbla. Pregustiamo il tocco vincente, chi è a Milano sta alzando le braccia, ma la rete non si gonfia: il danese è caduto, toccato dal portiere nerazzurro, e Paparesta padre indica il dischetto. Il supplemento d’ansia ha comunque un finale dolce perché capitan Cravero trasforma con un destro angolatissimo soltanto intuito dall’Uomo Ragno. Il resto della gara è ordine in mezzo con il mai troppo elogiato Sabato sempre presente, Comi che continua a far bene e il succitato Berggreen che non si ferma mai. Certo, c’è un po’ di sofferenza, ma i nerazzurri sono spuntati e creano davvero poco rispetto al loro blasone. Dopo un primo tempo in cui Lorieri avrebbe potuto accendersi una sigaretta (parole sue) nella ripresa arriva qualche palpitazione con un salvataggio sulla linea di Crippa su tiro di Piraccini, la parte alta della traversa timbrata da Altobelli di testa e un diagonale masticato male da Serena. Troppo poco, abbiamo vinto, ci vorranno ventisette anni per esultare ancora nella Milano nerazzurra con una rete di Moretti nel recupero, ma allora non lo sappiamo ancora, tutto è magico e lo è anche il risultato che arriva dal Comunale dopo Juventus e Verona pareggiano lo scontro diretto e sorpassiamo entrambi. E’ la prima volta da quando tifo Toro che i cugini sono dietro ed è bellissimo. Radice e i giocatori dicono che quel sorpasso è più importante per i tifosi che per loro, concentratissimi sulle nuove prospettive europee, ma un sorrisino se lo fanno di sicuro. Madonna, non ho nemmeno nove anni e già ti amo, Toro.
Sosta della nazionale, bello godersela in una situazione simile, ma non è molto indicato che questa accada quando cui sei in forma. In casa contro il Cesena, infatti, in una di quelle partite sulla carta fattibili, ma che noi ci complichiamo storicamente, il primo tempo è un discreto incubo col doppio vantaggio romagnolo siglato da Lorenzo e da Di Bartolomei su rigore. Nella ripresa i granata si ritrovano e con un rigore di Cravero e il primo, splendido, gol in A di Bresciani nel finale (diagonale da posizione difficilissima) recuperano e cadono in piedi visto che Verona e inter impattano 0-0 e la Juve, a Roma, non smette di perdere. Il vantaggio sui bianconeri sale a due punti, la vita è sempre bella e, il mercoledì di Coppa Italia, la trasformerà in meravigliosa.
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Il Napoli 1987/88 è saldamente in testa, trascinato dalla Ma.Gi.Ca., e nessuno può minimamente immaginare il crollo che avrà di lì a poco. Qualcosa paradossalmente inizia a scricchiolare proprio nel ritorno di coppa col Toro che, conscio di essere più debole, semplicemente se ne sbatte e gioca con lo spirito di chi ha tutto da guadagnare. Al 26’, infatti, Polster si trasforma in splendida ala destreggiandosi e crossando da destra per Gritti che, di testa, sblocca il risultato. Quando, però, a cavallo dei due tempi due punizioni capolavoro di Maradona ribaltano risultato e qualificazione sembra una delle classiche partite in cui fai paura al più forte, ma poi ti rimette a posto. Sbagliato: al 74’ Comi parte in splendida azione personale e pareggia col destro, ricolorando di granata la semifinale e dando ancora ragione a Radice che gli ha cambiato il ruolo a inizio anno. Ci si aspetta un finale di sofferenza e invece, pochi minuti dopo, Gritti da sinistra ricambia il favore del primo tempo centrando per Polster che trova il 3-2 con una gran zampata. “Ricordati che abbiamo battuto il Napoli di Maradona” me lo sono sempre ripetuto e continuo a ripeterlo nei tempi cupi, che sia una sconfitta in casa col Frosinone in B o un momento buio come quello che stiamo vivendo. Serve a non dimenticare mai chi siamo e chi possiamo essere. In semifinale una sfida da far tremare i polsi. In semifinale c’è il derby.
