L’ultimo campionato al Toro di Pulici. Basterebbe questo per immalinconirsi.
columnist
The last dance
Ma è anche l’ultimo campionato di Pianelli che ha pagato caro, carissimo, lo scudetto 75/76 e allora la malinconia diventa magone, pensando a un’epoca definitivamente tramontata.
Sei lì che lotti per lo scudetto e poi, senza quasi accorgertene, ti ritrovi impantanato nella lotta per non retrocedere e con la ciliegina della terza finale consecutiva di Coppa Italia persa.
Però se cambi l’angolazione della luce che illumina il campionato 1981/82, certi sentimenti mutano. Il Toro, allenato da un galantuomo come Massimo Giacomini, si salva con le unghie e con i denti in una stagione in cui retrocedono parecchie teste coronate (il Bologna per la prima volta, il Milan per la seconda, ma la prima sul campo) e, soprattutto, si salva coi giovani del Fila. E allora quel nono posto e quella finale di Coppa Italia persa diventano motivo di orgoglio (anche se alzare la coppa non sarebbe proprio stai male, eh, intendiamoci). Mentre giocatori blasonati, con altre maglie, crollavano, i giovani hanno salvato il Toro e per una tifoseria che allora amava il giocatore fatto in casa in una maniera improponibile oggi, questa è una cosa grossa, che rende bello e interessante raccontare la stagione 1981/82, anche se per Pupi, anche se per Pianelli, sarà l’ultimo ballo.
Le casse piangono e le cessioni estive sono dolorose. Altri tre protagonisti dello scudetto salutano: Pat Sala passa alla Sampdoria, mentre Ciccio Graziani ed Eraldo Pecci vanno a fare grande la Viola. Il talento di D’Amico torna nella sua Lazio, “tradita” per un anno solo. Volpati viene scaricato perché considerato vecchio e finirà per essere uno dei perni del Verona dello scudetto e chissà chi è arrivato secondo quell’anno. La maggior parte degli arrivi sono dei fine prestiti (Ermini, Giacomo Ferri, Bonesso) e anche gli altri acquisti sono due ritorni: Paolo Beruatto e, soprattutto, Beppe Dossena, centrocampista offensivo splendido, che era in comproprietà col Bologna dove ha giocato un campionato straordinario, allenato da un certo Gigi Radice, arrivando settimo nonostante 5 punti di penalizzazione. Gli indizi su chi sarà il perno della squadra mirano tutti a lui.
Infatti è proprio grazie al “Dos” che arriva la prima vera goduta della stagione. Girone di Coppa Italia, cinque squadre, passa solo la prima, partite .di sola andata. L’ultima è il derby: alla Juve basta un pareggio, essendo avanti di un punto. Dal primo tempo non sembrerebbe, visto che i gobbi ci schiacciano, prendono una traversa con Bettega di testa e sbagliano un gol incredibile con Cabrini che credendosi in fuorigioco (e lo era, eh, solo che non l’avevano segnalato), si deconcentra e mette fuori. Il Toro si sveglia al 40’ (cross di Pulici, torre di Dossena, Mariani spara clamorosamente fuori al volo da pochi passi) ed è il preludio a una ripresa all’arrembaggio. Catarsi al minuto 62: su un pallone che ballonzola fuori area, Dossena, da venti metri, leggermente defilato sulla destra, lascia partire un meraviglioso tiro a parabola diventando una sorta di gol alla Magath ante-litteram. Ci sarebbe anche il raddoppio al 69’: Dossena parte in contropiede, vede l’inserimento perfetto di Bertoneri e lo premia. Il baffuto Dante, talentuosissimo, il più forte della nidiata, secondo Vatta, realizza in diagonale, ma assaggia una delle tante beffe di una carriera in cui ha avuto infinitamente meno di quanto meritasse, perché l’arbitro Bergamo lo cancella ingiustamente dal tabellino dei marcatori, nonostante fosse partito da dietro. Passiamo lo stesso.
