Paolino Pulici con un’altra maglia. Non ci si crede. Lui, il Toro impersonificato, il concetto di supereroe applicato al granata, che va via da casa sua e indossa una casacca. Bianconera, per giunta. Non “quel” bianconero che spesso e volentieri faceva a pezzi, bensì quello dell’Udinese. ma fa un certo effetto pensare che nell’estate del 1982, dopo 436 presenze e 172 reti totali, Puliciclone e il Toro si separino. Certo, spiritualmente saremo uniti per sempre nei secoli dei secoli, ma non vestirà più la maglia granata in partite ufficiali, con l’undici sulle spalle e la voglia di far godere la Maratona come primo pensiero.
CULTO
Ma la divisa di un altro colore
Sembra impossibile, ma Pulici ha un'altra maglia addosso. E' quella dell'Udinese. Francesco Bugnone, in Culto, ci racconta di quando Pupi incontrò il Toro con una casacca diversa pur avendolo sempre dentro
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Succede quando Pianelli se ne va. Vende il Toro a Sergio Rossi, ma, si scoprirà poi, non il cartellino di Pupi che diventa proprietà del giocatore. Non c’è più posto per Paolo nel Toro che sta nascendo, troppo vecchio dicono. Ha solo trentadue anni, ma è troppo vecchio. Viene accostato alla Sanremese, un trasferimento che avrebbe dell’incredibile e che, con tutto il rispetto per la squadra rivierasca, sarebbe ingiusto. Pulici ha ancora tanto da offrire al calcio per svernare al mare. Ben presto la pista ligure sfuma, perché Paolo vuole la serie A e la A ha ancora bisogno di Pulici. Si parla del Verona, in principio, ma a fine agosto il nostro eroe decide di accasarsi più a est, destinazione Udine.
In Friuli trova un avversario di tanti derby come Franco Causio, scaricato da Madama la stagione precedente e, con un bianconero differente addosso, si è ritrovato tanto da partecipare ai Mondiali 1982. “Ci accomuna la nostalgia per Torino” dice Pulici in una conferenza stampa di presentazione le cui domande, a volte, rasentano la maleducazione. Qualcuno gli chiede letteralmente “Ma Pulici non pensa che sulla soglia dei trentatré anni si può finire anche la carriera?”. Le risposte sono a muso duro, ferme. Il numero undici ci mette tre giornate per rispondere coi fatti a quelle insinuazioni, a chi lo pensava buono solo per le categorie inferiori, a coloro che, nel giro di pochi mesi, hanno incredibilmente dimenticato chi fosse davvero Paolo Pulici.
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In casa della Fiorentina, che l’anno prima ha perso in maniera amarissima lo scudetto al fotofinish con la Juventus, Pulici si trova di fronte l’ex gemello Graziani e si gasa. I viola passano in vantaggio con un rigore di Antognoni, ma nel secondo tempo viene investita da un Puliciclone. Al 63’ Miano centra da destra e Pulici decide di andarsi a prendere il pallone con un tuffo bestiale, controintuitivo, che lascia immobile la difesa gigliata. Un tuffo da centravanti vero, dal più prolifico cannoniere in attività nella massima serie, un tuffo che vuol dire “vecchio, un cazzo”. Qualche capello sarà grigio, ma guardate cosa sa fare col suo corpo, con la sua testa. La palla viene colpita e indirizzata sul secondo palo. Giovanni Galli non si tuffa neanche: pareggio. Una decina di minuti e, ancora da sinistra, arriva il rifornimento giusto per Pupi. Stavolta la palla giusta è un forte esterno di Causio, Pulici stacca con mezzo corpo sopra il malcapitato Pin e incorna nel sacco per il 2-1 finale. Due prodezze e di colpo gli stessi, o quasi, che ironizzavano sul troppo vecchio si ritrovano ai suoi piedi. La doppietta arriva al momento giusto, perché la domenica dopo è già tempo di ritrovarsi visto che il Toro di Bersellini andrà al “Friuli”.
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Granata e friulani sono appaiati a quota quattro. Noi siamo partiti alla grande con una goleada all’Avellino, poi due pareggi: accettabile quello di Catanzaro, beffardo quello casalingo contro il Genoa dove il gol di Borghi, che sta indossando proprio la undici, viene impattato da una punizione di Peters deviata in barriera da Dossena. Nei giorni antecedenti alla gara i microfoni sono tutti per Pupi che racconta di cos’ha provato quando la società (e non Bersellini che è arrivato quando le cose erano ormai fatte) gli ha comunicato che era finita. “Quel giorno in cui alcuni impiegati della società mi dissero che non servivo più mi sembrò che il mondo dovesse cadermi in testa. Andai ad allenarmi su un campo della periferia: ero amareggiato, ma non mi arresi. Ora non cerco alcuna vendetta, però un gol vincente contro il Torino sarebbe la più bella delle soddisfazioni”. Ribadisce però che è e resta granata, come potrebbe essere altrimenti. Del “suo” Toro, in pochi mesi, non sono rimasti in molti fra dirigenti e giocatori. Uno di questi è Gigi Danova, sarà lui a marcarlo. L’ultima volta che lo aveva fatto, da avversario, aveva finito con osservare Paolo colpire in tuffo un pallone non particolarmente alto che solo un demone granata avrebbe potuto trasformare in gol con la testa. Era Torino-Cesena. Era il giorno dello scudetto.
