C’è una regola non scritta nella storia granata: mai parlare di abbondanza. Quando ciò viene fatto, inizia una sequela di guai che porta i granata a dover giocare contati. In questi casi una delle punizioni possibili per l’allenatore, il dirigente e persino il tifoso di turno sarebbe quella di guardare all’infinito Toro-Salernitana 1-0 del 1998, la partita dei tre legamenti saltati in 90’, ma andrebbe anche bene il bollettino delle assenze nella settimana che porta il Toro 91/92 ai primi impegni ufficiali. Contro l’Ancona, in Coppa Italia, mancheranno Scifo, Fusi e Policano squalificati e Cravero infortunato. Fra gli stessi undici che “Mondo” manda in campo ci sarà qualcuno ancora non al meglio, come Vazquez recuperato in extremis.
Culto
Primi nel mondo: il Toro 1991/92 parte 2
Torna "Culto" la rubrica a cura di Francesco Bugnone: "Dopo l'assaggio della prima puntata, ora si fa davvero sul serio"
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Pronti via e un pasticcio di Annoni permette a Bertarelli di sbloccare la situazione dopo un paio di minuti. “Tarzan”, però, si riprende in fretta e dimostra subito perché questa sarà la stagione migliore della sua carriera: al 28’ entra nell’occasione del pareggio con un rasoterra che viene deviato quel tanto che basta per battere Nista e al 40’ salva alla disperata su un tiro a colpo sicuro di Tovalieri (e quanto ci farà male ritrovarlo un giorno) dopo uno dei pochissimi errori di Marchegiani. Chiusa la prima frazione limitando i danni, nella ripresa è finalmente Toro vero. Lentini straripa, nonostante la pubalgia che lo sta tormentando: segna di testa su cross di Sordo il 2-1, si guadagna il rigore che Casagrande trasforma per il tris, serve a Bresciani, nel finale, l’assist per il poker. Mondonico lascia lo stadio senza rilasciare dichiarazioni, ufficialmente, come dirà, per lasciare spazio ai protagonisti del successo, ma certamente qualche critica eccessiva ha iniziato a lasciare un piccolo segno.
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“Policano ha fatto crac” così la Gazzetta dello Sport alla vigilia della trasferta di Bari. Per fortuna non è un crac particolarmente grave quello nello scontro in allenamento con Casagrande, ma è un bel fastidio in vista dell’imminente trasferta del “San Nicola” dove il Toro deve fare a meno già di Vazquez, Scifo e Cravero contro una squadra con l’entusiasmo a mille per il colpo David Platt e una piazza che sogna la prima qualificazione europea della sua storia, ma avrà un risveglio amarissimo, per certi versi molto simile a quello provato da noi nel 1988/89. Squadra rinnovata, stranieri importanti, ma un lento sgretolarsi fino alla retrocessione. In quel momento nessuno lo sa e il Toro dovrà stringere i denti viste le assenze di peso. Però in quei momenti sappiamo a chi aggrapparci, ovvero alla serie di Mister Utilità che puntellano la rosa. Uno è Luca Fusi, un altro è Giorgio Venturin, un altro ancora è Gianluca Sordo che si sacrifica in copertura. Poi c’è Roberto Mussi.
Roberto Mussi è sceso in B dal Milan fresco vincitore, in due anni, di scudetto e Coppa dei Campioni, per giocare con più continuità in un progetto nuovo. Il rosso di Massa ha una caratteristica che fa la gioia di ogni allenatore: è capace di fare tutti i ruoli. Per questo è diventato pupillo di Sacchi che lo porterà dal Parma ai rossoneri, per poi convocarlo per i Mondiali ’94 dove darà l’assist a Baggio per il famoso gol contro la Nigeria (sì, Divin Codino, li hai tirati giù tu dall’aereo come ami dire, ma l’azione disperata del nostro Roberto e il suo passaggio finale hanno almeno messo la scaletta). Per questo Fascetti ne fa un punto fermo del Toro della risalita e per questo Mondonico se ne innamora, schierandolo ovunque serva, visto come ara la fascia, come è bravo in copertura e come spinge. Al Toro farà i primi gol in carriera, addirittura una doppietta contro il Cosenza, lui che mai aveva provato quella gioia prima si ritrova a farlo due volte tutto in un colpo. Manca il primo gol in serie A, ma arriverà proprio quel pomeriggio in Puglia. Ci sarebbe anche un possibile gol in una finale europea, ma quella maledetta deviazione e quello stramaledetto palo…però questa è un’altra storia e ne parleremo più in là.