Trascinati dall’impresa, partiamo bene anche in campionato ed è un inizio targato Puliciclone. In Genoa-Toro Claudio Sala è grandissimo, ma stavolta gioca per loro. Per fortuna Pupi è ancora nostro e al 78’ decide la gara: Giacomo Ferri calcia da fuori, Martina respinge, Cuttone la rimette al centro e Pulici non perdona. Da quel giorno passeranno 27 anni per vederci vincere in casa dei rossoblù in campionato. Sempre rossoblù, ma bolognesi, quelli battuti la domenica dopo al Comunale. Ancora una volta contro un ex scudettato (Mozzini), ancora una volta una gara in crescendo, ancora una volta il gol del numero undici al 78’, ma se a Genova era stato opportunismo, sotto la Maratona è roba da cineteca. Partenza dai venti metri, ricerca dello spazio per tirare coi difensori avversari disperati che non sanno cosa fare per fermarlo e sinistro dalla lunetta che brucia Zinetti. Primi a punteggio pieno con la Juventus. “Purtroppo sempre la Juventus trai piedi”, scherza Pianelli. Ci resterà poco, ahinoi.
Il primo dolore arriva a Milano contro l’Inter. I nerazzurri, o meglio parte di loro, sono reduci da qualche giorno di cagarella per un morbo contratto in Turchia durante una trasferta di coppa, e proviamo ad approfittarne, ma su Bertoneri ci pensa Bordon, mentre su Beruatto salva Oriali sulla linea. Ci pensa Agnolin a fare da Imodium per i nerazzurri, quando fischia un discutibile rigore per un contatto Cuttone-Bagni realizzato da Beccalossi. Ne negherà un altro allo stesso Bagni, espellendolo, ma ormai la frittata è fatta. Col Toro tutto avanti, Altobelli sbaglia più volte il raddoppio in maniera grottesca, ma salva in qualche modo il vantaggio su tiro di Dossena. Sconfitti, ma vivi. E vivi restiamo anche contro la Roma, anche se si va sotto 2-0 per la doppietta di Pruzzo nel primo tempo, ma una zuccata di Dossena e un rigore di Pulici rimettono le cose a posto. Anzi, Pulici, nel finale e coi giallorossi in dieci, su assist di Dossena potrebbe addirittura ribaltarla, ma il suo diagonale finisce a lato. Cinque punti in quattro gare sono un buon bottino, ma a quel punto il Toro entra nella sua ora più buia, dal punto di vista dei risultati.
A Udine siamo in vena di regali, Causio sente aria di stracittadina e le prime reti in A di Bonesso non evitano un ko che fa infuriare Giacomini. Poi tocca a un noioso derby, noto più per essere citato in “Eccezzziunale…veramente” che per il gol decisivo di testa di Gentile in proiezione offensiva o per il rigore parato da Terraneo a Brady. A Firenze ce la rubano: parata di Terraneo su Casagrande che rimpalla su Danova, il quale allontana il pallone prima che varchi la linea, ma l’arbitro concede il gol. Ci si mette anche un po’ di sfiga, dato che il raddoppio di Bertoni nasce da un rimpallo Danova-Pecci che diventa assist perfetto per Graziani su cui Terraneo salva, ma non può ripetersi sull’argentino. Pulici è un leone (palo su punizione e gol allo scadere, dopo aver evitato Vierchowod), ma fanno tre sconfitte di fila.
