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Quanto sognammo per Pinga
E’ come se la carriera di Andrè Pinga al Toro fosse racchiusa fra due parentesi: si apre con la doppietta al Milan, si chiude con un gol da urlo all’Ascoli che ci regala la finale dei playoff di B 2004/2005 contro il Perugia, che in realtà è uno spareggio per non retrocedere in C, solo che non lo sapevamo. In mezzo, però, c’è tanto, tantissimo. Pinga non è Marinelli, che ci ha folgorato sulla via di Damasco, rileggendo il concetto di “se”, dando meno, infinitamente meno, di quanto avrebbe potuto fare uno con quel sinistro lì e lo scrivo col cuore sanguinante per quanto lo adoravo. Pinga è un giocatore che ci ha fatto sognare in maniera molto più concreta, un giocatore che ha ottenuto risultati ed è stato decisivo per farli ottenere. Ci ha fatto sognare con un criterio. Quei sogni in cui, quando ti svegli, se te li ricordi, pensi che la cosa sia fattibile. Non sogni di uscire con Scarlett Johansson, ma con la nuova collega di lavoro che ti piace tanto: c’è sicuramente qualche possibilità in più.
I primi guizzi di Andrè li ho visti dal vivo nel suo esordio assoluto: 5’ più recupero a cercare di agguantare il gol che ci avrebbe portato ai supplementari contro l’Atalanta in una delle tante tristissime precoci eliminazioni dalla Coppa Italia post 93/94. Col Perugia, alla prima in A, i minuti solo 7. Bastano per una splendida azione che regala la palla del pareggio a Diawara: sprecata. Il diciottenne gioca ancora quasi un tempo, essendo fra i pochi a salvarsi in un sonoro 4-1 subito a Parma, poi sparisce dai radar esattamente per un girone. Mondonico lo ributta dentro in una situazione disperata, col Toro in piena crisi societaria per il braccio di ferro Vidulich-Cimminelli e impantanato in una lotta per non retrocedere che lo vede più in B che in A. Bisogna affrontare un impegnativo doppio turno interno: i gialloblù prima, il Milan subito dopo.
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Pinga parte titolare ed è grande protagonista, soprattutto nel primo tempo dominato dal Toro e concluso con un 1-0 che sta strettissimo ai granata. Finirà 2-2 complice il ritorno del Parma nella ripresa e un gol di testa sbagliato da Lentini ,di quelli che possono svoltare le stagione e che gridano vendetta al cielo. La vera epifania di Andrè, però, arriva sette giorni dopo, nell’ultima partita dell’era Vidulich. Toro-Milan si gioca in un pomeriggio grigio e piovoso che diventa ancora più cupo quando Ambrosini sblocca il risultato da fuori. Il Toro però reagisce e a portare il sole ci pensa Pinga che, su cross perfetto di Mendez, si inserisce perfettamente di testa per il suo primo gol in serie A, poi prova a restituire il favore con un cross perfetto che l’uruguaiano manda sulla parte superiore della traversa. Tutto bello, ma non è ancora nulla. Al 70’ Pecchia pesca con precisione Pinga, appostato in area sulla sinistra e con Chamot fuori posizione. Il numero ventiquattro controlla col petto e, sull’uscita di Abbiati, con pochissimo spazio a disposizione, trova un pallonetto mancino dolcissimo che si va a insaccare sul palo opposto. Un gol quasi poetico, che rende tutto bello: quel tempo uggioso, la maglia della Kelme con quelle strisce orrende sulle braccia, quel campionato di merda con una classifica di merda. Quella rete è semplicemente un sogno e Pinga ci stava facendo finalmente sognare. I sogni, però, muoiono all’alba e qualche volta anche un pochino prima e così, dopo pochi minuti, il carioca chiede il cambio. Entra uno di quei giocatori che sembriamo comprare apposta per farci prendere per il culo fin dal nome: Escalona. Toccherà leggermente un fendente di Guly, quel tanto che basta per farlo sgusciare dalle mani di Bucci: 2-2, salvezza a cinque punti, animo in subbuglio diviso fra retrocessione in vista e Pinga, che potrebbe essere l’uomo del futuro. Quando il salvatore della patria è un ragazzino, generalmente non va mai bene, però quello che hanno visto i nostri occhi quel pomeriggio era un pezzo che non lo si vedeva.
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Il Toro passa a Cimminelli e ad Aghemo e prova disperatamente a salvarsi: pareggia a Udine, vince in casa contro la Reggina grazie a una punizione capolavoro di Ferrante, in una gara in cui molti vedono un risarcimento della gara con cui, l’anno prima, la Reggina vinse a Torino regalandosi la massima serie, uno dei punti, per me, più bassi della storia di una squadra a cui quasi nessuno ha mai regalato nulla e si è inspiegabilmente sdraiata. In realtà la partita dell’anno dopo è ben più combattuta del previsto, Baronio verrà anche espulso e Pinga gioca un altro gran match, venendosi a prendere palla in difesa, diventando quello a cui darla quando si è in difficoltà. Ripeto, quando il salvatore della patria è un ragazzino non è mai un bene, ma il ventiquattro sembra una cosa diversa. Le speranze deragliano a Lecce, ancora una volta, in una partita tutta sbagliata, fin dalla scelta della maglia (giocare in nero con quarantamila gradi non è l’idea più brillante della terra, anche mia nonna lo sapeva e infatti mi cazziava quando mi mettevo le maglie dei Metallica d’estate, perché attiravano il caldo). Retrocediamo, ma, per la risalita, sappiamo su chi puntare forte.
Pinga sembra cominciare da dove aveva finito: una prestazione monstre in Coppa Italia col Bari con gol di rapina, un’altra rete, sempre in Coppa Italia, nuovamente al Milan. In campionato fa più fatica, ma si sblocca contro il Monza da fuori, aprendo le danze di un emozionante 3-2 esterno. E’ un fuoco di paglia, troverà la via della rete solo contro il Chievo in un amaro 4-2 e con Camolese avrà sempre meno spazio. Può capitare. Poi la promozione arriva ugualmente, c’è comunque da essere felici. In A, però, Pinga stampa un rigore contro il palo in casa con il Brescia e, dopo cinque partite, saluta e va in prestito al Siena, dove torna quello che conoscevamo. Contribuirà alla salvezza dei toscani e, soprattutto, alla storica promozione dell’anno dopo, suggellata da una magnifica punizione all’incrocio nella gara decisiva contro il Genoa. Il Toro sta disputando il suo peggior campionato in massima serie, concluso con un umiliante ultimo posto e in molti si chiedono quanto sarebbe servito Pinga, insieme all’altra pletora di ex granata che stanno giocando nel Siena, per evitare una tristezza simile. Non lo sapremo mai, ma sappiamo che Pinga tornerà a casa, provando a riportare noi in A. Stiamo di nuovo sognando con Pinga.
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Tutto bello, tutti felici? No. La tragedia è dietro l’angolo. Un terribile incidente stradale in cui muore il fratello di Rodrigo Taddei. Andrè è sull’auto, riporta delle ferite alla testa e si ripresenta in granata con una bandana a coprire le cicatrici esteriori. Quelle interiori non è dato sapere come faranno a rimarginarsi. E’ l’anno della B alle 24 squadre, un obbrobrio padre di tanti obbrobri successivi con campionati elefantiaci a discapito della qualità. Con Ezio Rossi in panchina, partiamo bene e finiamo così male che non riusciamo neanche ad agganciare l’ultimo posto utile per lo spareggio contro la quartultima della A. I mini-abbonamenti previsti per le ultime quattro partite li avranno comprati soltanto i parenti stretti dei giocatori. Pinga va a tratti, alterna gare meravigliose ad altre molto meno. Però non può finire così, quello che sa fare lo abbiamo visto, non è un bluff. E infatti non lo è. Il 2004/2005 è il suo anno. Via la bandana, Andrè si mette a guidare il secondo Toro di Ezio Rossi, che, per con un mix di giovani e di colpi azzeccati (su tutti Marazzina), si piazza subito nelle prime posizioni giocando benissimo sin dalla Coppa Italia. Il brasiliano è protagonista assoluto di alcune gare e, soprattutto, segna il gol più pesante della stagione: una velenosa punizione a tempo scaduto al Curi di Perugia che vale l’1-1 e, a posteriori, il terzo posto davanti al detestato Grifo, col vantaggio nella griglia playoff. Già, perché sarà proprio ai playoff la resa dei conti di quella stagione.
