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CULTO

La splendida illusione

Francesco Bugnone

Il primo derby dal vivo visto da Francesco Bugnone è del 2001, precisamente noto come il derby del 3-3. In "Culto" di questa settimana ce ne parla

Il mio primo derby dal vivo è targato quattordici ottobre 2001. Quelli di fine anni ’80 non erano permessi perché troppo piccolo e idem a inizio anni ’90: “sei troppo piccolo, è pericoloso” (cit. i miei genitori), quindi Inter, Samp, Milan, Roma, Atalanta e Lazio andavano bene, la stracittadina no. Poi, nella seconda parte del decennio, abbiamo deciso di starcene quattro stagioni su cinque in B era Juve era una cosa lontana. In quella domenica assolata autunnale solo di nome non potevo mancare. Anche se il Toro di Camolese aveva iniziato male quell’anno. Anche se giocavamo in “trasferta” per il calendario. Quindi poco prima delle quattordici sto salendo con Stefano e Daniele le scale che ci portano al secondo anello della Maratona, nonostante il biglietto indichi chiaramente il terzo. La prima cosa da fare è guardare l’altra curva. Quanto sono brutti. Dalla televisione non sembravano molto meglio, ma dal vivo te ne rendi ulteriormente conto. Gli urlo contro di tutto, poi di colpo mi fermo e guardo l’ora. Manca ancora troppo e non passa mai, passa meno del solito. Nella testa mi immagino le azioni, l’adrenalina nelle gambe che non stanno ferme. Non si riesce nemmeno a chiacchierare coi tuoi amici, è solo uno “speriamo” continuo. Anche se è una lumaca, il tempo fa il suo corso e la lancetta dell’orologio arriva a sfiorare le tre: le squadre entrano in campo.

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Le coreografie. Per una volta la nostra non mi esalta, troppo giallo e poco granata, ma recupereremo alla grande al ritorno con un oceano di passione in un mare di tifo. Quella loro non la ricordo nemmeno, forse è l’anno dello sfondone in piemontese, poveri cristi. A un certo punto, da noi spunta uno striscione su cosa può fumarsi Lippi al posto del sigaro. Squadre in campo, fischio d’inizio, voglia di fargli il culo anche se la differenza tecnica, sulla carta, è netta. C’è un’azione che non si ricorda quasi nessuno, forse perché arriva da quello che è ancora il lato sbagliato del derby. Il Toro ha la prima occasione del match ed è enorme. E’ sparita da molte sintesi, ma c’è. Osmanovsky si ritrova solo davanti a Buffon. Chissà come sarebbe finita se avesse segnato, magari avremmo perso 6-1 o forse l’avremmo portato a casa dopo 90’ in trincea e l’ex barese sarebbe stato iscritto di diritto nella storia del Toro. Quello dello svedese, però, è un peto che viene bloccato a terra dal portiere e le facce speranzose, le bocche aperte, diventano mani nei capelli. Nulla rispetto a quello che succederà di lì a poco.

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De Ascentis sbaglia un’apertura a centrocampo, la Juventus riparte, gol di Del Piero. La sensazione è strana, quasi come se fosse ineluttabile, va beh, sotto di uno, che fa. Rimango in piedi, nonostante lo sganassone. Come per dare non dare soddisfazione all’altra curva che salta per aria. Ma 2’ dopo il pugno fa male: Tudor segna dopo una mischia rocambolesca e si rompe qualcosa dentro. Mi appendo alla corsa disperata e inutile di Bucci verso il guardalinee a reclamare un fuorigioco che non c’è, perché bisogna pur fare qualcosa. 11’ e siamo sotto 2-0, un incubo. Una parte del mio cervello suggerisce che se di lì a due ore uscissi felice dallo stadio è perché avremmo fatto l’impresa. La zittisco, sembra quando provo a consolarmi di qualcosa per non sprofondare e non serve a nulla. I seguenti minuti li seguo con impazienza. Voglio in fretta quel gol per accorciare le distanze, per sperare, per attenuare quella sensazione di merda che ho dentro. Un tiro che è anche un mezzo cross di De Ascentis potrebbe servire allo scopo, ma Buffon si allunga e respinge. Poi, al 25’, Nedved parte in contropiede e serve al centro Del Piero che non sbaglia. Siamo in ginocchio come Cauet che cerca di opporsi in scivolata, ma fallisce per millimetri. Cominciano i legittimi “fuori le palle”, inizio a pensare a tutti quelli che mi stanno sul culo e tifano quell’altra squadra, dagli zarri delle medie in poi, che staranno godendo ed è un pensiero insopportabile. “Se ce ne fanno un altro ce ne andiamo” (non lo fanno), “Se non facciamo gol prima di fine tempo ce ne andiamo” (non lo facciamo, ma restiamo). Vorremmo andarcene, ma rimaniamo lì, inebetiti, tenendo assurdamente le posizioni, letteralmente rincoglioniti, in un intervallo che è irreale.