La classifica si muove col Napoli, ma per quel punticino la dea bendata dà una mano. Terraneo para tutto, quando non lo fa danno una mano i pali o l’imprecisione degli azzurri (vedi cosa si mangia Benedetti) o la terna arbitrale che, per una volta, è amica. Accade quando Criscimanni avanza, Palanca si propone in fuorigioco, ma proprio per questo viene ignorato dal compagno, che colpisce il palo, prima che Terraneo smanacci in porta la sfera. In una sorta di Minority Report, oltretutto sbagliato, il guardalinee alza la bandierina mentre Palanca va in offside, come se intuisse già l’assist di Criscimanni, e l’arbitro Ciulli, vedendolo ancora impalato dopo la rete, annulla mantenendo lo 0-0. Considerando che abbiamo tirato solo una volta con Pulici, grasso che cola. Finisce 0-0 anche l’andata di Coppa Italia contro la Fiorentina e la successiva trasferta in campionato contro il Cesena, con Terraneo di nuovo sugli scudi e un Francini sempre più nota lieta. A Cagliari, invece, meriteremmo, Pulici in mischia colpisce un palo interno che novantanove su cento rimbalza in rete. Stavolta torna in campo e al 79’ Osellame spedisce il Toro all’ultimo posto in classifica con Milan e Como. Quando torneremo a segnare? Quando torneremo a sorridere?
Entrambe le risposte le dà il ritorno di Coppa Italia a Firenze: la sera dell’Immacolata, sorpresi dal gol di Massaro, i granata pareggiano con Mariani, bravo a ribadire in rete un colpo di testa di Bertoneri, e passano il turno per la regola dei gol fuori casa. Sembrerebbe un’iniezione di fiducia in vista del doppio turno interno contro Avellino e Catanzaro che pare disegnato apposta per il rilancio. Pare esserci anche il “culo” giusto, visto che al 42’ il risultato si sblocca con una carambola (testa di Zaccarelli, respinta di Tacconi che picchia su Di Somma) e invece, a 3’ dalla fine, Ferrari pesca il jolly dal limite e lascia al Toro i rimpianti e le polemiche su un arbitro troppo permissivo con gli irpini che menavano come se fossero al “Partenio” e un paio di uscite di fuori area di Tacconi su Mariani poco ortodosse. Col Catanzaro è ancora peggio. Al 32’ l’illusione: centro da sinistra di Mariani, sponda di Ferri e Bertoneri, al centro dell’area, la mette in rete. A ribaltare la situazione ci pensa Borghi, prima concludendo una rapida azione con un bel diagonale e poi sfuggendo in contropiede a Danova per fornire a Bivi un pallone solo da mettere dentro, rendendo amarissimo il Natale granata.
Il 1982 comincia col Toro che finalmente capisce che gli tocca lottare per non retrocedere e si adegua. Tradotto: ci mette i coglioni, contano i punti, non importa come. In casa di un Ascoli in ottima forma, i granata lottano dal 1’, Terraneo para di nuovo tutto quello che gli capita a tiro e Pulici litiga ancora con i legni, con una stangata che sbatte sotto la traversa e torna dalla parte sbagliata della linea. 0-0, buon viatico a quella che sarà la sfida della svolta in casa contro il Milan, una classica diventata uno scontro salvezza. Penultima contro terzultima, separate da un punto. Giacomini contro Radice, entrambi ex.
Contro i rossoneri nel primo tempo è la paura a indossare maglia granata, facendo sbagliare passaggi e controlli, ma è il ruggito di Pulici allo scadere a suonare la carica con una gran rovesciata respinta da Piotti e allora, nella ripresa, i giovani iniziano ad andare a caccia dei due punti. Al 66’ l’1-0: sugli sviluppi di un angolo, la palla finisce fuori area dove Giacomo Ferri controlla e batte prima che la sfera tocchi il suolo, indovinando una parabola simile a quella di Dossena nel derby di Coppa Italia, col portiere rossonero rimasto di sasso. 5’, però, il Toro sbaglia un’uscita, Battistini si ritrova davanti a Terraneo, incerto se uscire o meno, e lo batte con un pallonetto. Tutto da rifare. Le speranze sembrano esaurirsi su un tiro fuori di niente di Cuttone. Poi, al 90’, accade ciò che cambia tutto.