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Dopo una fase di studio, Venturin onora il numero dieci tramutando una banale punizione a centrocampo in un preziosissimo lancio in avanti. Progna non riesce a intervenire di testa e Mussi, con un inserimento da manuale, sbuca nel cuore della distratta difesa barese. Controllo di petto, rasoterra preciso e c’è solo da festeggiare. Il momento sembra favorevolissimo con Lentini che imperversa sulla fascia e mette sulla testa di Casagrande un pallone che esce di un niente, ma la beffa è dietro l’angolo: Stafoggia punisce un veniale contatto Fusi-Parente apparso ai più fuori area. Luca, quel giorno capitano, negli spogliatoi non si sbilancerà per paura di essere smentito dalle immagini, mentre Bruno era così sicuro che non fosse penalty da scommettere con l’arbitro. Comunque sia, Platt accetta il regalo e trasforma dal dischetto spiazzando Marchegiani. Casagrande si fa apprezzare anche in veste di suggeritore e manda lo scatenato Mussi in porta, ma al numero sette non riesce la doppietta come contro il Cosenza perché Biato gli sbarra la strada. Nella ripresa il Toro, memore della beffa dell’anno precedente dove dominò per poi perdere all’ultimo minuto su rigore, cerca di portare a casa un punto in condizioni d’emergenza e la missione è compiuta anche perché all’87’, nell’unica occasione in cui Frank Farina vince il duello con Benedetti, Marchegiani devia in angolo con una prodezza. Punto accettabile, ma lo è meno l’ex arbitro Longhi che corre subito in soccorso alla categoria a Domenica Sprint dicendo che il rigore c’è perché secondo lui avviene sulla linea che fa parte dell’area. Brontoliamo verso il televisore e pensiamo alla prossima.
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La prossima è ad Ancona, ritorno di Coppa Italia, qualificazione in tasca, gara teoricamente tranquilla dove, nonostante le assenze di Vazquez, Policano, Annoni e Casagrande, si potrebbe amministrare godendosi l’esordio ufficiale di Vincenzino Scifo. La generosità dei dorici, invece, cambia le carte in tavola: ritmo altissimo per centrare la disperata rimonta, rigore trasformato da Tovalieri dopo un quarto d’ora, Bruno espulso a inizio ripresa per un fallo di reazione su Bertarelli. La buona notizia è che Scifo si è adattato bene al clima di lotta, alternando sacrificio e lampi di classe. A rimettere a cuccia i padroni di casa ci ha pensato Venturin con una gran botta, simile a quella molto più importante che metterà a segno di lì a pochi giorni a Cremona, che vale l’1-1 a un quarto d’ora dal termine. Missione compiuta con qualche affanno in più di quanto preventivato.
