Quando uscì la voce che avremmo comprato Aguilera, ero al settimo cielo. La cessione di Lentini era ancora un’ipotesi a cui potevo ancora non credere, figuriamoci le altre che smantellarono il Toro 91/92. Pato stava facendo grande cose con Skuhravy, Pato era stato l’eroe di Anfield Road, Pato poteva essere perfetto con Casagrande come con Tomas. Gli potevo perdonare anche quei cacchio di ballettini dopo aver segnato.
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Quattro a cinque
Quando Aguilera arrivò sul serio, il contorno era un pochino diverso (ciao Lentini, ciao Policano, ciao Cravero, ciao Benedetti, ciao Bresciani), ma ero contento ugualmente: nonostante tutto non si smobilitava, avevamo ancora qualità lì davanti. Non eravamo il Toro di Amsterdam, ma potevamo ancora dire la nostra (e la diremo eccome in Coppa Italia). L’inizio dell’uruguaiano fu ottimo, l’intesa con Casagrande come ci si aspettava, col contorno di alcuni gol pazzeschi, come il pallonetto da fuori area con cui beffò Taffarel in un 3-0 al Parma o una stangata da fuori che ci diede la sicurezza del passaggio del turno contro il Norkkoping in coppa Uefa. Poi un infortunio mentre segnava un gol all’Olimpico contro la Lazio e un lungo letargo realizzativo da cui si svegliò al momento giusto a inizio girone di ritorno e, soprattutto, quando fu il momento di siglare la rete che eliminò la Juve dalla semifinale di Coppa Italia, regalandoci la finale contro la Roma. Ed è proprio contro la Roma che il piccolo centravanti ha il suo zenit granata, ma non nella partita di coppa. In campionato, in quella che sarebbe stata la prova generale del doppio confronto che varrà la stagione. E’ una partita che poteva valere per una delle due, il Toro affetto da pareggite di quel momento e la Roma discontinua, il rientrare a lottare seriamente per l’Uefa, una partita che è un piccolo culto perché un 4-5 non si vede esattamente tutti i giorni. Una paccata di gol che è anche una delle anticipazioni della doppia finale di questi folli 90’.
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Il pallottoliere inizia ad azionarsi al 16’: su una respinta della difesa della Roma, il tiro dal limite di Sordo rientra nel novero dei senza pretese, ma davanti alla porta c’è Aguilera che la tocca, la tocca male, sporca, non modifica più di tanto la traiettoria della conclusione, ma è un movimento sufficiente a sedere Zinetti, a segnare il gol più brutto del suo splendido pomeriggio e a farsi una ballatina (sigh) sotto il settore ospiti. Sfioriamo il raddoppio con Scifo, su cui Zinetti rimedia dopo una pessima uscita, e poi tocca a noi ingoiare il boccone amaro. Fusi perde palla in uscita sull’arrivo da dietro di Carnevale che si mette in proprio e dalla distanza fa secco Marchegiani: gran gol che riaccende la Sud. Siamo al 23’.
La Roma si rianima, noi ci addormentiamo. Al 30’ Hassler mette Muzzi davanti alla porta, la difesa del Toro non si sa bene dove sia e il giovane attaccante infila Marchegiani in uscita. Roberto avrà modo di farsi perdonare in futuro. Ampiamente. Tipo in una calda serata di giugno contro il Mantova, per dirne una. Allora non lo sappiamo, il nostro centravanti non è lui, ma Aguilera che al 44’ decide di mettere le cose a posto: punizione dal limite buona per un sinistro, ma Policano non c’è più e allora Pato decide che va bene anche per un destro. Scambio corto, tiro a giro, Zinetti vola, ma la palla è già entrata. Mamma che gol. Intervallo sul 2-2 e con l’inerzia dalla nostra parte.
Infatti, a inizio ripresa, è subito 3-2. Al 51’ Fortunato verticalizza per Venturin che, di prima, allarga a destra per Scifo. Sul traversone del belga, Silenzi anticipa di testa un incerto Zinetti e conclude come meglio non potrebbe una grande azione che è anche un’altra anticipazione di quello che verrà. Penelope, romano di Roma, sarà il Re del Toro nella pazza serata che ci farà alzare la coppa. Per adesso è “solo” l’autore del gol del fondamentale vantaggio.
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Sentiamo l’odore del sangue e continuiamo ad attaccare. Sordo, in contropiede, mette Aguilera davanti a Zinetti che, uscito sulla lunetta, lo atterra e si risparmia il rosso solo perché c’erano ancora difensori romanisti in agguato. Poco male, le punizioni di Pato, quel giorno, sono una sentenza. Scambio con Sergio, destro che gira e finisce alla sinistra del portiere giallorosso, immobile. Tripletta meravigliosa, il miglior Aguilera visto sin qui, roba da espugnare Liverpool anche noi. L’ora ad alto livello si fa sentire e, stanco, il nostro viene sostituito da Mussi. Tanto sembra finita. Sembra. Ma non lo è.
Al 63’, infatti, arriva un’altra anticipazione di quello che sarà, la più sinistra. Carnevale si tuffa in area e Luci indica il dischetto del rigore. Se ti danno contro un rigore così, può succedere di tutto, anche che in finale te ne diano contro tre, di cui due inventati. Hassler trasforma e riapre i giochi. I padroni di casa si buttano avanti con la forza della disperazionie creano mischie e all’82’ pareggiano. Punizione lunga di Hassler da destra, torre di Carnevale e la testa che la butta dentro è quella che fa più male, quella dell’ex, quella di Antonio Comi, che ora fa il difensore, ma proprio contro di noi si ricorda di essere nato attaccante. 4-4, incredibile.
E allora ci incazziamo e anche questa, volendo, è un’anticipazione di quello che verrà, di un Toro che a Roma non si arrende, che quando sarà a un passo dal baratro reagirà. A giugno difenderà per mezzora più recupero eterno la sua porta dal sesto gol che avrebbe distrutto i suoi sogni, stavolta, nel giro di pochi istanti, torna definitivamente a riprendersi quel che sentiva suo, il vantaggio. Casagrande allunga a Scifo e Comi torna amico stendendolo un passo dentro l’area. Il belga trasforma il rigore assegnato con un tiro angolato solo intuito, dal portiere. Roma quattro, Toro cinque. Finisce così.
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Pato segnerà in campionato ancora un gol, contro la disperata Fiorentina. L’anno dopo colpirà una traversa in Supercoppa a Washington col Milan (ovviamente su punizione), farà un gol di rapina contro l’Atalanta in Coppa Italia, propizierà l’autorete del 3-2 (di nuovo su punizione) nell’epica rimonta contro l’Aberdeen. Poi saluterà, in anticipo, complici situazioni extra-calcistiche. Quando lo prendemmo ero felice. C’è la sensazione che avrebbe potuto fare ancora qualcosa di più, ma, quando penso alle sue punizioni, ai suoi tocchi felpati, al suo sgusciare fra i difensori avversari, sono contento ancora adesso che sia stato con noi. Nonostante i ballettini.
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Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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