Si comincia con la paura per un corner per il Milan che può provare il colpo in extremis. La difesa respinge e il Toro si butta in avanti per l’ultimo assalto. Bonesso, di testa, appoggia a Cuttone, che porta la palla a testa bassa, resiste a Buriani, poi, improvvisamente, da difensore che non disdegna la proiezione offensiva, Agatino si trasforma in fine rifinitore. Manda letteralmente al bar il biondo milanista con una finta, si crea lo spazio per verticalizzare in area per Dossena che con in diagonale dà quello che la Maratona aspettava dalla seconda giornata. “Dos" corre sotto una curva in delirio, con la neve a bordo campo, con lo striscione “Lotta con onore per il simbolo del cuor”, con gente a caso che esulta dietro alla porta: immagini splendide di un calcio che non sarà più. A fine partita Beppe, con una battuta, si dirà contento del gol nel finale, perché, visto l’andazzo, se avessimo segnato prima, ci saremmo fatti probabilmente riprendere. Ma la notizia è che la linea verde funziona, funziona eccome. Il Toro passa dal penultimo al dodicesimo posto in un colpo solo.
La vittoria mette le ali ai granata. A Como, nell’ultima di andata, Giacomini butta dentro Bonesso dal 1’ e lui lo ripaga con una gran parabola di testa che vale i due punti. Bonesso non si ferma neanche contro il Genoa: meravigliosa incornata nel “sette” nel primo tempo e rete da cineteca a inizio ripresa, quando si appoggia su Romano, gira su se stesso e, col sinistro, fa partire una conclusione che si insacca all’incrocio opposto, praticamente il gol di Verdi con la Spal domenica, ma trentotto anni prima. Tre vittorie consecutive. Pianelli ironizza sullo striscione che lo invita ad andarsene dicendo che porta fortuna. Nella classifica cortissima di quell’anno, il Toro è addirittura ottavo e continua la serie positiva strappando uno 0-0 a Bologna. Otto punti in cinque gare.
La serie si interrompe contro l’Inter: come all’andata è un rigore di Beccalossi a decidere, ma i rimpianti sono tanti soprattutto per una gran parata di Bordon su Bonesso, l’ennesima traversa di Pulici, un penalty negato allo stesso Puliciclone e un altro rigore reclamato per un mani di Bagni. A Roma, rimaneggiati, ne prendiamo tre, dopo facile gol sbagliato da Mariani sullo 0-0. Sembra di nuovo tornare il buio, anche perché, nella semifinale di Coppa Italia in casa della Samp, che sta lottando per tornare in A, il Toro è sotto 2-0. Poi, a 1’ dalla fine, la luce si riaccende: Dossena è al centro di una polemica alla vigilia per una misteriosa assicurazione contro gli infortuni stipulata proprio dai doriani (scouting ante-litteram, opzione come per Vierchowod? Il bello è che Dossena in blucerchiato ci andrà, anche se sei anni dopo, e andrà per vincere), ma ciò non gli impedisce di lanciare in area Bertoneri che si coordina e scocca un destro al volo a incrociare pari al suo talento, riaprendo il discorso qualificazione. Il gol dà morale per il delicatissimo scontro salvezza contro l’Udinese che, come in questi casi, è gara brutta, spigolosa: il carattere granata si merita anche il pizzico di fortuna della deviazione di Miano sulla partita di Van de Korput che decide il match a una ventina di minuti dalla fine.