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Ci si proietta sul match contro la Lazio. Il desiderio di far giocare insieme le cinque stelle si spegne sugli acciacchi di Martin Vazquez al ritorno da un impegno in nazionale e così contro i biancocelesti niente Rafa, niente Cravero, niente Policano. Ma c’è Scifo che gioca una partita eccezionale. La voglia di far dimenticare la sua prima esperienza italiana, giudicata in maniera sin troppo spietata da una critica che spesso si accanisce ingigantendo i guai, lo fa giostrare ovunque, alternando classe e randello. Il cross per la testa di Lentini a metà primo tempo è poesia pura, ma Gigi, che quel giorno perde la partita con la pubalgia, non riesce a incornare in maniera efficace. La Lazio capisce che quel giorno non stiamo girando al meglio e quando può punge, come con una girata a colpo sicuro di Riedle su cui Marchegiani è eccezionale. A poco più di venti minuti dalla fine Scifo calcia dal limite e trova il braccio di Soldà in area, ma Baldas decide di ignorare l’evidentissimo rigore. Prima giornata un penalty molto dubbio concesso contro di noi, seconda giornata ce ne viene tolto uno sacrosanto: non è un buon inizio.
Io ricordo esattamente dov’ero al 76’, quando Carlo Nesti interviene per dare l’annuncio del vantaggio della Lazio a Tutto il calcio minuto per minuto. Incrocio corso Francia-via Pavia, sto tornando dall’oratorio e andando a casa di mia nonna. Mi pietrifico. In campionato non perdiamo in casa dall’otto gennaio 1989. Al “Delle Alpi” non era mai successo, escluso, come scritto nella prima puntata, in una gara di coppa Italia contro il Verona, dopo un 4-0 esterno all’andata. Credevo che non potessimo più perdere, e infatti quell’anno non succederà più, ma il vuoto che sento nello stomaco è una sensazione orrenda che mi farà odiare quella stramaledetta partita ancora adesso. Ruben Sosa parte in posizione centrale, poi allarga a destra per Doll che gli restituisce palla in area: controllo di destro e tiro di sinistro che ci rende fragili.
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L’assalto finale è infruttuoso. Un sussulto nel finale quando Lentini ruba palla a Fiori e serve Scifo che insacca con un destro morbidissimo, ma a gioco fermo perché Baldas ha fischiato fallo sul portiere. Fa male, anche se ci sono delle attenuanti clamorose (assenze, giocatori non al meglio, il rigore negato), ma a quel punto entra in campo la sempre splendida stampa cittadina che non vede l’ora di buttare una palata di guano in più alle prime difficoltà. Sembra di sentire il rumore di quando si leccano i baffi mentre cercano di montare polemiche tra squadra e tecnico (un “eravamo lunghi” detto da Casagrande diventa “Mondonico ci ha schierati lunghi”) o pongono domande al limite dell’offesa a Borsano sull’ex-ascolano diventato un bersaglio su cui sparare. Come se non bastasse mettono sulla graticola Emiliano Mondonico. Sì, incredibile ma vero, ma “Mondo” sale inaspettatamente sul banco degli imputati ed esiste chi parla addirittura di esonero in caso di sconfitta nel prossimo match con Boniek (avete letto bene) in preallarme. Si apre una settimana di passione in cui, fra le altre cose, si vocifera di un taglio di Casao per motivi fisici (si parla di Pancev per sostituirlo se dovessero continuare i guai fisici con tanto di precontratto già firmato), poi, finalmente, si gioca.