Secondo tempo: Semioli e Osmanovsky escono dal campo e, di fatto, dal Toro per non avere disputato il tempo giusto del giorno. Ferrante, fuori rosa fino a poco prima, ma invocato dai tifosi sin dal raduno al Parco Ruffini, e Vergassola in campo. Marco venne messo dentro anche a Piacenza, ma non andò bene, mentre in coppa Italia, contro la Samp, andò addirittura a segno con un gol dei suoi. In quel momento è il salvatore della patria a cui aggrapparsi. Giochiamo meglio, non che ci andasse molto, siamo più equilibrati. Nessuno osa sperare nel miracolo, ma poi a un certo punto io e Stefano ci tocchiamo il braccio e diciamo: “Aspetta…” E’ il momento in cui Ferrante lancia splendidamente Lucarelli e lo mette davanti alla porta. La bocca aperta prima non emette un fiato, poi urla “gol” appena il sinistro di Cristiano, tutt’altro che semplice, gonfia la rete. E’ un “gol” che significa “dai”, ci siamo ancora. E’ strano, ma nessuno lo vede come un contentino. Non osiamo ancora crederci davvero, ma qualcosa stavolta cambia realmente, come si intuisce dall’abbraccio tra De Ascentis e Lucarelli dopo la rete. La Juve, già sazia, è costretta a rialzarsi dal divano dove faceva la pennica per mantenere la partita in mano e, si sa, quando ti svegli di colpo il pomeriggio sei rintronato. Dalla parte opposta, all’improvviso, smettono di cantare. Oddio cantare, canticchiare, chi cavolo li sente. Il massimo è quando fanno “1,2,3, JUVEEE” lasciandoci lo spazio per rispondere con una parola di cinque lettere. La Maratona, invece, aumenta i giri.

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Per meno di un quarto d’ora c’è solo nebbia nei miei ricordi. Forse avevo paura che quel gol fosse un fuoco fatuo, non ricordo. Eravamo in trance in attesa che succedesse qualcosa, cori urlati per dare forza principalmente a noi stessi e poi ai ragazzi. Al 69’ qualcosa succede eccome e la nebbia si dirada. Asta che si butta dentro dopo una manovra nello stretto, Thuram che lo tocca proprio sulla linea dell’area e Tonino che vola mentre Borriello indica il dischetto. Gli occhi del capitano si riescono a capire dalla curva, quegli occhi scatenati che non vedono l’ora di far male ai gobbi. Rigore. Non oso pensare a cosa succederebbe se lo sbagliassimo, ma in quel momento non è un’opzione. Vedo solo la rete che si gonfia, le mie braccia tirate da ogni parte. Quel giorno, stranamente, non ho una maglia granata addosso, ma quella del Gods of Metal 2000, fighissima come fu quel concerto chiuso dagli Slayer. Daniele mi ha strappato la manica esultando e quello squarcio rimarrà la medaglia del momento in cui Ferrante, dal dischetto, l’ha riaperta e fa le corna, quelle vere, non quelle come farà quell’altro un girone dopo.

C’è la sensazione, c’è quasi la certezza che la pareggeremo. La Juve ha due occasioni grosse per seppellirci, ma quasi non ce ne accorgiamo. Gli ottimi interventi di Bucci ci sembrano ordinaria amministrazione per noi che aspettiamo solo il momento giusto per esplodere. Ogni palla che buttiamo in avanti ci fa trattenere il fiato, Stefano continua a ripetere “vi prego, raga, vi prego” come se fosse un mantra, una litania, una richiesta fra le più sincere che si possano sentire, che viene dai recessi più profondi dell’anima. Nel frattempo capitano due cose importanti. Lippi inserisce Salas al posto di Del Piero. Poco dopo Camolese richiama Lucarelli per mettere Maspero: un centrocampista offensivo per un centravanti quando devi recuperare è mossa inusuale, ma in quel momento ci sembra la cosa giusta, qualunque cosa faccia il mister lo è, con due cambi ha raddrizzato la gara, potrebbe mettere anche Sorrentino ala destra e ci andrebbe bene. Applausi per chi entra, applausi per chi esce. Non potendo vedere il futuro, non sappiamo che queste due sostituzioni decideranno tutto.