Tocca al derby è l’inizio è tutto granata. Al 18’, su cross da sinistra di Dossena, Pulici prolunga di testa mettendo Bonesso solo davanti alla porta. Loris non colpisce benissimo, sembra quasi sfiorarla con l’orecchio, ma basta per ingannare Zoff. Al 22’ Scirea e Gentile si ostacolano saltando e Pulici si ritrova la giusta occasione per partire in contropiede e smarcare Dossena, freddissimo nel raddoppiare. Pare di sognare. E infatti ci svegliamo: nel giro di 20’ Tardelli e due volte Scirea ribaltano la situazione. Loro non sanno ancora quanto presto e quanto meglio gli riestituiremo questa rimonta, ma per adesso il freno lo mordiamo noi: dopo un palo di Galderisi, Cuttone non riesce a fare il 3-3 da pochi passi e Brady chiude con un tiro a girare. E’ l’ultimo derby di Pupi, amarissimo, senza gol, ma con due assist, perché la Signora dovrà sempre ricordarsi chi è quel numero undici, IL numero undici.
Una settimana dopo, tocca a una partita a modo suo storica: contro la Fiorentina, dieci granata su undici, con Terraneo unico “straniero”, sono nati al Filadelfia e la situazione resta tale anche con i cambi della ripresa. Il Toro gioca una delle migliori partite stagionali, quasi come se la magia del Tempio gli avesse messo le ali. Due traverse, parate di Galli, tante occasioni nel primo tempo. Ma, alla prima azione della ripresa, Graziani si trova un pallone da due passi dopo un centro di Massaro e non può fare altro che punirci con gol dell’ex. Abbiamo il carattere di pareggiare con Ermini di testa su corner di Bertoneri, migliore in campo. Quando, però, la punizione di Bertoni, deviata da Pulici, riporta avanti i viola sembra finita. Non per questo Toro che si getta tutto in avanti e conquista un rigore che Pulici realizza spiazzando Galli. Una partita storica non poteva non finire con una rete storica: Paolo Pulici ha gonfiato la rete per l’ultima volta con la maglia del Toro addosso.
Una netta sconfitta 2-0 a Napoli e un pareggio a reti inviolate in casa col Cesena, con una quantità industriale di occasioni sbagliate nel primo tempo e un probabile rigore negato a Schachner nella ripresa, riportano il Toro vicinissimo alla zona calda alla vigilia del match col Cagliari, che è esattamente un punto dietro. Il tempo di guadagnarsi la terza finale consecutiva di Coppa Italia grazie a una rete di Beruatto che elimina la Samp (e di ringraziare Pat Sala per avere avuto il cuore tenero nel finale) e i granata si ritrovano a giocare un vero spareggio e dopo tante partite in cui hanno raccolto meno di quanto seminato, fanno le cose finalmente in grande. Le marcature le apre Cuttone di testa, su punizione di Dossena, in anticipo sulla rivedibile uscita di Goletti. Dello stesso Cuttone è l’ultimo tocco sul tiro di Longobucco che porta al pareggio, ma il Toro torna avanti dopo un paio di minuti, con Bonesso vero avvoltoio su un’altra uscita pasticciata del portiere sardo su traversone da sinistra dell’infaticabile Beruatto. Ancora Loris, al 53’, su splendido traversone da destra di Bertoneri, triplica di testa, punendo l’ennesima uscita maldestra di Goletti. Selvaggi dal dischetto prova a riaprirla, Dossena, sempre dagli undici metri, la chiude. 4-2 e tre punti dal terzultimo posto.
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Il Toro torna da Avellino col punto che voleva, ma a Catanzaro cede a un rigore di Bivi. I punti di vantaggio sulle porte dell’inferno restano tre, con l’Ascoli bisogna vincere per evitare ultime domeniche con orecchie disperatamente incollate alle radioline e calcolatrici per capire chi scende se vince Tizio o pareggia Caio. E si vince. Apre le marcature Bertoneri, smarcato da Dossena, continua a premere, subisce il pari di Nicolini dopo un pasticcio difensivo, torna in vantaggio con Beruatto che sbaglia a crossare finendo col segnare un gol spettacolare. Il tutto mentre Safet Susic, talento slavo, in anticipo di una decina d’anni sulla querelle Luis Figo fra Juventus e Parma, dice che sarà granata, che quello che ha firmato per l’Inter non era un contratto vero, chissà cosa sarà, un tovagliolo, boh. Non andrà né da noi, né da loro. Da loro, invece, ci andiamo noi per la finale di andata di Coppa Italia. Su un campaccio infame causa acquazzone, i nerazzurri vincono di misura contro Pulici e compagni per un gol di Serena, ma i granata sono gagliardi, sfiorano il pari e fanno ben sperare per il ritorno. Al 76’ Pupi lascia il campo a Bonesso. E’ la sua ultima volta con la maglia del Toro. Tornerà da avversario e ogni volta che Danova proverà solo a sfiorarlo saranno fischi, ma per Gigi, perché Pupi la maglia del Toro ce l’ha addosso sempre, anche quando non ce l’ha più, anche quando gliel’han fatta togliere.