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La partita più importante di quell’inizio stagione Emiliano la gioca nella “sua” Cremona, dove tutto iniziò. Sull’altra panchina, in un altro di quegli incroci che tanto amiamo, c’è Gustavo Giagnoni, il tecnico col colbacco che riassaggia la massima serie dopo aver guidato i grigiorossi a una grande promozione in rimonta. Ancora una volta niente Formula Cinque davanti, Casagrande è in panchina perché non al meglio, ma rientra Vazquez a fianco di Scifo e, soprattutto, ritorna il giocatore che più è mancato: Roberto Policano, fondamentale per dare il cambio di ritmo quando attacchiamo. Il settore ospiti dello “Zini” stracolmo di tifosi granata è di una bellezza commovente. Partiamo a testa bassa e proprio “Poli” ci mostra subito quant’è fondamentale percuotendo centralmente la metà campo lombarda e mettendo Lentini a tu per tu con Rampulla, ma il tocco sotto con cui Gigi lo scavalca esce di niente. Poco dopo Roberto ci prova su punizione: solito bolide, il portiere non trattiene e la difesa se la cava non si sa come. Un’azione travolgente di Lentini è fermata da una coraggiosa uscita di Rampulla, poi Garzilli salva sulla linea la conclusione a colpo sicuro di Martin Vazquez. Parentesi: alla prima ufficiale insieme, Rafa e Scifo dimostrano di saper convivere eccome. Solo un miracoloso recupero difensivo nega un gol allo spagnolo, smarcato splendidamente dal belga, che avrebbe potuto essere lo spot per l’accoppiata dei sogni. Nella ripresa lo spartito non cambia, ma al 67’ ci sentiamo maledetti quando, dopo uno splendido fraseggio e un assist da urlo di Scifo, Lentini si libera elegantemente in area e colpisce una clamorosa traversa da distanza ravvicinata. Poi, al 74’, Scifo alza la testa e vede l’inserimento in area di un compagno che arriva alla velocità della luce. Quel compagno si chiama Giorgio Venturin.
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Giorgio Venturin, oltre a essere il titolare di uno dei cori più belli dedicatigli dai tifosi (il suo nome e cognome cantato sulle note di “Funiculì funiculà”), è uno dei calciatori più utili di sempre. Duttile, capace di aiutare in copertura e, trenta secondi dopo, ritrovarsi catapultato in attacco, quando esistevano i numero dall’uno all’undici li ha indossati pressoché tutti. Soprattutto, come altri illustri esempi quali Mussi o Ezio Rossi, in estate non lo trovavi nelle formazioni tipo stampate sui giornali, ma, a fine anno, scoprivi che aveva giocato più di tutti. Ragazzo del Fila emerso nella fase finale della cavalcata cadetta del Toro di Fascetti, Giorgio è tornato dopo un anno nell’ultimo, crepuscolare, Napoli di Maradona e sarà, come sempre, preziosissimo. L’unico dubbio che rimane è se abbia fatto un patto col diavolo visto che oggi è identico a quando giocava a distanza di trent’anni.
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Venturin raccoglie l’assist di Scifo e si ritrova la palla sul piede sbagliato, il sinistro. Non c’è tempo per pensare troppo: parte una sassata che picchia sotto la traversa e rimbalza in rete. Una conclusione potente che sgretola in un istante una settimana di cattivi pensieri e ci fa esplodere, mettendo la partita in discesa. C’è ancora tempo per il capolavoro di Scifo che conclude 90’ a predicare calcio con una rete da cineteca: mentre Bresciani fa un movimento a liberare lo spazio, Vincenzo passa in mezzo a due difensori grigiorossi con una naturalezza che sembra un incantesimo per sfidare l’impenetrabilità dei corpi. Rampulla tenta la disperata uscita, ma Enzo, a due passi dalla lunetta, non perde tempo e lo infila con un rasoterra.
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Anche qui ricordo esattamente dov’ero. Sul gol di Venturin in auto coi miei, tornando da un imprescindibile Collegno in Bancarella nel quale non mi comprarono una splendida sciarpa del Toro. Lancio un urlo agghiacciante, dentro c’era la frustrazione che montava dentro dalla sconfitta contro la Lazio, finalmente scacciata. Sul raddoppio ero già tornato da mia nonna e sono uscito in giardino a esultare con mio nonno che stava venendo a fare lo stesso con me in casa.
Come spesso accade quando vince, “Mondo” lascia il palcoscenico ai giocatori e negli spogliatoi Scifo e i suoi compagni dedicano la vittoria al Mister e, più malignamente, agli scettici. C’è più voglia di sorridere che di polemizzare, però, perché abbiamo un aereo da prendere per volare a Reykjavik dove inizierà l’avventura europea.
