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Juve-Toro 1-2: la carezza del Capitano
Il campionato 1969/70 non è iniziato benissimo per la città di Torino. I granata di Cadè, dopo aver pareggiato con la Lazio in trasferta e regolato la Samp al Comunale, sono incappati in due sconfitte consecutive contro Inter e Napoli, in quest’ultima occasione il presidente Pianelli è stato anche bersagliato da un lancio di monetine. La Juventus è soltanto un punto sopra visto che la goleada iniziale contro il Palermo è stata ridimensionata dalla sconfitta di Verona e dai due pareggi contro Bologna e Sampdoria. La quinta giornata ha in programma la stracittadina e perdere significherebbe rimanere invischiati pericolosamente nei bassifondi della classifica complicando gli obiettivi stagionali.
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Il derby è il derby comunque, anche se mancheranno Moschino e Del Sol, anche se la classifica è deficitaria, seppur rimediabile, e man mano che l’appuntamento si avvicina ci si astrae dalla situazione contingente e si pensa solamente alla partita. Le parole di Capitan Giorgio Ferrini alla vigilia sono profetiche, tranne che per l’ultima frase, fin troppo pessimista ragionando a cose fatte: “Apparentemente sembra un derby in tono minore, perché mancano alcuni titolari a entrambe le formazioni. Penso che il pubblico assisterà invece a un match interessante. Noi cercheremo di non perdere”. Sono le quindici quando le squadre scendono in campo davanti a 65000 spettatori agli ordini dell’arbitro Carminati di Milano. Cadè schiera Sattolo, Poletti, Fossati, Puia, Cereser, Agroppi, Carelli, Ferrini, Claudio Sala, Bolchi e Pulici. In panchina, oltre al dodicesimo Pinotti, c’è Emiliano Mondonico che non può ancora immaginare le sfide epiche che ci regalerà contro i bianconeri quando sarà a bordocampo in giacca e cravatta e non in divisa da gioco.
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Al 14’ è la Juventus a passare in vantaggio quando l’estroso Zigoni viene lanciato sul filo del fuorigioco da un tocco filtrante di Haller e, mentre le braccia granata si alzano a chiedere l’irregolarità, il futuro veronese scaraventa il pallone in rete con forza. Il Toro si scuote e improvvisamente abbiamo una visione di quello che ci regalerà il futuro inteso come gli anni ’70: un demonio col numero undici che quando vede bianconero diventa un supereroe. Paolo Pulici si trova nei pressi del lato destro dell’area, converge all’improvviso lasciando al diretto avversario arrancante soltanto la possibilità di provare a fermarlo, invano, con una goffa scivolata e poi spara di sinistro. Non siamo ancora nel decennio d’oro, Paolo è ancora un giovane a cui il cronista Rai sbaglia la i del cognome su cui mettere l’accento e Tancredi può alzare in angolo con una bella parata, ma ci sarà modo di rifarsi.
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Nel secondo tempo la Juventus rientra in campo col difensore Rinera al posto di Zigoni, malconcio per un colpo subito da Poletti. Un difensore per un attaccante sembra invitare un Toro già ribollente di voglia di rivincita ad attaccare. Col passare dei minuti il baricentro sale, Puia abbandona la marcatura di un Anastasi oggi poco ispirato, come dimostra un’occasione buttata al vento su invito di Favalli, e appoggia sempre più la manovra offensiva granata. Al 67’ il numero quattro si ritrova in area, pescato da uno spiovente di Claudio Sala dalla trequarti destra. Il goriziano salta più in alto di due avversari e appoggia un pallone che Alberto Carelli, con un’altra zuccata, non può che insaccare da distanza ravvicinata. Carelli aveva già segnato in un derby, quello del 4-0 la settimana dopo la morte di Gigi Meroni, quello che tutti avevano attribuito moralmente alla “maglia numero sette” che quel giorno aveva dovuto cambiare proprietario: una delle reti più poetiche della storia del calcio italiano. Questa seconda marcatura lo è sicuramente meno, ma è prosaicamente più importante visto che rimette i granata in carreggiata, pronti a giocare gli ultimi 20’ per la vittoria.
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Infatti è solo Toro fino al finale con un Pulici travolgente che conquista un calcio di punizione da una ventina di metri in posizione centrale quando mancano due minuti alla fine. Sala tocca a Ferrini, ma la barriera respinge. Maciste Bolchi non demorde e va a recuperare il pallone che sta correndo sulla sinistra, quindi lo rimette al centro. Tancredi sta uscendo sulla sfera, ma Salvadore, che arriva in corsa, non se ne avvede e non riesce nemmeno a rinviare lasciando il pallone nei pressi dell’area piccola dove Pulici lo tocca a Ferrini, nel frattempo catapultatosi in area. Azione convulsa, fermiamoci a riprendere fiato.
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Il capitano del Toro, anzi, il Capitano e basta ha il pallone per farci vincere un derby in extremis. Potrebbe tirare fortissimo. Lo ha fatto nel 1965 quando si è ritrovato in piena area il pallone buono per pareggiare la rete di Leoncini che ci stava facendo soccombere. Lo farà su punizione nella prima sfida ai cosiddetti cugini dell’era Giagnoni. Stavolta no, fa una scelta controintuitiva che, però, a ben vedere è l’unica che può dare la possibilità di segnare. Una botta potrebbe trovare ancora una gamba, un corpo, un piede pronti a dire di no, quindi bisogna usare l’astuzia. Bisogna dare una carezza alla palla. Una carezza che fa vedere al mondo come definire uno dei migliori centrocampisti italiani di sempre come tutto grinta e basta sia una bestemmia. Ferrini è l’uomo dal contrasto duro e leale, ma anche il giocatore che sa dare del tu al pallone. La palla viene colpita d’interno e si alza. La carezza del Capitano la manda in alto disegnando un beffardo pallonetto e poi la fa scendere dolcemente. Morini prova a diventare portiere per un momento, alzando disperatamente la mano sulla linea, ma non ci riesce. La palla finisce nel sacco. Il Toro ha vinto.
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Il tripudio granata prosegue anche dopo il 90’ con cortei dei tifosi, alcuni dei quali invitati in sede da Pianelli per brindare a champagne (altro che le monetine di sette giorni prima!), giocatori felici a cui fa da contraltare la rabbia degli avversari che devono andare in ritiro tra i “vergogna” della folla. Ferrini sembra tranquillo e posato come suo solito fuori dal campo, ma dentro l’emozione c’è e come potrebbe essere diversamente? “Se avesse fatto Sivori un gol così tutti avrebbero detto che era uno spiovente diabolico. Ho segnato io e allora è andata, ma la vittoria non ce la leva nessuno. Il pallonetto era l’unico modo per superare Tancredi. Non meritavamo di perdere con quel gol fasullo segnato dalla Juventus. Abbiamo sofferto perché abbiamo dovuto inseguire l’avversario, abbiamo dovuto correre in salita, ma ce l’abbiamo fatta. Soltanto il “vero” Toro poteva vincere questa partita. Era ora che tirassimo fuori i denti”.
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Quella carezza al pallone che ci ha regalato una gioia immensa è una delle tante cose per cui dobbiamo dirti grazie, Capitano. Lo facciamo in questo giorno dove si è consumata un’ingiustizia troppo grande per trovare le parole adatte. Nessuno ti può dimenticare, nessuno potrà smettere di amarti, anche chi era troppo giovane per averti visto e vissuto. Ecco, questa è la nostra carezza per Te.
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Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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