A Firenze ce la rubano. E’ il secondo di tre anni consecutivi in cui, sotto la Fiesole, subiamo un rigore nel finale e stavolta, al 90’, Berti inganna Cornieti con un tuffo degno di piscine olimpiche e Diaz, che l’anno prima aveva sbagliato, stavolta trasforma. Radice e i suoi sono inviperiti. Se conoscessero il futuro, lo sarebbero ancora di più. La Juve batte l’Inter e aggancia i granata, idem il Verona che, ringraziando tre pali avversari, pareggia col Milan, prossimo avversario dei nostri. Al Comunale i rossoneri dominano, hanno anche l’occasione per il vantaggio dal dischetto (altro rigore inesistente conquistato da Massaro, gli uomini in nero non ci amano e continuano a farcelo capire giornata dopo giornata), ma Lorieri para su Baresi. Sono partite in cui sprechi così tanto che poi le perdi e al 78’ Bresciani, dopo un’incertezza di Ancelotti, si fa cinquanta metri di campo in solitaria per confermare l’assunto con un preciso diagonale rasoterra. Basta stringere i denti, concentrarsi, tenere un attimo e la si porta a casa. Forse immeritatamente, ma la si porta a casa e, onestamente, chi se ne frega visti tutti i punti persi pur giocando meglio e visto anche il furto della domenica prima. Invece teniamo quaranta secondi con Ancelotti che, di testa, devia in rete un centro di Evani. L’1-1 ci fa allungare sulla Juve che perde ad Avellino, ma perdere leggermente terreno su Inter e Verona, entrambe vittoriose, rendendo lo scontro diretto del turno successivo contro gli scaligeri fondamentale e il Toro passa l’esame a pieni voti: vantaggio in apertura con un colpo di testa di Ezio Rossi su angolo da sinistra del bravo Sabato, raddoppio di Gritti a inizio ripresa, sempre di testa, e su centro ancora di Sabato da destra. In mezzo soffrire quando si deve, con un paio di salvataggi sulla linea, e ripartire appena si può. Aggancio all’Inter a quota 24, Juventus e Verona dietro a 23. In casa col Napoli capolista, invece, uno 0-0 che si può accettare, anche se il Toro ha creato qualcosina in più. L’Inter batte la Roma e va a 26, il Toro a 25 mantiene un punto di vantaggio sulla Juventus che pareggia a Cesena, mentre il Verona ne busca tre dal Pescara e inizia a staccarsi. Però chi se ne frega della classifica ora. C’è il derby di Coppa Italia.
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La semifinale d’andata vede il Toro in casa per il calendario e il terreno pesante causa pioggia rende subito la sfida roba da duri. Nel primo tempo crea di più la Juventus e Platini, ospite in tribuna, si sbilancia augurando a Rush di vincere la Coppa Italia al primo anno, proprio come accadde a lui. Come se avessero sentito, i nostri si presentano nella ripresa incavolati neri e decisi a papparsi la gobba, fregandosene delle assenze di Sabato e Polster. Al 56’ Crippa porta palla e poi la scarica a Gritti che, con un perfetto sinistro dal limite a fil di palo, si regala un motivo per correre sotto la curva. Al 68’, poi, c’è il momento catartico. Ezio Rossi ne ha fatti di gol (e belli) in carriera, pur partendo dalle retrovie, ma sta per segnare quello che, nell’immaginario collettivo, è il “suo” gol. Bresciani centra in area per Gritti che, lasciato solo, tocca a Rossi. Sinistro al volo dal limite e palla all’incrocio dei pali con Tacconi immobile. Ezio si mette le mani in faccia e corre verso il centro del campo, incredulo, perché in quel momento è il ragazzo che faceva il raccattapalle, che tifa Toro sin da bambino, che veste la maglia che ama e che ha fatto un gol della Madonna alla Vecchia Signora. In quel momento lui è tutti noi, con la differenza che è un grande calciatore e noi no. 2-0 e finale ipotecata.
Neanche i primi caldi sembrano fermare il Toro che, fregandosene della stanchezza del derby infrasettimanale, vince 2-0 anche contro il Pescara. Junior viene accolto come una divinità alla prima da ex (seconda in assoluto) sotto la Maratona, gli abruzzesi partono meglio, ma nel secondo tempo il Toro la risolve. Al 52’ Berggreen insacca da rapace dopo un pasticcio difensivo su centro basso di Comi, al 64’ Polster cancella giornate di digiuno con un forte sinistro al termine di un’azione corale. Il Toro è quinto da solo a 27, l’Inter è a 26, la Juventus a 25. Il posto Uefa, sulla carta, sarebbe uno, ma potrebbe andare in Europa anche la sesta viste le squadre impegnate nelle semifinali di Coppa Italia.
E’ qui che il nastro inizia a sfrigolare, a dirci che forse è il caso di interrompere. Troppi rintocchi sinistri iniziano ad accavallarsi come a rovinare una stagione stupenda. Il Toro pareggia 0-0 a Empoli, mentre l’Inter strapazza la Fiorentina e, soprattutto, la Juventus supera inaspettatamente un Napoli che sta iniziando a perdere un tricolore già vinto. La stessa Juventus che si affronta il mercoledì per il ritorno della semifinale di coppa. Una deviazione di De Agostini su angolo di Polster mette le cose in discesa per noi. Brio e un rigore proprio di De Agostini ribaltano il risultato a inizio ripresa, ma non la qualificazione, messa a sicuro dalle parate di Lorieri che ci evita di aver troppa paura. Toro in finale contro la Sampdoria. Tutti a far festa sotto la curva, nessuno che sente in sottofondo un rumorino. Sebbene inutile è la prima vittoria juventina contro di noi nella stagione.
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Ci si ributta in campionato. Contro il Como, impelagato nella lotta per non retrocedere, è un altro pareggio. Giunta, allo scadere del primo tempo, sblocca trovando un varco impossibile fra palo e Lorieri, poi Comi, con una bella incornata su angolo di Crippa per il pari a inizio ripresa. A tre turni dal termine, il punto sarebbe potuto essere addirittura d’oro, vista la sconfitta dell’Inter nel derby, ma la Juventus rende amaro tutto. Era sotto 2-0 in casa Samp, poi segna Buso a fine primo tempo. La rete di Scirea arriva a tempo scaduto e fa tutta la differenza del mondo perché affrontare lo scontro diretto con un vantaggio di due punti sarebbe un’altra cosa. Verrebbe da fermare il nastro, ma andiamo ancora avanti.
Il primo maggio 1988 è il giorno in cui il Milan ipoteca lo scudetto vincendo a Napoli, ma è anche il momento in cui iniziamo a passare dal sogno all’incubo, ritrovandoci stanchi e sfortunati nel momento decisivo della stagione. Un inserimento di Tricella, lasciato colpevolmente solo, sblocca il punteggio, però il Toro reagisce con Tacconi che miracoleggia su Polster e Benedetti, ma deve cedere al 43’ sulla punizione dal limite dell’austriaco, una rasoiata mancina da festeggiare sotto la Maratona. Il pari ci andrebbe di lusso, stiamo calando fisicamente e la ripresa è puro resistere e stringere i denti, rotto solo da un tiro da fuori di Comi su cui è ancora bravo Tacconi. Il pizzico di fortuna che serve ci abbandona al novantesimo sulla fortunosa girata di Rush. Inter e Juventus 30, Toro 29. Dai, fermiamo il nastro. No, rimaniamo, c’è la finale di Coppa Italia. E poi guarda il calendario, in due giornate può succedere di tutto, la Juve becca il Milan a San Siro.