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Pulici si commuove quando entra in campo. Lo fa quando guarda il “suo” granata vestito da altri o lo striscione dei tifosi in trasferta che gli portano un messaggio semplice ma che va dritto al cuore: “Non potremo mai dimenticarti, forza Pulici!” Quando Paparesta fischia, però, gli occhi si asciugano subito e Paolino è protagonista di un duello splendido con Danova, spesso supportato da Galbiati. La partita è bellissima: ii Toro la sblocca in avvio con Pato Hernandez sugli sviluppi di un’errata uscita di Corti, probabilmente ostacolato da Borghi. Sbagliamo un paio di volte il raddoppio e, a fine frazione, subiamo il pareggio. E’ proprio Pulici a guadagnare un calcio di rigore che fa infuriare Danova sia per la venialità del contatto che per una misteriosa sbandierata del guardalinee (fuorigioco di Paolino?): dal dischetto Causio trasforma. A inizio secondo tempo una punizione di Causio trova una deviazione di Dossena, la seconda consecutiva dopo quella citata prima contro il Genoa, e siamo sotto 2-1. Pulici ha un paio di occasioni, su una è bravissimo Terraneo, e la sua presenza finisce con essere magica anche per la maglia numero undici granata, indossata dal dignitosissimo Borghi, che, di fronte al precedente e leggendario possessore, decide di segnare forse il suo più bel gol nel Toro. L’ex attaccante del Catanzaro sembra scuotersi di dosso il mal di denti che lo aveva tenuto in forse alla vigilia, si invola a destra lanciato da Dossena e lascia partire un bolide dal basso in alto che vale il 2-2 finale. Applausi per tutti.
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Ci si ritrova un girone dopo al Comunale e se all’andata era già stato un colpo al cuore, figuriamoci in quella che è stata casa sua. Pulici, nel frattempo, ha segnato un altro gran gol contro la Samp in un 3-1 corsaro (colpo di testa parabolico all’incrocio) poi l’Udinese ha pareggiato per sei volte di fila, quattro per zero a zero, tre consecutivi. Ancora una volta ci affrontiamo a braccetto: diciannove punti a testa, sesto posto in coabitazione. Pupi stavolta parte dalla panchina. Parafrasando De Andrè quel pomeriggio ha il nostro stesso identico umore, ma la divisa di un altro colore. Sì, per fortuna lo scenario non è bellico, come ne “La guerra di Piero”, in quel momento siamo solo avversari sul campo, ma è per far capire che pur con casacche differenti, abbiamo ancora voglia di abbracciarci forte e di volerci bene.
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Alla vigilia Pupi scherza sul rischio di sbagliare spogliatoio. Il sei febbraio 1983 alle 15, però, parte dalla panchina. Ha fatto incetta di premi e riconoscimenti affettuosi: targhe, medaglie, striscioni. Ancora una volta non ha potuto fare altro che commuoversi di fronte a tanto amore. La partita è molto meno bella di quella dell’andata. Borghi colpisce un palo, poi reclama un rigore. Paolino sostituisce Virdis al 71’, Danova si piazza su di lui. La leggenda racconta che quando prova a fargli fallo, giù fischi, anche se Gigi è una bandiera del Toro, ma Pulici è Pulici, non ci sono discussioni, non ci sono paragoni. Il destino ci mette lo zampino quando una punizione di Surjak sembra ben indirizzata verso la porta di Terraneo ed è proprio l’idolo della Maratona a respingere la conclusione involontariamente. Un “salvataggio” che mantiene invariato il punteggio di 0-0 fino al fischio finale.
Tutto questo amore carica Pulici che troverà il gol vittoria contro l’Ascoli (bel colpo di testa sugli sviluppi di un corner a un quarto d’ora dalla fine) il turno successivo. Segnerà ancora contro il Catanzaro (diagonale vincente su palla filtrante di Miano). Cinque gol, quattro vittorie, altro che Sanremese. Ci sarà ancora un biennio a Firenze e poi basta, la carriera finisce, una grande carriera, tre titoli di capocannoniere, due Coppa Italia, uno scudetto e una scorta inesauribile di amore, come nessuno e non solo con la nostra maglia addosso. Nessun calciatore è stato adorato così dal suo popolo. Ed è per questo che continuiamo ad aspettare che, in un modo o nell’altro, con un ruolo o con un altro, ritorni.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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