Il rigore di capitan Cravero a inizio ripresa non è nemmeno consolatorio. Il Toro si trova già sotto 4-0 in casa di un Napoli rilassatissimo dopo aver alzato la coppa Uefa pochi giorni prima e sta disputando l’ennesima prestazione sconcertante della stagione 1988/89: senza grinta, senza concentrazione, senza niente. Ora è terzultimo in classifica, a un punto da Cesena e Ascoli, a due da Bologna e Pescara. Eppure quando è stato esonerato Radice la situazione sembrava ancora salvabile. Eppure a inizio girone di ritorno, in concomitanza con l’arrivo alla presidenza di Borsano, le vittorie interne contro Fiorentina e Roma sembravano aver risollevato le sorti della squadra di Claudio Sala. Invece una compagine ricca di equivoci e spaccature si trova a un passo dal baratro cadetto coi giocatori che, parole di Luca Marchegiani dopo il cappotto del San Paolo, stanno retrocedendo in B senza rendersene conto.
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Le cinque giornate di Sergio Vatta: parte 1
Con cinque giornate ancora da giocare tra fine maggio e giugno (il campionato è iniziato a ottobre causa Olimpiadi di Seul) Borsano tenta l’ultima carta per rimanere in serie A: esonera il “Poeta” e chiama, dalla primavera, Sergio Vatta, il Mago delle giovanili. Si tratta di un impegno a termine, perché, comunque andrà a finire, Vatta a fine campionato tornerà a fare meraviglie in primavera e sulla panchina granata siederà Eugenio Fascetti. Il primo provvedimento del nuovo tecnico è chiedere al presidente di revocare il ritiro per rimanere ad allenarsi al Fila provando a riportare i tifosi dalla parte della squadra. Borsano accetta e, nel frattempo, lancia velati messaggi a chi vorrebbe andare via come Muller: resterà anche in caso di retrocessione, costi quel che costi. Il clima, contando anche le voci di un inspiegabile maxi premio a vincere al Napoli la domenica precedente e le assurde illazioni sul voler retrocedere apposta, è rovente. L’unico che sembra davvero poter fare il miracolo è proprio Vatta che conosce molti dei giocatori, di fatto cresciuti da lui, e che, comunque vada, ha il bene e l’affetto dell’ambiente dalla sua per una storia che parla da sola. Più che sul gioco, la stagione è troppo avanti per cambiare, il tecnico lavorerà sulla testa di una squadra che sembra non averla più. I primi giorni di allenamenti sembrano sortire qualche effetto soprattutto su giocatori come Edu, fin lì molto lontani da quanto ci si aspettava. Il brasiliano si candida a essere tra i più positivi delle “cinque giornate” mancanti.
A Pisa il clima è caldissimo: ultima spiaggia per i toscani, partita della speranza per i granata. Quattromila tifosi granata al seguito in un’Arena Garibaldi stracolma. Il Toro sembra aver acquisito più logica e più spirito rispetto alle gare precedenti, Edu pare davvero rigenerato, ma, pur premendo, la rete non arriva. Anzi, arriva quella del Pisa con Incocciati che sfrutta un errore di Marchegiani, forse caricato, su angolo di Been. Le conclusioni di Fuser escono di un soffio, quelle di Muller sono parate da Grudina o finiscono sull’esterno della rete: ancora una sconfitta. Vatta analizza con lucidità la gara, anche se si lascia sfuggire una frase che sembra una scusa, ma di fatto è una grande verità: “Il Toro ha avuto la sfortuna di chi è debole: commetti un errore e lo paghi carissimo”. Il Toro rimane terzultimo, davanti a lui Pescara e Cesena hanno 24 punti, il Bologna e l’Ascoli sono a 25. Saranno proprio i bianconeri i prossimi avversari dei granata. All’andata una rete di Cvektovic ci costrinse all’umiliante ultimo posto solitario, stavolta si può solo vincere come detto tante, troppe volte nell’anno alla vigilia degli scontri diretti interni che spesso finiranno con pareggi indegni (Pisa, Lecce), mediocri (Bologna) o sfortunatissimi (Pescara).
