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L’altro Toro-Real

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Culto / La nuova rubrica di Francesco Bugnone: "In pochi credo si ricordino cosa stessero facendo il 9 agosto 1996. Io me lo ricordo. Ero al mare, verso le dieci sono tornato nel piccolo residence dove soggiornavo coi miei e mi sono seduto nella...
Francesco Bugnone
Francesco Bugnone Columnist 

Sappiamo tutti cosa stavamo facendo il 15 aprile 1992. Soprattutto lo sapeva il Toro che, dopo la gagliarda prestazione al “Bernabeu”, vendicava, con una prova da grande squadra, la sconfitta di misura dell’andata, le ingiustizie arbitrali, il modo indegno in cui la polizia spagnola trattò i tifosi granata. Tutto in colpo solo e quel colpo significò la finale di Coppa Uefa: Toro due Real Madrid zero, Scifo e Vazquez che si abbracciano felici dopo il raddoppio di Fusi come immagine iconica, Lentini incontenibile. Ero perfettamente conscio di star vivendo una delle serate più belle della mia vita. Calcisticamente, forse, la migliore in assoluto.

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In pochi credo si ricordino cosa stessero facendo il 9 agosto 1996. Io me lo ricordo. Ero al mare, verso le dieci sono tornato nel piccolo residence dove soggiornavo coi miei e mi sono seduto nella hall per guardare una partita: Real Madrid-Torino.

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Ma come Real Madrid-Torino? Perché? Perché, quell’anno, noi e le merengues abbiamo una cosa in comune: Kelme  come sponsor tecnico. Indi per cui si organizza quest’amichevole a Elche, nella comunità autonoma valenciana. I madridisti, dopo un sesto posto in campionato, hanno appena ingaggiato Capello, reduce dagli scudetti in serie al Milan, per tornare in vetta. E noi?

Noi siamo retrocessi in serie B. Niente più Martin Vazquez, Scifo, Lentini, Casagrande. Ora in campo ci sono Cevoli, Nunziata, Balesini, Florijancic. Con tutto il rispetto di questo mondo, non è la stessa cosa. L’unico trait d’union col passato è Roberto Cravero, tornato in granata l’anno prima dopo l’esperienza laziale per chiudere la carriera con un triennio a dir poco doloroso. Forse, uno con la sua classe, coi suoi piedi, non meritava un finale così triste, ma l’amore è amore.

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In panchina c’è Sandreani, allenatore promettente che bene ha fatto a Padova e sembra l’idea più azzeccata dell’estate granata, ma verrà stritolato dalla situazione. Aspettando Ferrante, acquistato negli ultimi giorni di mercato, il Toro ha il problema più grosso con l’assenza di quella qualità che potrebbe fare la differenza in vista del campionato. Più che con la qualità, il problema è con chi dovrebbe rappresentarla ed è sotto contratto. Abedi Pelè non vuole saperne di rimanere, dice che uno che ha vinto tutto non può giocare in serie B, questione di principio, piuttosto smette. Ci sarebbe il piccolo particolare che anche lui qualche colpa per la retrocessione ce l’avrebbe, ma non importa: andrà al Monaco 1860. Scarchilli, invece, è stato appena comprato, ma non vuole venire, non per il Toro, per carità, ma per la serie B, lui vuole la A, lo voleva il Barcellona. Il Toro vince il ricorso al collegio arbitrale e Scarchilli dovrà presentarsi il lunedì dopo la gara col Real (spoiler: non giocherà malaccio, andrà in prestito alla Samp la stagione dopo, ma tornerà e si farà davvero apprezzare, nonostante la poca fortuna coi guai fisici). Clima surreale, quindi.

Come surreale è quell'amichevole. Come surreale è stare in una hall vuota a guardarla. Non è surreale, invece, che dopo 11’ un Toro ricco di assenze becchi gol da Raul. Aria di goleada, d'altronde era preventivato. E invece no, il Toro tiene. Tiene perché Casazza fa delle buone parate, perché Mezzano sembra davvero forte, perché è ben messo in campo. Si arriva a fine tempo sotto di uno, può andare. Testa alta.

Nulla, però, può far sospettare quello che succede al 55’: il Toro usufruisce di una punizione dal limite e Florijancic indovina una parabola imprendibile. Non riesco nemmeno a urlare, sia per l’incredulità gioiosa, sia perché, in un barlume di coscienza, so che potrei svegliare mezzo residence. Però due saltellini me li sparo lo stesso.

La reazione del Real arriva, ma il match point è granata: Florijancic si ritrova davanti a Canizares che salva in uscita. Lì, lo ammetto, avrei urlato fortissimo, ma così non è stato. Ci resta un pareggio prestigioso, inaspettato, che, ovviamente, illude. (“Ipoua sarà il nostro Bierhoff” è uno dei titoli che spuntano nei giorni successivi). Però, nonostante tutto, rimango affezionato anche a questo pareggio, perché alle cose estemporanee non si può non volere bene, anche se quell’anno  è stato tra i peggiori e abbiamo pure perso 4-0 in casa col Ravenna, ma una sera, una sera sola, abbiamo riguardato il Real nelle palle degli occhi e non abbiamo abbassato lo sguardo.

P.s. Permettetemi di chiudere con una nota personale: grazie ad Alessandro Costantino, il Granata della Porta Accanto, per le splendide parole. In periodi tristi come questo, fanno bene il triplo.

Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentinie...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.

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