Si resta a San Siro, ma rossonera, per prendersi il punticino che vale la salvezza matematica e allora possiamo dirlo sul serio: un manipolo di giovani, affiancati da qualche senatore, ha salvato il Toro. Basta una gara ordinata, davanti a un pubblico milanista encomiabile e quasi commovente nel suo attaccamento in una stagione che è un continuo incubo, per evitare affanni con un turno d’anticipo. La traversa di testa di Maldera all’ultimo minuto è l’unico vero brivido. Nell’ormai inutile ultima giornata, un inutile 0-0 col Como, Giacomini si toglie lo sfizio di far esordire un altro giovane. E’ un libero dalla classe sopraffina, ma, visto il ruolo delicato, si aspettava la tranquillità in classifica per schierarlo dall’inizio. Si chiama Roberto Caverò. Ce ne innamoreremo.
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Il 20 maggio è l’ultima sera di Pianelli al Toro, Sergio Rossi sta per diventare presidente, regalarci grande annate e un inspiegabile epilogo. La Coppa Italia è lì, pronta per essere alzata. Lo stadio è stracolmo come da anni non si vedeva e al 13’ la gente granata esplode: corner basso di Bertoneri che filtra in area e finisce a Cuttone, in posizione da centravanti: legnata sotto la traversa e piccolo record per il terzino che va a segno in due finali di Coppa Italia consecutive. Perse. Già, perché dopo 10’ Altobelli pareggia di testa punendo l’uscita errata di Copparoni. E a questo punto che viene da piangere. Perché la coppa andrà ancora all’altra curva, perché questi ragazzi danno tutto quello che hanno. Il palo interno dice no a Beruatto, Bordon salva l’ennesima incornata stagionale di Bonesso, tutti all’arrembaggio, man mano che passano i minuti, man mano che la certezza di non alzarla si fa realtà. Attacchiamo, attacchiamo, attacchiamo. E’ l’ultimo ballo di una stagione unica per tanti motivi e continuiamo a ballare, anche se la rabbia esploderà sugli spalti provocando scontri fra tifosi granata e nerazzurri, continuiamo a ballare. E balliamo, anche se Pupi non ci sarà più, anche se Pianelli saluta, anche se tanti giovani verranno mandati via senza un briciolo di gratitudine. Noi balliamo per l’ultima volta, l’ultima maledetta volta.
Anche se non con questa quantità di giocatori, non sarà certo l’ultima volta in cui il Toro ha preso quello che gli serviva dalla sua scorta di talento presente al Fila. Qui toccava a Bertoneri, Francini o Cuttone, più avanti toccherà a Cravero, Lentini, Bresciani o Dino Baggio e ne sto tacendo a decine. Dalla scorsa settimana il signore che ha permesso questo, un uomo che ha scritto non solo la storia del Torino, ma la storia del calcio, non c’è più e questo articolo che parla di tanti “suoi” giovani, nel mio piccolo voglio dedicarlo a lui, a Sergio Vatta, con lo stesso nodo in gola di quando va via un pezzo di Toro, soprattutto se il pezzo è grande come lui. Grazie di tutto, Maestro.
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Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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