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Nella Marassi blucerchiata la prima mezzora è un incubo: Briegel inganna Lorieri sul suo palo al 10’ e Vialli raddoppia al 32’ con facile deviazione dopo un capolavoro di Mancini (aggancio e assist d’esterno). Quando è dato per morto, però, il Toro si rialza. La ripresa è tutta all’assalto alla ricerca del gol che riaprirebbe la contesa, ma viene letteralmente derubato. Cravero, cuore di capitano, si vede negare un rigore da Casarin al 53’ e poi va a segno al 77’, ma la rete viene tolta per un fuorigioco che, se c’è, è millimetrico. Fermiamo ora il nastro? No, vediamo come va con la Roma.
E con la Roma va bene, anzi benissimo. Dopo il buio, ci siamo svegliati nel momento più difficile. Il vantaggio arriva a inizio ripresa ed è un gol alla brasiliana: Polster, a destra, rovescia al centro, Rossi tocca al volo per Comi che, spalle alla porta e senza guardare, lancia Gritti che si allunga e supera splendidamente Tancredi in uscita. Dopo un palo di Voller, chiudiamo il discorso con una bordata pazzesca di Crippa da fuori area proprio al 90’. Gioia immensa, ma anche qui con un neo: né il tabellone né le radioline portano notizia di un gol del Milan sulla Juventus. Con uno strenue catenaccio gli uomini di Marchesi strappano lo 0-0. Inter (ripresa dal Cesena dopo essere stata avanti 2-0), Torino e Juventus sono a 31 punti. Si deciderà tutto all’ultima giornata e potrebbe non bastare.
A Pisa una doppietta di Faccenda regala la salvezza ai toscani. Noi non ci siamo. All’Inter basta un modesto pari interno contro l’Avellino per l’Uefa. Fermiamo adesso? No, perché le notizie da Torino sono interessanti: la Fiorentina espugna il Comunale vincendo 2-1. Se al Toro riuscirà l’impresa in Coppa Italia contro la Samp andremo in Coppa delle coppe, con Samp in Uefa e gobbi a casa. Se non ci riuscisse, sarà spareggio. Sarà il quinto derby stagionale.
Finale di ritorno. Piove. Il Toro tenta l’ultima impresa e scende in campo furibondo. Dopo 5’ Polster affonda a sinistra, Vierchowod infila Pagliuca per anticipare Gritti ed è subito tutto riaperto. Che l’inerzia sia nostra sembra essere certo anche da alcuni episodi: la Samp perde nel giro di 2’ Briegel e Pellegrini per infortunio. Uno dei sostituti e Salsano. Se solo sapessimo. Ma non sappiamo e al 35’ un tiro di Comi deviato da Paganin riporta tutto in parità facendo esplodere il Comunale. 2-0. E’ il momento di spegnere.
Idealmente abbandono la Maratona in quel momento, col pubblico in tripudio che crede all’impresa, il Toro bello come quasi in tutto l’anno. Mi allontano da questo ricordo mentre le urla si fanno più fioche, perché non voglio vedere quello che succederà dopo, Vierchowod che salva sulla linea su Comi a poco più di dieci minuti dalla fine, lo stramaledetto gol di Salsano, lo spareggio orrendo chiuso ai rigori, con l’illusione del primo errore bianconero e la rete decisiva di Rush che, davvero, sembra sia stato preso solo per ammazzare i nostri sogni. Non voglio pensare a dove abbiamo buttato via quel punto o a come sarebbe finito tutto con arbitraggi almeno decenti quando contava. Fa malissimo pensarci. Allora schiacciamo stop mentre ii granata stanno vincendo 2-0, ci abbracciamo tutti e sembrava ancora tutto possibile per uno dei Tori più Tori che abbiamo mai visto. Perché è giusto vedere quella squadra gioire. E’ giusto vedere noi felici.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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