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In Islanda ci sbarazziamo abbastanza facilmente, e senza strafare, dei dilettanti del Kr Reykjavik, come largamente prevedibile, nonostante le dichiarazioni di prammatica che spingono a non abbassare la guardia. L’autore del primo gol europeo è lo stesso del primo gol granata in serie A, Roberto Mussi. La dinamica è abbastanza simile, se si esclude l’autore del lancio (Casagrande e non Venturin): il numero quattro beffa una difesa non irreprensibile con un grande inserimento, controlla e realizza con un bruciante diagonale. Il raddoppio è da cineteca e lo sigla Tarzan Annoni con un magnifico bolide dalla distanza su assist di Policano direttamente da corner, schema tanto semplice quanto efficace. Da segnalare giornalisti della carta stampata piccati perché Mondo, non ha rilasciato loro dichiarazioni, ma ha parlato con le tv. Strano che il Mister non voglia intrattenersi coi cronisti che, per giorni, hanno paventato esoneri e messo zizzania. Leggendo l’articolo del Corriere della Sera sul match, dove sembra che abbiamo perso 7-0 dai toni, Emiliano, come spesso è accaduto, ha avuto ragione. Da rimarcare anche l’inspiegabile comportamento della Fininvest che non trova un canale per spostare la ripresa del Toro che va in concomitanza con il primo tempo di Oviedo-Genoa. Chi è rimasto a casa si è così visto un tempo intero e qualche flash della prima gara in coppa Uefa dopo quattro anni: maluccio.
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Il Toro rientra a casa venerdì mattina prestissimo e con poche ore per preparare la partita interna contro il Napoli. Stanchi e acciaccati i granata affrontano i partenopei col solo Bresciani di punta e non riescono a essere particolarmente brillanti in fase offensiva. L’occasione più grossa capita a Zola a un quarto d’ora dal termine, ma la palla toccata in anticipo su Marchegiani, dopo cross di Crippa, esce di un nonnulla. Pareggio a reti inviolate e sensazione che abbiamo fatto esattamente ciò che potevamo tra assenze e giocatori non al massimo. Chi era allo stadio ha dimostrato da che parte sta dopo gli spifferi delle settimane scorse su presunti esoneri con uno striscione per Mondonico.
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La settimana che ci separa dalla trasferta di Cagliari è il solito bollettino medico perpetuo, a cui si aggiunge il fatto che Borsano pare abbia messo le mani su tre giovanissimi talenti del Ghana Under 17 campione del mondo: Duah, Gargo e Kuffour. L’operazione sarà vista di cattivo occhio dall’opinione pubblica, ignara di ciò che arriverà di lì a poco a livello di mercato. In Sardegna ritroviamo Giacomini che, dopo aver battuto clamorosamente la Sampdoria campione d’Italia all’esordio, viene da tre sconfitte e promette un Cagliari garibaldino che, nei fatti, non ci sarà, pur impegnandosi molto. Noi non siamo belli come a Cremona, ma tiriamo fuori il carattere e si sentirà forte e chiaro. Per non farci mancare la polemica di turno, Martin Vazquez viene relegato in panchina e, seppur con civiltà, nel dopo partita non la prenderà benissimo, ma Emiliano se la caverà con un sorriso sgamato davanti ai microfoni. Sul campo Scifo è trascinatore sin dai primi minuti, impegnando anche Ielpo da fuori, ma l’occasione migliore della frazione capita al Cagliari: Marchegiani risponde d’istinto a una fucilata di Herrera in piena area e Francescoli, forse a causa di un’improvvisa visione del suo futuro granata, si intenerisce e spara incredibilmente sul fondo. Nella ripresa Scifo chiama e Ielpo risponde un’altra volta, poi c’è il minuto di fuoco dell’arbitro Felicani: prima annulla un gol di testa a Gaudenzi, complice una presa sbagliata di Marchegiani, per fallo dell’ex milanista e poi espelle esageratamente Fusi per un intervento che sembra essere sul pallone e non sullo scatenato numero otto sardo. Dieci contro undici andiamo in vantaggio: punizione di Lentini, incornata di Scifo sul secondo palo degna di un ariete e la portiamo a casa, soffrendo solo su una girata alta di poco di Criniti in mischia.
