“La Befana vien di notte, con le scarpe tutte rotte, il vestito alla romana: viva viva la Befana!”
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Samp-Toro 1-2: viva viva la befana!
Il 6 gennaio è un giorno particolare per i bambini che dividono il loro stato d’animo fra la gioia di trovare un regalino nella calza della Befana dopo e la cupa angoscia che le vacanze natalizie che sembravano iniziate un quarto d’ora prima siano già finite. Nel 1991 ero un ragazzino e la bilancia pendeva verso il secondo stato d’animo, ma ero anche un tifoso del Toro fatto e finito e sapevo che, alle 15 di quella domenica, ci sarebbe stato qualcosa che avrebbe potuto cambiare le carte in tavola. Una vittoria dei granata avrebbe potuto lenire, se non addirittura annullare, il fastidio del rientro. Un risultato negativo l’avrebbe reso una via Crucis.
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Il Toro però è in un momento difficile: ha giocato bene, ma buttando punti nel finale in maniera atroce contro Milan, Napoli e Juventus poi ha sfornato due pessime prove perdendo male a Pisa e pareggiando in casa col Parma dove lo 0-0 ha scatenato la prima e unica contestazione stagionale dei tifosi. L’avversario di turno ha l’umore di tono totalmente opposto visto che si fa visita a una Sampdoria che ha appena vinto lo scontro diretto contro l’Inter insediandosi in vetta alla classifica.
Si arriva a Marassi con i cerotti dovendo fare a meno di Marchegiani infortunato da tempo, di Policano squalificato, di Martin Vazquez uscito malconcio dall’ultimo allenamento, di Muller, ormai prossimo all’addio e protagonista di prodezze automobilistiche più che di belle giocate in campo, e di Skoro. Anche Fusi e Romano non sono al meglio, ma stringono i denti e sono a disposizione. Mondonico si ritrova a schierare un Torino tutto italiano che dovrà fare risultando con una mistura di sapienza tattica e cuore. Agli ordini dell’arbitro Ceccarini di Livorno il “Mondo” manda in campo Tancredi, Bruno, Dino Baggio, Fusi, Benedetti, Cravero, Mussi, Sordo, Bresciani, Romano e Lentini. Boskov, privo di Cerezo e di Mikhailichenko, risponde con Pagliuca, Mannini, Ivano Bonetti, Pari, Vierchowod, Luca Pellegrini, Lombardo, Katanec, Vialli, Mancini, Dossena.
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Quella che inizia la gara è una Sampdoria tranquilla, convinta che prima o poi il varco giusto si aprirà per colpire un Toro che alterna ordine e ferocia. Sono proprio i padroni di casa, però, a lasciare l’opportunità giusta agli avversari e gli ospiti non si fanno pregare. Cravero, autore di una delle sue migliori partite stagionali, di quelle che ti fanno dire per la millesima volta “se non ci fosse Baresi”, avanza palla al piede e fa filtrare per Lentini che libera tutti i suoi cavalli attirando a sé i difensori blucerchiati. Sembra incredibile che una retroguardia così forte dimentichi Bresciani, ma succede. Gigi riesce a servire in mezzo il numero nove che si trova faccia a faccia con Pagluca. Il duello si decide quando Giorgio prova a saltare il portiere che lo stende in area. Rigore ineccepibile che Bresciani realizza spiazzando l’estremo difensore doriano.
La reazione dei padroni di casa è confusa e il Toro ha addirittura la possibilità di chiudere il tempo col doppio vantaggio grazie a un’azione brasiliana di Bresciani che, in velocità, anticipa l’intervento in scivolata di Luca Pellegrini, rientra in area da sinistra saltando un altro avversario, ma al dunque si vede respingere la conclusione da un grandissimo intervento di Pagliuca che gli nega quello che avrebbe potuto essere il suo miglior gol con la maglia del Toro, superando la celebre fuga contro il Milan nel 1987/88.
Nel secondo tempo il contropiede del Toro rimane puntuto come uno stiletto con Lentini che continua a sfoderare quegli strappi che farebbero innamorare anche chi odia il calcio. Su uno di questi il cross basso per Bresciani è ancora perfetto perché “El Buitre” granata si è liberato bene e può tirare il colpo sicuro, ma calcia l’aria guadagnatosi un posto nel neonato Vai col liscio di Mai dire gol. La Sampdoria inserisce Branca per Pellegrini e si capisce che sta per iniziare il momento dell’assedio, ma è un Toro che sa stringere i denti e non importa se sei giovane come Dino Baggio o esperto come Ciccio Romano. Ognuno sa cosa fare e quali leve muovere per tamponare i liguri che arrivano da ogni dove.
