- Calciomercato
- Prima Squadra
- Giovanili
- TN Radio
- Interviste
- Mondo Granata
- Italia Granata
- Campionato
- Altre News
- Forum
- Redazione TORONEWS
Sapere dove sei
Affezionarsi ai calciatori può portare a delusioni. Vale quando vedi ragazzi del Filadelfia che finiscono ad allenare giovani sull’altra sponda del Po, quando totem della tua giovinezza fanno endorsement politici un po’ spericolati oppure, per rimanere in tempi recenti, quando hanno il cane bianconero. Allora si cerca una sorta di distacco, di freddezza che spesso riesce, ma a volte no, perché i sentimenti puoi tenerli a bada, ma non sempre li controlli. In alcuni casi è un bene, come quando si riesce finalmente a dare affetto a chi lo merita e sei contento che una certo giocatore indossi, o abbia indossato, la tua maglia. Alessandro Gazzi, per esempio, si merita tutto il bene possibile.
LEGGI ANCHE: Un testo sacro
Gazzi arriva al Toro, appena promosso in A dopo un triennio infernale, nell’estate 2012, fortemente voluto da Gian Piero Ventura che lo ha avuto a Bari, e sembra un amore annunciato. Lo vediamo subito come “uno da Toro”, espressione a volte abusata, ma che nel suo caso calza a pennello. Essere da Toro non vuol dire solo avere grinta, ma tante altre cose e Alessandro ne incarna parecchie: la concretezza, l’intelligenza tattica, la serietà, la cultura del lavoro, la voglia di migliorarsi. Soprattutto vuol dire sapere dove ci si trova, cosa sempre più difficile in un ambiente dove il manico per primo pare non averlo capito. L’ex senese lo capisce e lo dimostra con i fatti più che con le parole, antidivo reale e non per posa.
LEGGI ANCHE:"Un principe a Torino"
Il 30 settembre 2012, a Bergamo, il Toro conquista un calcio d’angolo sulla destra intorno all’ora di gioco. Il risultato è incredibilmente sull’1-1 e dico incredibilmente perché l’Atalanta ha fatto molto più di noi, ma due traverse insolitamente amiche e un grande Gillet ci stanno tenendo a galla. Però adesso abbiamo un corner e il sinistro di Cerci è sempre cosa da affrontare con timore da parte dei difensori. Alessio calcia a rientrare e Gazzi va ad attaccare il primo palo come spesso fa sui piazzati. Il numero quattordici si lancia in avanti, anticipa l’avversario e impatta il pallone girandolo verso la porta. La parabola che ne esce è maligna e imparabile per Consigli, andando a finire la sua corsa sotto l’incrocio dei pali opposto. Un nugolo di maglie bianche va ad abbracciare l’autore della rete che ha un sorriso che si impossessa di tutto il suo volto. Quel giorno il Toro torna in serie A davvero dopo tre anni di B. Sì, c’è stato il successo col Pescara alla seconda giornata, ma quello era una prosecuzione della cadetteria dell’anno precedente con altri mezzi. Ora no, siamo a Bergamo, contro una storica rivale sula carta messa meglio di noi e la rete di Gazzi ci stappa. Altri tre palloni gonfieranno la rete degli orobici per un clamoroso 5-1 da farci dare pizzicotti guardando il tabellone dopo troppi anni di pane raffermo.
LEGGI ANCHE: "Riti di passaggio"
A volte succedono cose strane. Il tuo allenatore viene folgorato dal 3-5-2 sulla via di San Siro e finisci col perdere il posto senza troppe spiegazioni, messo inspiegabilmente ai margini e a guardare il non esaltante spettacolo del calcio di metà anni ’10 seduto in panchina. Succede nell’assolato pomeriggio del 13 aprile 2014 quando la partita contro il Genoa sta ridefinendo il concetto di noia, ignara che, di lì a poco, ridefinirà quello di follia totale. Al 57’ Basha si fa male e Gazzi lo sostituisce, ignaro anche lui che sta per contribuire a qualcosa che, ricordandolo a distanza di anni, ci fa ancora venire voglia di alzarci dal divano e farci girare per la stanza sorridenti cercando di attirare a noi qualcosa di quei momenti. Gilardino ci manda sotto a 4’ dal termine dandoci un’inaspettata svegliata. Il gran gol di Immobile al 92’ ci rimette in piedi, ma non finisce qui. Nella cagnara collettiva sugli spalti il Genoa batte a centrocampo, gestisce la palla in maniera non ottimale e Gazzi allunga la gamba al massimo per impattare in scivolata. Un avversario sembra in netto vantaggio, ma niente, non ci arriva. La sfera, docile docile, giunge a Cerci che parte a testa bassa e il resto lo conosciamo. Nulla sarebbe successo senza la scivolata di Alessandro, che a sua volta dice che nulla sarebbe successo senza il primo pressing di Meggiorini, ma invece è successo e lo ricordiamo a distanza di quasi un decennio e lo ricorderemo per sempre.