Rafa e “Mondo” la sistemano in fretta e lo spagnolo, il mercoledì, veste di nuovo la numero dieci nel ritorno contro il Reykjavik, mentre si parla di un arrivo di Boban in prestito dal Milan (in realtà si accaserà a Bari). Contro gli islandesi siamo ancora senza cinque stelle in contemporanea (Lentini parte fuori e sostituirà Casagrande nell’intervallo), ma arriva una splendida goleada, maturata nel secondo tempo. Le marcature si aprono al 15’: contro una difesa di giganti per segnare di testa ci vuole astuzia e Bresciani la mette tutta con un gol da Buitre su centro mancino di Policano. 1’ dopo c’è il clamoroso pareggio di Skulasson che beffa la difesa granata con una deviazione aerea su lunghissimo lancio da centrocampo. Per ritrovare il vantaggio bisogna aspettare il 45’: rasoiata di Policano dal limite e palla nell’angolino basso. Dilaghiamo nel secondo tempo: un cross sbagliato di Martin Vazquez da sinistra diventa un gol meraviglioso (sì, è un cross sbagliato, la volta che ho avuto la fortuna di parlare con lui ho provato a fargli dire che fosse voluto, ma niente, ha affermato che non volesse calciare) per il 3-1. Rafa è in fiducia: al 51’ parte in serpetina e chiede il triangolo con la difesa islandese che allontana come può. Per loro sfortuna il “come può” arriva sui piedi di Scifo che controlla di sinistro e batte col destro da distanza siderale. La palla picchia sotto l’incrocio e finisce in rete facendo esplodere la curva. Come dopo il gol di Bresciani, ci distraiamo un attimo, ma stavolta gli avversari non ci puniscono e centrano la traversa. Noi non ci fermiamo più: una splendida combinazione Lentini-Bresciani-Carillo porta l’ex ascolano ad andare a segno con un tiro presumibilmente deviato da un difensore. Una sorta di regalo di addio visto che di lì a poco Beppe andrà al Venezia. Dopo un palo di Lentini su punizione, il conto lo chiude ancora Scifo con una fucilata mancina sotto la traversa prima di uscire anzitempo per un duro intervento avversario che varrà soltanto un po’ di spavento. Archiviato il risultato tennistico, il Toro può guardare di nuovo al campionato dove, contro il Foggia di Zeman, rivelazione di questo avvio di stagione, vuole fare esultare Maratona e dintorni non solo di notte. Ormezzano, in un programma sulle coppe su Telepiù, dirà di non vedere l’ora di assistere a quella partita perché c’è finalmente qualcosa di nuovo, perché “basta con sti Juve, Milan, che barba” (detto ridendo, sia chiaro). Avrà ragione: sarà una delle gare più belle della gestione di Mondonico, a livello di Toro-Genoa 5-2 della stagione precedente.
