La semifinale di Coppa Italia contro la Juventus finisce 0-0 come in campionato, ma la partita è stata ben diversa. Se la precedente è stata la stracittadina della paura, conclusa coi fischi di entrambe le tifoserie, questa è briosa e gagliarda, complice la posta in palio e il momento delle due squadre fresche di successo contro le milanesi. Per il calendario giochiamo fuori casa, quindi trovare il gol sarebbe importantissimo. A 9’ dalla fine sembrerebbe arrivare il momento giusto con un gran tiro al volo di Pulici, ma Zoff salva di piede acuendo l’amaro in bocca per il risultato finale. Il sapore peggiora guardando l’infermeria, nuovamente piena.
Culto
Le fatiche di Ercole parte 2
Sarà anche per questo che il Toro ha una leggera frenata con tre pareggi consecutivi. Il primo è in casa contro l’Udinese, dove le assenze di Claudio Sala, Zaccarelli, Danova e Salvadori ci bloccano contro una squadra in difficoltà, che passa addirittura in vantaggio con Vriz in beffarda scivolata sugli sviluppi di una punizione. Buon per noi che Mariani, praticamente al primo pallone toccato dall’ingresso in campo nell’intervallo, tiri fuori uno spunto concluso con un cross basso che Graziani mette in rete salvando l’imbattibilità rabittiana. Ci sarebbe anche un rigore negato per mani di Osti, ma è solo un ulteriore carico sulla malinconica domenica granata.
Rabitti non fa drammi e si parte per Catanzaro attesi da una squadra in disperata lotta per non retrocedere che ha appena sollevato dall’incarico Carletto Mazzone. Si gioca il sabato di Pasqua, ma la gara ha ben poco del clima di festa e pace del periodo. Gli animi si accendono subito con un rigore negato a Palanca, steso da Volpati, da parte di Rosario Lo Bello. Dagli spalti arrivano contumelie e lattine, in campo si moltiplicano gli scontri, Terraneo si salva da campione un paio di volte e i granata hanno delle buone opportunità di rimessa. Il finale, se possibile, è ancora più acceso e a 4’ dalla fine Pulici segnerebbe la rete del successo con una rasoiata dal limite, ma la sua maledizione continua dato che l’arbitro annulla per inesistente fuorigioco di Graziani. La decisione fa così imbufalire gli ospiti che non solo Pat Sala, che è in campo, si vede sventolare il rosso sotto il naso, ma anche Copparoni riceve la stessa sorte pur essendo in panchina. Pochi istanti e rete annullata anche a Palanca su punizione indiretto calciato di prima e buon per noi che né la barriera né Terraneo in tuffo abbiano toccato.
Anche contro il Napoli il Toro gioca di sabato, data la visita di Giovanni Paolo II nel capoluogo piemontese il giorno successivo, e arriva un altro 0-0 in una gara che fa registrare l’esordio in campionato di Giorgio Carrera, uno degli emblemi della strana stagione granata. Acquistato per fare il libero, a causa di un grave infortunio in Coppa Italia, è subito stato estromesso dai giochi creando il primo grosso problema a Gigi Radice che, in un ruolo fondamentale, ha dovuto adattare giocatori esperti o provare a lanciare un debuttante come Masi.
Il giorno in cui Mozzini torna a essere protagonista in una partita scudetto (autorete contro il Cesena quand’era da noi, rete nel finale in Inter-Roma a dare la matematica certezza tricolore ai nerazzurri) torniamo a vincere contro il derelitto Pescara ricominciando a sperare nell’Europa. Una zampata di un grandissimo Vullo e uno spunto personale di Pecci hanno confezionato un successo persino stretto nelle dimensioni vista la mole di occasioni create. Toro così superiore che l’unico modo per fermarlo è stato quello escogitato dal pubblico abruzzese nel finale che, per qualche istante, non ha restituito un pallone terminato sugli spalti. A fine partita tanti sorrisi, ma un solo pensiero: il ritorno del derby di Coppa Italia.
Il Toro, tanto per cambiare rimaneggiato, può solo vincere visto che un pari con reti porterebbe in finale i cugini, ma finisce nuovamente 0-0 per la terza volta su tre con Rabitti tecnico. Ancora una volta è un derby diverso dagli altri, non c’è la paura, non c’è il gioco, ma ci sono la furia e la cattiveria agonistica. Tanti falli, poche occasioni nitide (una prodezza di Terraneo su Bettega, un rigore negato a Claudio Sala) e le espulsioni dei capitani Claudio Sala e Furino per reciproche scorrettezze. I giovani granata resistono e si decide tutto ai rigori.