LEGGI ANCHE: Le rimonte nicoliane
Il 31 agosto 2014 Gazzi ha la valigia in mano, destinazione La Spezia. Ventura gli chiede di posarla un attimo, ospitiamo l’Inter alla prima giornata e manca mezzo centrocampo. Il nostro si piazza in mezzo e decide che, se ultima partita granata dovrà essere, sarà una grande partita. Così è. Non passa nulla di nerazzurro dalle sue parti, si esibisce in un apertura, a inizio gara, che per poco non ci porta in vantaggio, nella ripresa compie un salvataggio che vale un gol. Alessandro non sembra un uomo alto un pur rimarchevole 1,84, ma tre volte in più, una roccia enorme capace di muoversi su cui gli avversari si schiantano. Più passano i minuti e più, in curva, ci diciamo che se lo vendiamo siamo proprio coglioni. Finisce 0-0, complice un rigore che Larrondo scippa a Quagliarella per poi farselo parare in maniera orrenda, ma la grande vittoria di quella sera è che a La Spezia Ale non andrà mai, diventando fondamentale in una pazza stagione granata dove, dopo un girone d’andata bruttino, l’innesto di Maxi Lopez ci darà benzina per andare avanti in Europa League, battere Inter, Napoli e gobbi, sfiorare una qualificazione bis dopo una lunga rimonta evaporata solo per una ladrata a Palermo e un bug di Fifa che si è impossessato di Padelli contro l’Empoli.
LEGGI ANCHE: "Una notte a Brescia"
Alessandro Gazzi ha scritto un libro bellissimo. Si intitola “Un lavoro da mediano. Ansia, sudore e Serie A”. Bellissimo fin dal titolo, perché parla di “lavoro da mediano” e non di “vita da mediano”, concetto talmente logoro e svuotato che ormai è quasi insopportabile da sentire. Invece il termine “lavoro” spoglia l’essere mediani da qualsiasi alone inutilmente romantico senza far perdere al ruolo un grammo di efficacia. L’autore ripercorre la sua carriera in maniera coinvolgente parlando di come l’ordinario (una persona con pregi, difetti, punti di forza, debolezze come tutti) affronti qualcosa che è straordinario come il mestiere di calciatore, straordinario perché “uno su mille ce la fa” è un concetto persino ottimistico nel quantificare chi davvero riesce a ritagliarsi uno spazio importante nel gioco più bello del mondo. La bellezza del volume sta nel non farsi categorizzare, nel non racchiudersi in una singola etichetta, nel toccare con sincerità punti anche molto scomodi. Poi parla anche di noi.
LEGGI ANCHE: "Toro-Lazio 1-0: Del rimpianto"
Dice che Torino non è una piazza facile, ma non lo dice in maniera lamentosa come fanno in molti, bensì nel senso bello del termine. Non è facile perché abbiamo un passato grosso con cui confrontarci e allora dove non si può arrivare con la classe, lo si deve fare con l’atteggiamento. Sì, l’atteggiamento, la lotta, il non tirarsi in dietro. Ancora una volta Gazzi capisce dov’è, dove si è venuto a trovare. Sa come comportarsi nel nostro contesto, sa stare al mondo, amarlo è conseguenza. Di sicuro non lo troveremo mai a mettere un like a una foto di Cristiano Ronaldo che celebra un derby appena vinto come fece qualcuno o far girare una foto in cui esibisce sorridendo la maglia di Dybala come un trofeo dopo l’ennesima stracittadina persa e dopo aver quasi pianto per avere indossato la fascia di capitano pochi giorni prima. Ma non lo troveremo mai nemmeno a fare dichiarazioni ruffiane per vellicare i tifosi. L’atteggiamento, sapere dove sei, dimostrare che lo sai. Per tutti questi motivi quando quest’estate è giunta la notizia che Ale sarebbe tornato al Toro come secondo di Aniello Parisi, tecnico dell’Under 17, sono stato contento, perché è bello riavere con noi qualcuno che il Toro l’ha capito anche se nel mondo di oggi fa molto per non farsi capire.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA