Il 17 maggio 1992 il cuore dei tifosi del Toro è ancora gonfio di dolore. Solo quattro giorni prima i mai troppo maledetti pali di Amsterdam ci privavano di una gioia unica, ma non hanno impedito a quella squadra di essere amata per sempre anche se le mani che hanno alzato la Coppa Uefa non sono state quelle di capitan Cravero. Davanti a un’ingiustizia simile ci sarebbe solo da rimanere a smaltire la delusione sul divano senza voler più sentir parlare di calcio per settimane, ma c’è ancora una qualificazione europea da conquistare matematicamente e allora bisogna andare. Si va a Bergamo, si riempie il settore ospiti e si sta ancora e per sempre vicini a una squadra che lo merita.
CULTO
La mirabolante rete di Pasquale Bruno
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Il Toro è stanco, ma dalla trasferta di Madrid si è trasformato in una grande squadra e come grande squadra gioca. Sordo colpisce una traversa infinitamente meno dolorosa di quella del mercoledì precedente con un cross sbagliato, poi, poco dopo la mezzora, arriva l’uno-due che indirizza la partita: una rapace girata dell’ex Giorgio Bresciani al 31’e un’azione personale di Scifo chiusa con un bruciante destro a pelo d’erba dal limite al 38’. A inizio ripresa l’Atalanta resta in dieci per un rosso a Cornacchia, ma i granata si fanno sorprendere da un bruciante inserimento di Caniggia. Fusi, tentando un salvataggio disperato, va a sbattere contro il palo dimostrando ancora il pessimo rapporto coi legni che la squadra di Mondonico ha in quel periodo.
Al 73’, però, succede qualcosa che per un attimo fa scomparire il magone per la finale persa e disegna un sorriso sui volti di chi è allo stadio o di chi sta ascoltando la partita alla radio. Arriva un gol che attendevamo da tanto, il gol di Pasquale Bruno. E che gol. Roba da centravanti di classe, una rete mirabolante.
Pasquale è arrivato nell’estate 1990 dalla Juventus e non è stato facile essere benvisto dai suoi nuovi tifosi. Il giorno del raduno gli viene fatto fare un giro di campo per presentarsi raccogliendo i primi timidi applausi in un mare di diffidenza. Durante alcune amichevoli, come quelle del memoriale Baretti a Saint Vincent, qualcuno dagli spalti gli urla ancora “gobbo di m…”. La gomitata a Ruben Sosa con cui si fa espellere il giorno dell’esordio in campionato contro la Lazio non contribuisce a rasserenare gli animi, ma poi, a poco a poco, a furia di prestazioni feroci, ma al tempo stesso di livello, Bruno diventa un idolo e a sua volta si immedesima sempre più nel mondo granata diventando anche un anti-juventino di titanio, quasi più realista del re.
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C’è una cosa che tutti vorrebbero vedere: un suo gol. Chissà come lo farà, chissà come lo festeggerà. Ovviamente lo sogniamo in un derby, ma potrebbe succedere la rivoluzione in quel caso. Una delle occasioni più grandi arriva contro il Bari a una ventina minuti dalla fine, ma Alberga gli dice di no in uscita. Poco male, ci penserà Cravero a un soffio dal novantesimo.
A Bergamo Bruno gioca la duecentesima partita nella massima serie e prima della gara rilascia una dichiarazione involontariamente profetica: “Ho quasi 30 anni, penso di giocare ad alto livello ancora quattro stagioni e di fare qualche golletto: sinora, è successo solo due volte, sempre nel Como”. Dopo tanto aspettare è il momento di riscuotere.
Scifo porta palla e vede Bruno in inusuale posizione di centravanti, posizionato al limite dell’area. Il controllo con il destro non sembra dei migliori, ma si trasforma subito in opportunità. Pasquale vede un difensore arrivare in scivolata mentre la palla si alza e si trasforma in una specie di Van Basten quando decide di eludere l’intervento avversario con un magnifico pallonetto di sinistro da far girare la testa. Il più è fatto: la palla è sul destro, Ferron si butta sulla sua destra e il numero due granata spara dall’altra prima che il pallone tocchi terra. Con un sorriso a trentadue denti Bruno saltella felice verso i tifosi granata festanti e improvvisa un balletto: è tutto bellissimo.
Il finale di gara è abbastanza agitato non tanto per il palo colpito da Bresciani (e ridagli), ma per l’invasione di campo dei tifosi atalantini che, se da un lato, portano l’amato ex Mondonico in trionfo, dall’altro vanno a cercare proprio Bruno, insultato per tutta la gara. Pasquale è costretto a uscire scortato e poi negli spogliatoi puoi lasciarsi andare tra chi si complimenta per il gol da brasiliano e chi, come Venturin, lo prende in giro dicendogli che ha fatto gol per sbaglio. Bruno dedica la rete che in A gli mancava da cinque anni alla curva Maratona dopo aver ricordato che, nelle giovanili del Lecce, era un piccolo Boninsegna. Sorrisi dopo le amarezze perché quel pomeriggio il Toro raggiunge un risultato importante. Non c’è solo la matematica qualificazione europea, ma, grazie alla concomitante sconfitta del Napoli a Firenze, i granata sono terzi e ci resteranno anche al termine del campionato. Il miglior risultato dal 1985, un risultato mai più ripetuto fino a oggi.
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Quando sui social qualche pagina nostalgica mette una foto di Pasquale Bruno se leggi i commenti c’è da farsi venire il nervoso. Non parlano di un giocatore, ma dell’etichetta che gli hanno dato facendo parlare le dicerie più dei fatti. Hai voglia a provare a spiegare in una discussione che non era proprio così, sembra di giocare a scacchi con un piccione. Bruno ha giocato molto con la sua immagine da “cattivo” e questo se da un lato l’ha reso icona di un’epoca, dall’altro ha nascosto il fatto che fosse un signor difensore, senza dubbio molto duro, ma non così cattivo se escludiamo quando un suo intervento censurabile infortunò gravemente Raducioiu in un Toro-Brescia. Se non sei un bravo difensore non lasci a secco Van Basten tutte le volte che lo incroci quando hai la maglia del Toro, non contribuisci a far sì che la tua squadra sia la meno perforata del campionato 91/92 superando anche la retroguardia del Milan imbattuto di Capello. Allora vuol dire che lo sei. Giù le mani da Pasquale Bruno, quindi, anche perché è una delle persone più simpatiche e gentili che ci siano nel mondo del calcio. E al Toro ha voluto e vuole davvero tanto tanto tanto bene.
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