La serie inizia con Mandorlini che spiazza Zoff, ma calcia a lato. La disperazione dura poco perché Terraneo si oppone alla staffilata di Cuccureddu. Il secondo giro vede le prime segnature con Sclosa e Virdis, entrato apposta a 2’ dalla fine dei supplementari per calciare dal dischetto. Il momento decisivo è nella terza tornata dove Graziani insacca e Terraneo si supera sulla conclusione tutt’altro che malvagia di Tardelli. Tutta discesa ora: Greco realizza, Cabrini tiene in vita un lumicino di speranza bianconero e Pecci ci fa esplodere di gioia con una conclusione angolata su cui Zoff non può proprio fare nulla. Vittoria dagli undici metri dopo un doppio 0-0, come contro la Lazio, ma stavolta la soddisfazione è immensamente più grande. Proprio la Lazio sarà l’avversario della domenica successiva, in un momento in cui l’orizzonte non è mai stato così limpido in stagione. Tendenzialmente il Toro stecca situazioni di questo tipo, ma stavolta no, perché gioca con aiuto in più.
La partita si disputa il 4 Maggio, giorno del trentunesimo anniversario di Superga. La triste ricorrenza dà un’ulteriore motivazione ai granata che battono gli avversari con una ripresa d’assalto. Pat Sala prova ad assestare il colpo vincente, ma il suo forte rasoterra è respinto dal palo. Pecci prova il pallonetto come contro lo Stoccarda, ma il portiere laziale, sopreso, smanaccia contro la traversa. Eraldo si rifà pochi istanti dopo quando, lanciato da Graziani, dribbla mezza difesa laziale e Avagliano in uscita può solo sfiorare il suo tocco rasoterra. Un gol da cineteca, anzi da “fenomeno” essendo questo l’aggettivo che Rabitti usa negli spogliatoi per il suo numero otto. Sclosa completa il trittico di legni con una sventola che centra la parte bassa del palo con il portiere immobile. Purtroppo per lui e per noi non sarà l’unico montante centrato dal biondo centrocampista, ma non è ancora il 1984 e non stiamo ancora giocando contro il Verona, quindi ci disperiamo moderatamente. Toro quarto in classifica a braccetto con la Fiorentina e a un punto dal Milan terzo. Milan che verosimilmente retrocederà per la questione Totonero. L’Europa è lì. Tutti contenti? Non proprio.
La finale di Coppa Italia si gioca in una partita secca e si è deciso di giocarla a Roma perché Pertini vuole premiare i vincitori. C’è solo un piccolissimo particolare. L’avversario del Toro sarà proprio la Roma che, di fatto, giocherebbe in casa. I tifosi granata, inferociti, si dicono pronti a boicottare la trasferta e a scrivere al presidente della Repubblica per esporre le loro giuste ragioni. L’anno prima Juventus-Palermo si giocò a Napoli, quando ci fu il derby di Milano, invece, il trofeo si decise proprio a San Siro. Non c’è nulla che impedisca uno spostamento, ma le giuste rimostranze non avranno successo.
Il Toro chiude il campionato a Bologna dove deve vincere per arrivare in Uefa. Dopo 2’ Graziani mette la strada in discesa ai compagni: si allarga un po’ scartando il portiere, ma poi converge e scaraventa in rete nonostante l’estremo avversario fosse rientrato fra i pali. Tutto facile? No. Imbottito di giovani il Bologna butta in campo l’orgoglio, pareggia con un gran colpo di testa di Perego. Indeciso su che ritmo dare a una gara che lo vede nettamente favorito, il Toro rischia addirittura la sconfitta, ma si ritrova nel finale. Mariani coglie il palo, Rossi compie parata in serie poi Graziani, a 8’ dalla fine, calcia alle stelle un rigore (ahia), ma si rifà al 90’ quando Vullo, dopo un errore di Zuccheri, lo serve al limite. La girata di Ciccio è mortifera per il portiere felsineo e il Toro è in Europa. Rabitti ce l’ha fatta, ma non c’è tempo di gioire troppo perché il cervello è alla Coppa Italia. Ercole, pur non negando i suoi grandi meriti, afferma che si è trovato la strada spinata dal lavoro di Radice. Il sì detto a Pianelli per spirito di servizio (“Sono un dipendente del Torino, non sarebbe stato carino rifiutare”) alla fine ha pagato e, come quando era sulla sponda opposta del Po, l’impresa in rimonta è riuscita. Manca solo un pezzetto per rendere tutto indimenticabile. Un solo, maledetto pezzetto.
All’Olimpico la partita è molto intensa e, nei regolamentari, le occasioni migliori sono un palo di Ancelotti e una gran parata di Tancredi su Pulici. Lo 0-0 non si schioda nemmeno ai supplementari. Le conclusioni granata sono neutralizzate, un altro palo, stavolta di Di Bartolomei su punizione, nega il vantaggio alla Roma. Si va ai rigori. Per il Toro è il quinto zero a zero consecutivo nelle gare a eliminazione diretta della competizione, potrebbe essere un piccolo record se vincesse.
Il primo a presentarsi dal dischetto è il romanista Giovannelli. Tiro rasoterra, fiacco: Terraneo respinge senza scomporsi troppo. Tocca a Mandorlini, l’errore nel derby è solo un ricordo perché l’esecuzione è perfetta col portiere spiazzato e la palla all’incrocio. Terraneo intuisce il secondo rigore di Bruno Conti, ma la palla è nel “sette". Tocca a Mariani che, subentrato a Pulici, tiene presente gli insegnamenti dello stesso Pupi sui tiri dal dischetto, guarda deciso Tancredi e lo spiazza con un rasoterra calciato con una naturalezza incredibile che mette a tacere i fischi dell’Olimpico. Mandorlini deve compirà vent’anni a luglio, Pedro è ancora minorenne. I giovani del Toro, i giovani del Fila non tradiscono.
Il terzo rigore potrebbe indirizzare definitivamente la sfida. La conclusione di De Nadai è fiacca e centrale. Terraneo deve solo chinarsi e neutralizzare. La coppa sembra essere lì, a portata di mano. Martellini lo dice “Il Torino è a un passo dalla Coppa Italia con il calcio di rigore che tira Greco”. Se Giuseppe segnasse ci ritroveremmo avanti di due con due rigore da calciare, ma il numero sette imita De Nadai e Tancredi, mossosi con largo anticipo e quasi al limite dell’area piccola, para. Restiamo comunque avanti 2-1.
Tocca a Di Bartolomei, uno che non sbaglia quasi mai, uno che, col Liverpool, tirerà per primo nella finale di Coppa dei Campioni che è ancora un incubo per i giallorossi. Uno che la mette sempre sotto la traversa, ma non stavolta. Il tiro è a mezza altezza e centrale, Terraneo si è buttato sulla sua destra, ma se lo ritrova comunque addosso. Basterebbe un gol su due rigori per vincerla o un errore della Roma. Mentre riguardo il filmato sono ancora convinto che succeda qualcosa di buono per noi, che ci sia un errore nell’albo d’oro, perché non possiamo non averla alzata, non possiamo.
Nonostante avesse detto di non voler più tirare rigori dopo l’errore di Bologna, Graziani va sul dischetto. Ha la fascia da capitano, non ci si può esimere se la si indossa. Quel pallone nel sacco potrebbe consegnare il trofeo nelle sue mani. Rincorsa lunga, tiro alto. I romanisti esultano per lo scampato pericolo. Quattro anni dopo, nel già citato Roma-Liverpool, stregato dalle mosse folli di Grobbelaar Ciccio colpirà la parte esterna della traversa. Se il diavolo si presentasse in quel momento e dicesse a tutta Roma di scambiare quella Coppa Italia con quella Coppa dei Campioni nessuno direbbe di no e saremmo felici in due. Ma quel demone non si presenta, è solo una fantasia malata. Graziani che torna a centrocampo sconsolato e con le mani sui fianchi è un’immagine che stringe il cuore.
Se Santarini sbaglia, vinciamo. Ma Santarini non sbaglia e spiazza Terraneo. Adesso è tutto nei piedi di Pecci. Balzo indietro nel tempo: finale di Coppa Italia 1974 tra Bologna e Palermo, abbonato a perdere l’atto conclusivo in maniera beffarda in quegli anni. Un Pecci non ancora ventenne calcia il quinto rigore e lo trasforma. Favalli lo sbaglierà e i rossoblù potranno festeggiare all’Olimpico. Quella volta, però, non c’era uno stadio intero a sommergerlo di fischi. Eraldo pulisce il dischetto un paio di volte, prende la mira, potrebbe far partire una staffilata, ma calcia come De Nadai, come Greco. Parata facile di Tancredi e stadio, campo neutro per modo di dire, che esplode.
Ci si potrebbe appendere alla cabala, anche contro la Lazio, nei quarti, sotto la stessa porta il Toro spreca un grosso vantaggio, va a oltranza e vince. Però l’inerzia, questa volta, sembra davvero girata. Tancredi è attorniato da un incredibile numero di persone che erano dietro la porta, cosa impensabile adesso, e il portiere romanista, innervosito, ne scaccia qualcuno. Serve recuperare la concentrazione, perché non è finita, anche se in realtà lo è. Il terreno di gioco si libera e tocca ad Ancelotti che spiazza Terraneo con un destro perfetto. Dopo essere stati due volte a un tiro dalla coppa, ora, se sbagliamo, andiamo a casa. Zac prova a piazzarla, angola bene, ma la conclusione manca di forza e un Tancredi ormai ira di Dio si tuffa e respinge. Il Toro con Rabitti ha disputato quattordici partite senza perdere, ha subito tre sole reti. Serve per andare in Uefa, ma non per festeggiare un trofeo. Nodo in gola, rabbia per avere giocato di fatto in trasferta. Un giorno ci vendicheremo, nonostante tanti rigori contro quasi come se ci fossimo ritrovati di nuovo a decidere la vittoria dopo 120’ di battaglia. Il 1993, però, è lontano, troppo lontano.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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