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Proprio come contro i rossublù, diluvia. Non so per quale motivo mio padre mi abbia portato in curva Scirea e non in Maratona dove, fra noi granata, ci sono parecchi tifosi avversari. Uno sventola una coperta urlando “Forza Foggia”. Rumorosi in modo insopportabile, non vedo l’ora che gliene facciamo uno per farli stare zitti, ma per poco non ce lo fanno loro. Marchegiani sta uscendo per pararsi davanti all’attacco rossonero, ma una deviazione di Benedetti lo mette in difficoltà costringendolo a smanacciare. Signori si avventa sul pallone, ma Rambaudi, evidentemente troppo smanioso di dimostrare che il Toro si fosse sbagliato a scartarlo in gioventù, finisce con anticiparlo calciando debolmente e premettendo a Mussi il recupero a porta vuota. Ci svegliamo subito. Lentini ha un motivo in più per correre come il vento: c’è Vicini in tribuna. Il c.t. azzurro sta decidendo chi portare a Mosca nella decisiva trasferta contro l’Urss per andare all’Europeo svedese e Gigi è ovviamente tra i papabili. Il numero otto scambia con Venturin e si invola verso Mancini che salva in uscita. A sbloccarla ci pensa Policano al 16’ andando di forza su un pallone che sembrava già nel possesso di un avversario e, dopo averlo salvato dal fallo laterale, decide di calciare col sinistro dalla linea di fondo dopo aver visto Mancini fuori dai pali. Una rete pazzesca, clamorosa, goduriosa, da urlare, da gesto dell’ombrello a quelli che, in quel momento, stanno dividendo con noi la curva perché non hanno trovato posto nel settore ospiti. Ricordo mio padre che mi cazzia per i gesti, ma me ne frego altamente. Quel gol andava festeggiato esattamente così.
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Roberto Policano è il mio supereroe. Fisico bestiale, sinistro al fulmicotone, cattivo il giusto. “Me piaceva tira’ forte” ha detto con un mezzo sorriso la volta che ho avuto il piacere di conversare con lui. Una frase splendida e quasi poetica detta in quella maniera, perché vanno bene i tiri a giro, ma quanto è bello un tiro al fulmicotone che spacca quasi la porta? Ce ne ha regalati tanti a Torino, lo abbiamo amato molto anche per questo. Quando è tornato a trovarci con la maglia del Napoli l’abbiamo accolto come un Dio e chi se ne frega se ci ha segnato con un colpo di testa violentissimo (tanto per far capire che non tirava forte con i piedi) festeggiato giustamente perché i partenopei erano in un periodo difficilissimo. Ci ha voluto bene, gli abbiamo voluto bene. E’ stato un giocatore moderno, tanto che se lo mettessimo su una macchina del tempo per portarlo al giorno d’oggi saprebbe ancora dire la sua arando la fascia e terrorizzando portieri e avversari. A proposito di quel gol col Foggia lo rivendica giustamente come voluto, come si evince dalle immagini, e quel tiro è il papà di quello che sfoggerà al Bernabeu e che Buyo potrà solo respingere sui piedi di Casagrande. Un mancino così poteva letteralmente tutto, anche segnare da posizioni incredibili.
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Continuiamo ad attaccare: Bresciani si inventa uno splendido assist per Martin Vazquez che viene steso da Mancini in uscita. Dal dischetto Scifo spiazza il portiere con freddezza. Anche il Foggia usufruisce di un rigore per fallo di Mussi su Baiano, ma l’ex napoletano si fa ipnotizzare da Marchegiani che ribatte. C’è anche un gol annullato a Bresciani nel finale di tempo e poi ci si tuffa nella ripresa col Toro sempre avanti. Mancini inizia a farsi perdonare l’errore subito parando su Scifo e Policano, ma, sul susseguente corner, capitola incolpevole sullo stacco imperioso di Lentini che vale 3-0 e un’altra convocazione in Nazionale. I tifosi granata sono in delirio non solo per quello che accade in campo, ma per le notizie che arrivano dal tabellone del “Delle Alpi” con le notizie della vittoria in rimonta del Genoa sulla Juventus che descrive i connotati della domenica perfetta. Sfioriamo talmente tante volte il 4-0 che alla fine subiamo la rete foggiana per una bella combinazione fra Signori e Baiano, ma vittoria non è mai in discussione. Agganciamo i bianconeri e il Milan, che deve recuperare il match col Genoa, e siamo a meno uno dal Napoli capolista. A volte la vita è proprio bella. Vivremo la sosta tranquilli e sorridenti.
(2-continua)
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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