Tancredi disputa il suo miglior pomeriggio in granata, provando a farsi perdonare tutte le volte che ci ha fatto dannare nelle partite contro la Roma dove, come nelle finali di Coppa Italia dei primi anni 80, era supereroico. L’ex giallorosso dice no a una girata al volo ravvicinata di Mancini e successivamente blocca un colpo di testa del “Mancio”. La parata più difficile è quella su Branca, sugli sviluppi di un angolo. Un intervento coraggioso, ragnesco, che stoppa la conclusione dell’ex Udinese. La traversa dice no a Roberto Mancini quando scocca uno di quei palloni a rientrare che aprono i dibattiti sul fatto che sia un tiro o un cross.
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I minuti passano, la lucidità cala e il Toro è pronto a trasformarsi in cobra per addentare la mano doriana e portarsi a casa la partita. Lentini prenda palla e decide che la lascerà solo quando deciderà lui. Punta Vierchowod che non sembra lo Zar, ma un esordiente per come perde il passo e quasi incespica nel tentativo di seguirlo. Gigi entra in area e forse si fa prendere da un attacco di sufficienza, perché l’assist per Bresciani non è dei migliori, ma Vierchowod si ritrova il pallone tra le gambe e non riesce a fermarlo, anzi lo accomoda meglio per il centravanti granata che è pronto a insaccare e ad andare a festeggiare coi tifosi in trasferta che stanno vivendo un pomeriggio intenso e non solo per quello che sta accadendo sul terreno di gioco.
Al 90’, però, Ceccarini fischia un dubbio rigore alla Samp per fallo di Annoni su Branca e Vialli trasforma regalando un recupero di paura ai cuori granata. Sarà un finale dieci contro dieci perché vengono espulsi Mancini e Benedetti dopo il parapiglia nato nel tentativo dei doriani di recuperare la sfera. A questo punto entrano in gioco i fantasmi, quelli dei gol presi nel finale, negli ultimi quindici minuti, oltre il novantesimo. Il rigore di Joao Paulo a Bari, il destro di Maldini contro il Milan, il tiro della domenica di Incocciati a Napoli. A fine girone d’andata la Stampa farà un articolo che mostrerà come, senza gol subiti nei 15’, il Toro sarebbe stato primo da solo. Parafrasando una frase che Francesco Totti dirà decenni dopo: concedeteci di avere paura.
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Io sono un ragazzino e ho tutto il diritto di farmela sotto, anche se in quel periodo me la sto già facendo sotto per notizie inquietanti che vengono dal mondo e di cui non riesco ancora a capire i contorni e la portata (la guerra del Golfo è imminente). Però quel pomeriggio non c’è Saddam che tenga, ho più paura di un pareggio beffa e allora esco dalla stanza chiedendo a mio padre di chiamarmi a partita finita. Mi perdo Pagliuca che va in area, colpisce il pallone di testa, prende il palo, complice un tocco decisivo di Fusi, con Ameri che dice “la palla entra” e non so cosa avrei fatto o detto in quei secondi, ignorando che, in realtà, Ceccarini ha fermato il gioco per un fallo, ma è un fischio che in molti non hanno sentito nell’emozione del momento. Poi i fischi che contano arrivano e sono tre. Il Toro ha vinto in casa della Sampdoria futura campione d’Italia. Domani si torna in una scuola in cui i granata si contano sulle dita di una mano, ma che in quegli anni non hanno paura di guardare negli occhi né i cugini né nessun altro. Due punti troppo belli rispondendo alle polemiche negli spogliatoi (Mondonico non parlerà, Lentini e compagni mostreranno i denti ai microfoni), mentre Mancini prova a seminare il dubbio di una partita da ripetere visto che il guardalinee gli ha detto che l’arbitro ha sbagliato ad espellerlo fraintendendo un’indicazione, ma sarà solo una frase velenosa senza conseguenze. Il carbone nella calza è tutto blucerchiato. Viva viva la Befana.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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