Aprile 1998, Monaco-Juventus, semifinale di ritorno dI Champions League. I bianconeri hanno vinto 4-1 all’andata in una gara dura e nervosa, coi monegaschi che promettono un secondo atto molto caldo. Le cose in chiaro le mette subito Djibril Diawara con un duro intervento che peggiora il suo esito in maniera fortuita: il franco-senegalese finisce col peso del corpo su Inzaghi che picchia la testa e si ferisce al labbro. L’immagine dell’ora tecnico del Benevento col volto pieno di sangue e l’aria stordita è forte. E’ un intervento censurabile che è andato molto più in là delle intenzioni, con l’autore del fallo, che infatti si scuserà per l’accaduto, ma l’episodio fa sì che quando nell’estate 1999 arriverà nella Torino granata tutti sanno già chi è.
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Nel buio
Naso schiacciato da pugile, una cicatrice pare frutto di una rissa in un locale, sembra che sia arrivato un cattivo ragazzo, mentre, invece, è arrivato un enigma, un giocatore di grandi potenzialità che può essere indistintamente un idolo, un flop o un rimpianto. Sarà, come spesso ci accade, un misto di tutti e tre.
Nel Toro neopromosso del Mondonico-bis, Diawara può giocare sia in difesa che in mezzo al campo. Fa bene in amichevole dove interrompe con improvvisi e devastanti strappi momenti in cui sembra da un’altra parte. “L’antilope granata” è il primo soprannome a spuntare dopo un 3-1 al Varese. Però in allenamento non è che ci dia dentro e dopo pochi giorni dal suo arrivo ecco la prima multa, tanto per cominciare bene: non si presenta in tempo per la partenza della terza fase del ritiro a Sommariva ed è completamente irrintracciabile. Si dice che dovesse organizzare il trasloco, mentre Diawara affermerà che era stato vicino alla mamma che ha avuto un piccolo malore, che ha sbagliato e pagherà.
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Inizia il campionato e le cose sembrano andare bene. Nello 0-0 a Bologna viene definito “una roccia” da La Stampa, successivamente si rivela duttile e tutto sommato affidabile, cercando di ritagliarsi un ruolo di leader con dichiarazioni che spingono i compagni a non avere paura. Nel posticipo contro la Roma di Capello, l’ex Le Havre decide di fare impazzire la Maratona con una prestazione maiuscola. Al 20’ Pecchia si fa male: Mondonico butta dentro Maltagliati e avanza Djibril al centrocampo. Basta un minuto per evidenziare la bontà della scelta. Il numero ventisette va in fuga a destra, inarrestabile, Lima prova a fermarlo con un tackle, ma non gli fa nemmeno il solletico. Diawara entra in area e crossa basso e forte, Zago devia la traiettoria, ma non fa altro che mandare la palla su Scarchilli il cui stop di petto è seguito da un meraviglioso sinistro sotto la traversa. Di Francesco pareggia a inizio ripresa sugli sviluppi di una punizione, Ferrante costringerà a una grande parata Antonioli, ma l’ultima nota sul tabellino è l’espulsione proprio di Diawara per proteste da parte di Racalbuto. “Forse pensava di essere al Monaco e ha tenuto un comportamento che al Toro non gli è permesso” è il commenta tagliente del “Mondo” in conferenza stampa. La notizia peggiore, però, arriva dal giudice sportivo: due giornate di squalifica, Diawara salta il derby.
Nelle settimane successive, Diawara parla da condottiero, vede un Toro da lotta per l’Uefa e sgrida gli arbitri, un po’ troppo accondiscendenti con le grandi squadre. Il tutto rigorosamente in francese, visto che parla pochissimo l’italiano. Cosa non da poco dato che, al rientro contro il Perugia, si fa sfuggire Calori nell’occasione della rete decisiva e Mondonico afferma che se imparasse la lingua capirebbe gli ordini. Le prestazioni colano a picco: a Parma prende addirittura un tre, venendo definito “un disastro” da Bruno Bernardi. Da quel momento in poi, mentre il Toro crolla con sei sconfitte consecutive, Diawara sparisce dai radar tra problemi fisici, qualche ritardo agli allenamenti e voci di cessione sempre più insistenti. Il centrocampista sembra avere buttato la grande occasione di sfondare nel calcio italiano, invece il destino sembra avere in serbo altro.