In panchina, esonerato, Rossi, c’è Zaccarelli. La semifinale è contro l’Ascoli: l’andata, in trasferta, è decisa da Quagliarella di testa su perfetta punizione tagliata di Pinga. Il ritorno sembrerebbe roba tranquilla. Sembrerebbe. Ma con noi quando lo è? In un “Delle Alpi”meravigliosamente granata come poche volte e con la Maratona “rinforzata”da Marco Ferrante, Colacone apre le marcature approfittando di una dormita colossale della difesa. Se prendiamo ancora un gol siamo fottuti. Bucchi colpisce un legno clamoroso su punizione nella ripresa. Poi, per fortuna, ci pensa Andrè.
Pinga parte a una trentina di metri dalla porta. Nel momento stesso in cui quattro ascolani capiscono di avergli lasciato troppo spazio e provano a chiuderlo è troppo tardi. Il sinistro di Pinga è partito come una molla, quasi azionato dal movimento degli avversari. La palla secca, forte, colpita quasi di punta è così fulminea che non può essere fermata da Coppola anche se è sulla traiettoria. La Maratona, che assiste alla rete dalla parte opposta, è come se fosse sbalzata fuori da quella prodezza, come se finisse sulle spalle di Pinga, le spalle su cui ci ha presi per scacciare la paura. Lo stadio urla come poche volte ho sentito, un urlo che è goduta, certezza di avercela fatta, scampato pericolo. Un urlo così forte che, quando Marazzina su angolo di Pinga, nello schema simbolo della stagione, trova il 2-1, siamo così spossati che non abbiamo nemmeno più forza di festeggiare. Avevamo già dato tutto prima, per quello che sarà l’ultimo centro granata di Pinga.
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Lo spareggio col Perugia è delizia all’andata e sofferenza al ritorno, ma alla fine la A arriva e, durante i festeggiamenti, Pinga si mette a palleggiare sotto la Maratona rimasta a godere sugli spalti che va in deliquio peri suo campioncino. Stiamo sognando la A con una squadra giovane e di talento. Stiamo sognando una A dove Pinga potrà essere finalmente decisivo come fra i cadetti. Andrè dirà che era stato così emozionante quel palleggio sotto di noi, che avrebbe voluto continuare a farlo per sempre. Sempre, però, dura poco. Tra le tante cose che ci porta via il fallimento del 2005 c’è anche lui. Proverà la massima serie col ripescato Treviso di Ezio Rossi, ma non sarà la stessa cosa, non avrebbe potuto essere la stessa cosa che sarebbe stata col granata addosso. I tre gol che mette a segno sono comunque gol da Pinga: due punizioni perfette contro Lazio e Udinese, una stangata di destro dopo un’azione personale al Lecce nella prima vittoria veneta in A. C’è anche un lato meno bello: uno scontro con il portiere della Reggina Pavarini, mentre probabilmente cercava un contatto per un rigore, come succede mille volte su un campo da calcio, provoca una tremenda frattura facciale all’estremo difensore avversario. Il Treviso retrocede, Pinga saluta, torna in Brasile e all’Internacional di Porto Alegre, alza la Libertadores e la Recopa, dove segna, in una stagione dove troverà la via del gol anche direttamente da corner. Poi, a ventisei anni, va in Qatar e quando troppe delle tue squadre hanno “Al”o “El” davanti al nome, onestamente la carriera può dirsi finita. Troppo presto. Incredibilmente presto. Come un sogno che si interrompe all’improvviso.
P.s. i gol di Pinga vi aspettano stasera sulla pagina Facebook “Culto - ogni martedì su ToroNews”. Mettete like e non perdeteli.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentinie…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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