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La ciliegina: storia della Mitropa 1991

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Culto / Torna l'appuntamento con la rubrica di Francesco Bugnone: "Non è la Champions, non è la coppa Uefa che di lì a poco giocheremo, ma voglio vincerla lo stesso, magari danno la finale per tele come l’anno prima quando ha vinto il Bari"
Francesco Bugnone
Francesco Bugnone Columnist 

Il romanzo della meravigliosa stagione 1990/91 ha una dolce appendice che si risolve nel giro di quattro giorni, dal primo al quattro giugno. Quell’appendice si chiama Mitropa Cup, che il Torino, per aver vinto il campionato di B l’anno precedente, si ritrova a dover disputare.

Breve storia della Mitropa Cup: dal 1927 al 1940 era detta Coppa dell’Europa Centrale e, di fatto, è una mini-mini-Champions che raccoglie squadre vincitrici di campionati e coppe nazionali, col Bologna che la vince per due volte. Cosa c’entrasse l’Italia con l’Europa centrale non l’ho mai capito, ma va bene lo stesso. Dal 1955 al 1979 è un torneo per le squadre che finivano subito dietro ai piazzamenti Uefa e, non avendo l’Intertoto per consolarsi, qualcosa dovevano pur fare. Partecipammo anche a qualche edizione, con la semifinale come massimo risultato. Nel 1980, invece, diventa la coppa delle neopromosse, riservata ai primi, e talvolta ai secondi, dei campionati di serie B con alcune pagine a suo modo storiche, come la vittoria del Milan pochi giorni prima dell’amara retrocessione di Cesena e il pubblico (eroico) che canta “Resteremo in serie A” o la doppietta del Pisa nel 1986 e nel 1988. Non è la Champions, non è la coppa Uefa che di lì a poco giocheremo, ma voglio vincerla lo stesso, magari danno la finale per tele come l’anno prima quando ha vinto il Bari. Durante la stagione abbiamo fatto la torta, la Mitropa deve essere la ciliegina.

Per motivi ignoti, le squadre possono scegliere alcuni rinforzi. Noi ne prendiamo tre: il primo è Amarildo, che sostituisce Bresciani reduce da un’operazione alla spalla, il secondo è Venturin che il prossimo anno tornerà granata e si meriterà uno dei cori più belli di sempre sulle note di Funiculì Funiculà, il terzo sapete tutti chi è, ma non lo dico ancora perché arriverà nel secondo match.

Il Toro è nel girone con gli austriaci del Vorwaerts Steyr e gli ungheresi del Veszpremi. Si parte contro il Vorwaets ed è più dura del previsto, complice Amarildo che s’incarta spesso e volentieri. La risolve il solito Policano, schierato addirittura come punta, che a 4’ dalla fine spara una stangata rasoterra col piede “sbagliato”, il destro, che il portiere può solo sfiorare. Si gioca duro, non ci tiriamo indietro. La partita successiva sarà ancora peggio da quel punto di vista e nella partita successiva ci sarà “Lui”, il terzo rinforzo.

“Lui” è Leo, Leo Junior. Il cuore batte sempre forte quando lo vediamo. Batteva forte quando, qualche anno fa, è venuto al Museo del Toro in camicia, figuriamoci quando ha la nostra maglia addosso ed è ancora in attività. Compirà a breve 37 anni, ma gioca, e giocherà, fino al 1993 nel Flamengo. Contro il Veszpremi predica calcio in una gara in cui volano allegre le mazzate. Dopo l’autorete di Csik su tentativo di Venturin che decide l’incontro al 47’, vengono espulsi il massaggiatore ungherese che, a suo rischio e pericolo, voleva provare a menare Policano, quindi il calciatore Rugovics al 66’ e infine Bruno al 72’ che becca due avversari con un’entrata sola giocandosi la possibilità di disputare la finale. Sì, siamo in finale contro il Pisa che vince il suo girone all’ultimo respiro e che fra i suoi “rinforzi” ha un giovane attaccante che impareremo a conoscere bene: Marco Ferrante. Appuntamento alle 17.45 del 4 giugno al “Delle Alpi” o su Raidue.

Sin dalle prime battute si capisce che tre partite in quattro giorni a fine stagione non sono proprio un’idea geniale: le squadre sono morte. Policano, che con l’11 sulle spalle è uno spettacolo e sembra grosso il triplo rispetto agli altri, ci prova con una sventola delle sue a metà tempo timbrando un palo pazzesco. Il veleno del match, però, è nella coda. A 5’ dalla fine Junior sbaglia un disimpegno e mette Polidori davanti a Di Fusco, battuto con un rasoterra chirurgico. Il Toro si butta in avanti, Policano inizia le storie tese con Taccola che culminano con una bella scarpata a gioco fermo sul nerazzurro che costa il rosso a Roberto. L’incuranza con cui l’ex romanista fa cadere l’avversario sotto gli occhi dell’arbitro ed esce dal campo, ha qualcosa di poetico, pur essendo il gesto, ovviamente, censurabile. Il Pisa sente vicinissima la terza Mitropa, toglie Polidori che se la ride mentre lascia il posto a Dianda. Bravo, ridi, ridi.

Sotto di un gol, sotto di un uomo, l’impresa sembra ormai disperata. Come disperato, al 92’, è l’ultimo lancio in avanti di Fusi che, grazie al giovane primavera Brunetti, passa subito al rango di millimetrico: l’attaccante, a contatto con Fiorentini, va giù e l’arbitro Wagner indica il dischetto facendo infuriare Anconetani. Ai tempi non mi sembrava così rigore, rivisto oggi, abituati al var, sì. Dal dischetto va Martin Vazquez: Simoni gliene ha già parato uno in campionato e per poco non ci riesce anche stavolta, ma è 1-1. L’esultanza mi si strozza in gola. Civoli, che sta facendo la telecronaca, dà la linea al tg2. La Rai non aveva previsto i supplementari, cosa vuoi che sia. Un po’ come quando si collegava con le partite di coppa già iniziate, grande cura. Vaghe promesse tipo “vi diremo com’è andata durante lo spazio sportivo del telegiornale”. Tra l’altro, i supplementari sono stati la parte più divertente della gara, con le squadre rianimate dal convulso finale dopo 85’ di quasi nulla. Il Pisa prova a far valere la superiorità numerica, ma sbatte contro Di Fusco e se non ci arriva lui ci pensa Annoni sulla linea. Il Toro prova a rispondere colpo su colpo. Poi arriva il minuto 119. Arriva un’azione splendida. Arriva la ciliegina.

Carillo comincia l’azione affidando palla a Vazquez che lancia splendidamente Junior a destra, commovente nell’inserirsi dopo due ore di fatica e geniale nel tocco per Amarildo. L’ex laziale si vede contrarre il tiro dalla scivolata di un avversario e poi fa la cosa più bella della sua Mitropa con un colpo di tacco che restituisce palla ancora a Junior. Leo cancella l’errore sul gol pisano con un assist di prima per Carillo che, dopo aver avviato tutto, lo finisce toccando in rete con precisione. Così mentre Borsano dice, incavolato, che non vende, Anconetani è indiavolato e, pur non avendocela col Toro con cui tanto ha collaborato negli anni settanta, parla di pastetta, e Mondonico se la ride sotto i baffi con una frase delle sue (“Tutti dicono di non tenerci a vincere, poi si dannano l’anima per farlo. Perciò sono felice”), alziamo una coppa che terminerà la sua corsa con l’edizione 1992. Una coppa piccola, ma nostra. Sognando quella grossa, che sembra un lungo vaso. Ma questi sono sogni per l’anno successivo.

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