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Il Toro è in una fase in cui pare in grado di rilanciarsi e nel match interno contro il Cagliari Diawara torna in campo a inizio ripresa fra gli applausi del pubblico, ritrovandosi a fare il libero d’emergenza quando viene espulso Jurcic, senza demeritare. Nella giornata successiva, il Toro va a Bari con la bruttissima terza maglia (nera) di quegli anni e si appresta a giocare una gara tesissima con una coda di cui faccio fatico a scrivere, ma si deve.
Nel primo tempo il Bari va vicino al gol con una clamorosa traversa a portiere battuto su punizione di Collauto che, nel lungo e poco giustificato recupero della frazione, calcia anche il piazzato da cui nasce il gol del vantaggio di Osmanovsky. Il Toro pareggia a inizio ripresa con una meravigliosa punizione dal limite di Ferrante. In tutto ciò Diawara sta giocando la sua miglior partita lontano dal “Delle Alpi”, a tratti è incontenibile, con una poderosa azione personale si porta in area e lascia partire un bolide da posizione difficile che viene ribattuto dalla traversa. Una gara rabbiosa, mentre sugli spalti arriva qualche “buu” di troppo. Poi, al tramonto della gara, finiamo tutti nel buio di una situazione squallida.
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Del Grosso colpisce in faccia Diawara. Ne nasce un parapiglia, il granata si gira e se la prende col primo che gli capita a tiro, Gigi Garzya, credendolo colpevole. Diawara ha il naso spaccato e cerca di farsi giustizia da solo, i baresi dicono che abbia sputato, altre versioni affermano che siano gli schizzi di sangue della ferita ad andare per aria. Nessuno considera che una persona col setto nasale rotto di fresco magari non è lucidissimo nel ragionare. Da vittima, Djibril diventa subito colpevole, senza appello. Il buio però continua a inghiottire tutto. Un dirigente del Bari pare dica una frase troppo brutta per essere vera. Fascetti, in conferenza stampa, si rivolge nei confronti del giocatore del Toro con un appellativo razzista, poi lo smentisce, poi dice che “quelli come lui dovrebbero starsene a casa loro, anche perché il loro sputo potrebbe essere infetto”, quindi dice che non era una frase razzista, ma contro chi sputava e, quando interviene la Melandri, se la prenderà anche con la politica. Il giorno dopo Garzya dirà che si farà gli esami anti-aids con un’uscita altrettanto evitabile. Diawara subisce quattro giornate di squalifica, poi ridotte a tre, salterà di nuovo il derby, ma non quello che conta. Ciò che conta è l’ingiustizia subita, passare da vittima a reo, l’accusa di essere “infetto”. Diawara è finito nel buio che ha inghiottito il calcio italiano in quelle bruttissime ore.
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Da quel momento la sua carriera è come se fosse finita. Diawara firma contratti, scende in campo, ma è finita. Dopo la squalifica al Toro conta solo più tre presenze, anzi, due e mezzo, visto che col Parma chiude in anticipo la stagione dopo un bel primo tempo per l’ennesimo guaio fisico. In estate va al Bolton, sembra una luna di miele, ma finisce presto quando contravviene alla regola sul non bere alcolici il giorno della partita. A gennaio è di nuovo Torino, non più col cranio rasato, ma con le treccine, come per cambiare vita. Fra l’altro ritrova proprio Garzya, ma, come succederà più avanti con la coppia Cioffi-Doudou, i due litiganti si sono riappacificati. Camolese gli concede qualche scampolo nella bellissima cavalcata promozione 2000/2001. E’ l’ultima esperienza in granata, il franco-senegalese scende ancora fra i cadetti a Cosenza, contribuendo alla salvezza dei calabresi. Poi basta. A ventisette anni. Le leggende metropolitane provano a raccontare della gestione di un locale notturno, ma non c’è nessuna conferma a questa storia. Di reale restano soltanto un’occasione sprecata, una carriera finita bruscamente e quel maledetto buio che scese a Bari in un pomeriggio di fine febbraio.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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