Capita tutto in fretta: Asta che crossa, Ferrante che colpisce di testa in maniera incredibile e sembra già dentro, abbiamo le braccia alzate, ma Buffon la prende. Capita tutto in fretta: non abbiamo il tempo di lamentarci che Maspero si allunga all’inverosimile per arrivare su quel pallone,  perché quel gol lo vuole proprio fare. Madonna, quanto ti amo Ricky, già dallo scorso anno, figurati ora. Capita tutto in fretta: non abbiamo nemmeno il tempo di cagarci in mano a causa di Buffon che sembra arrivare sulla palla, perché la rete che si gonfia è più veloce della nostra paura. Ricordo nitidamente che, nel deliro del momento, articolo una frase di senso compiuto: “ce l’abbiamo fatta, ce l’abbiamo fatta” che poi diventa suono gutturale Abbraccio Ste, abbraccio Daniele, abbraccio perfetti sconosciuti, che in quel momento amo più di persone che conosco da anni. La Juve batte da centrocampo, riconquistiamo palla subito e Asta viene fermato con un fallo. Il boato che parte su quella sfera rubata è una prosecuzione dell’esultanza per il 3-3.

Poi all’improvviso, dall’altra parte, succede una cosa. E’ lontano, i giocatori sono piccoli piccoli, ma capiamo che non va bene. Uno è caduto, uno si incazza, Borriello indica il dischetto, ma stavolta per loro. Rigore. C’è chi si dispera, chi dice tra i denti “lo sbaglia”. In genere li tira Del Piero, ma gli è subentrato, come dicevamo, Salas che va al suo appuntamento con la storia. Io cerco di calcolare quanto tempo dovremo farci bastare per pareggiarla, come se fosse naturale farlo. La buca di Maspero la scopriremo a casa, in quel momento non possiamo vederla. Quella che vediamo bene è una palla che schizza in orbita. Ricordo gente per terra. A uno chiede se si sia fatto male, lui dice di no e allora lo abbraccio. Il finale è una cosa incredibile, sono certo che non prenderemo gol, ne siamo certi tutti. E’un continuo rilanciare su Ferrante che tiene palla e si prende il fallo. Poi finisce. Non usciamo più. O meglio, facciamo per uscire, saliamo un paio di gradini e ci giriamo a insultare la curva avversaria. Altri due scalini, altri insulti. E così via fino a uscire, a ricongiungerci col papà di Stefano e con Pino, nostro amico e tifoso di lunghissima data, che è quasi commosso, anzi, senza quasi, forse il sorriso più bello della giornata. Chiamo i miei per dire che sono vivo dopo quel tourbillon di emozioni. Mia mamma risponde con tono triste “mi dispiace”. “Ma per cosa?” “Per la partita” Lei e mio padre erano usciti a farsi un giro sul 3-1. “Mamma, aspetta che ti racconto cosa è successo…”

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In “Febbre a 90” Nick Hornby descrive una partita troppo perfetta, dove tutto quello che voleva finiva col succedere e creava un momento unico, raramente ripetibile e lo dice molto bene: “La vita non è, e non e mai stata, una vittoria in casa per 2-0 contro i primi in classifica con la pancia piena di patatine fritte”. Ecco, quel pomeriggio l’illusione fu uguale. Il primo derby dal vivo mi illuse che anche gli altri sarebbero stati così e non mi mise al riparo dalle corna di Maresca, dal gol sbagliato da Fattori in otto, dalla rete di Trezeguet che ancora adesso non riesco a guardare, dagli altri gol subiti al novantesimo, da quando non segnavamo mai, da quando segnavamo ma lo prendevamo in culo ugualmente, da quando ne abbiamo vinto uno per puro caso e ce l’hanno pure avvelenato arrivando ad accusarci di esserci tirati una bomba carta da soli (ma ci rendiamo conto, Dio santo?). Quel derby fu un’illusione assurda, per me, e l’ho pagata cara. Però non ci posso fare niente, se ci penso anche solo un attimo, sono là, in curva, coi miei amici, con i fratelli dalla sciarpa uguale alla mia e sorrido, ripensando a quella splendida illusione.

Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.