L’ennesima settimana decisiva si apre con Vatta che cerca di ragionare sul cervello e sul cuore dei giocatori, coi tifosi che alternano la preparazione all’ennesima grande Maratona stagionale, a dispetto dei risultato, a qualche poco velata minaccia di resa dei conti nei confronti di qualche calciatore ritenuto più responsabile di altri, con attestati di stima e speranza che arrivano da ogni dove, che sia il Giro d’Italia o addirittura l’allenatore juventino Dino Zoff che, col Toro fra i cadetti, teme un ulteriore depauperamento sportivo per Torino. Nel frattempo il nostro mister decide di ovviare alle mancanze sulle fasce buttando dentro un giovane della primavera: Massimiliano Farris. Se la caverà bene, salvando anche alla disperata su Cvektovic nel finale.
L’inizio della gara contro l’Ascoli è da incubo. I marchigiani giocano sulle ali dell’entusiasmo per un mese di maggio che ha portato gol e punti e, nonostante l’assenza pesante di Casagrande, si ritrovano in vantaggio dopo 5’: tocco di Cvektovic da sinistra, correzione di classe di Bruno Giordano (vicinissimo al Toro, con Bagni, nel mercato di riparazione, ma mai arrivato al termine di una delle tante vicende oscure della stagione) e botta da fuori di Dell’Oglio su cui Marchegiani non è irreprensibile. I tifosi stavano cantando “Forza Toro olè” e il coro si spezza in gola. I granata, adesso, devono scalare l’Everest. Marchegiani si riscatta con un paio di interventi su Arslanovic mantenendo il punteggio ancora aperto.
Al 42’ improvvisamente ricomincia a esserci vita fra i colori granata grazie a Skoro che, come se si fosse liberato da una zavorra, parte in progressione sulla destra, entra in area e da posizione defilata supera Pazzagli in uscita con un destro difficilissimo. Il boato di Maratona e dintorni è di quelli che stringono il cuore, liberatorio come quando capisci che c’è ancora speranza, che è ancora tutto possibile. L’autore del gol salta i cartelloni per esultare più vicino ai tifosi e ritorna subito in campo come se intuisse che bisogna continuare a cavalcare l’onda che, impossibile da pensare pochi istanti prima, adesso si è creata.
Haris ha ragione. Un paio di minuti e Silvano Fontolan controlla in maniera approssimativa un pallone lungo, di fatto sistemandolo per Muller che scatta verso l’area e viene steso da Pazzagli in uscita. Calcio di rigore. La testa di molti va alla partita contro il Pescara, stradominata, con Cravero che si presenta dal dischetto a 20’ dalla fine sotto la Maratona e Gatta, a cui di lì a qualche mese ne faremo sette, che compie l’ennesimo miracolo di giornata. La curva è la stessa, ma cambia il rigorista visto che sul dischetto ci va proprio Muller. Tiro rasoterra, fiacco, sulla sinistra del portiere che devia in angolo senza troppe difficoltà, mentre una lama gelata ci trafigge l’animo. La scarica elettrica creata dalla rete di Skoro è già finita.
La ripresa è un assalto infruttuoso dove l’occasione migliore capita ancora a Muller, ma sulla sua girata Pazzagli è di nuovo bravissimo. Inizia anche a diluviare in maniera quasi simbolica. Le gambe sono pesanti come il campo, l’attacco è continuo, i pericoli pochi. Il triplice fischio sancisce l’ennesimo scontro diretto terminato in parità, l’ennesima occasione buttata, la B sempre più vicina. La salvezza dista tre punti con Ascoli, Lazio, Bologna e Cesena a 26, il Pescara e quartultimo a 25, noi terzultimi a 23.
Nonostante la pioggia battente i tifosi granata si fermano a contestare nell’antistadio, inferociti per l’ennesima occasione mancata. Borsano è costretto a imbracciare un megafono per calmare gli animi: “Lasciateci lavorare e lasciate ancora che questi ragazzi possano allenarsi. Andate a casa”. Il presidente afferma che la squadra farà di tutto per portare a casa i sei punti ancora disponibili, non si smobilita. I presenti si convincono e vanno via. Il presidente mostra i denti ai microfoni quando parla di mediatori che cercano di avvicinarsi ai giocatori migliori col campionato ancora in corso e promette di tenere Cravero e Muller anche in caso di retrocessione come pedine per la risalita. Vatta è quasi zen mentre commenta una prestazione orgogliosa e poco fortunata. Ci sono sei punti in palio, bisogna farli tutti. Lo spirito si è finalmente visto, anche se troppo tardi. Sembra davvero finita, ma proprio nel momento più buio, improvvisamente, a Como rifiorisce la speranza.
(Continua)
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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