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Tipi da stadio
Ogni tanto i riflettori devono spostarsi dal campo agli spalti. Per rivivere e rivedere immagini di grandi pomeriggi o serate di tifo, le scenografie, gli striscioni, i colori, perché, con buona pace di chi crede certe aggregazioni cosa superata, senza le gradinate straripanti di gente che canta, urla, fischia e applaude anche uno sport meraviglioso come il calcio diventa inevitabilmente qualcosa di meno bello. Se quel riflettore diventa, però, lente di ingrandimento, riusciamo a scoprire personaggi assurdi, mitici e, ovviamente, di culto che diventano tali solo per aver detto o fatto qualcosa mentre erano vicini a noi durante una determinata partita. Previsioni sballate, insulti, frasi memorabili, tanto basta per diventare immortali nel nostro ricordo come una rete al novantesimo. Qua ci sono alcuni dei miei “tipi da stadio”.
Prima giornata del campionato 1992/93, anno uno del dopo Lentini-Policano-Cravero-Rafa (e Benedetti. E Bresciani). Il Toro saluta l’esordio in A dell’Ancona con quattro pere belle secche e usciti dallo stadio, mentre ci si reca ai parcheggi, c’è una giusta dose di euforia che aumenta ulteriormente quando passa un gruppetto di tifosi dei dorici fra cui spicca una ragazza che è venuta allo stadio indossando un paio di pantaloncini e un costume da bagno rosso alla Baywatch. Il fatto di essere accompagnata da altri, ovviamente, ha limitato di molto i commenti di chi passeggiava lì intorno, ma con un’eccezione. Un vecchio che passa su una cinquecento, inchioda per guardarla mettendo fuori la testa dal finestrino a mo’ di periscopio ed emettendo una di quelle sentenze che il piemontese rende memorabili: “Diuuuu bun, che pulmun!!!” (Dio bono, che polmoni. Dove per polmoni si intende una certa prepotenza anatomica sul davanti. Un “Dio bono” un pochino diverso da quello di Radice in Toro-Cesena, via). Il tutto si è completato con una mimica facciale meravigliosa (come per dire “parle pa’”), poi marcia ingranata e via verso casa a guardare Novantesimo.
Il Toro di Sonetti, che è sotto 2-1 contro il Cagliari e non sta certo giocando una delle sue migliori partite, sembra patire il caldo primaverile che, quel giorno, è quasi un principio d’estate. O almeno questo è il parere dei due signori sulla sessantina che commentano dietro di me. “A giogu mal perché a patisu l caud” (“giocano male, perché patiscono il caldo”) dice uno. Annuisce con vigore come a dargli ragione il secondo. Un terzo prova a far timidamente notare che il caldo ci sia anche per il Cagliari, ma, in quel momento, non sembra patirne. Allora quello che annuiva si ferma e aggiunge “eh, ma lur a sun napuli. Sun pi’ abitua’ che nui” (Loro sono meridionali, sono più abituati di noi). Piccolo particolare: fino al giorno prima ero in gita con la scuola a Napoli. Mentre a Torino c’era un sole da spaccare le pietre, noi ci siamo portati giù la nuvola di Fantozzi perché in una settimana di metà aprile ha sempre piovuto o fatto freddissimo, salvo poche eccezioni. A Paestum o sul traghetto per Capri ricordo compagne che battevano i denti, altro che al sud sono abituati. Non me la sono sentita di smentire quella troiata portando la mia esperienza personale. Meglio continuare a guardare la partita, anche perché Pelè di lì a poco farà una doppietta che ribalterà la gara, caldo o non caldo, portandoci al delirio.
A distanza di decenni ricordo la sconfitta del Toro di Scoglio contro l’Inter per due motivi: la mole pazzesca di occasioni create e non concretizzate (anche il pari ci sarebbe stato strettissimo) e un signore che ha insultato Milanese per 90’. O meglio, presumo che l’abbia insultato perché non capivo letteralmente nulla se non la parola “Milanese”, essendo le contumelie, o presunte tali, urlate con un tono da sirena antinebbia e in un idioma incomprensibile. Qualsiasi cosa succedesse in campo, anche se Milanese era lontano chilometri, sentivo soltanto “MILANEEEESEEE, AUHRVISOVFEIFRGUHSDICADBWIQFBIYSA” con una rabbia crescente col passare dei minuti. A 10’ dalla fine questo eroe moderno lasciava apparentemente lo stadio dando requie alle mie orecchie, ma poi, intorno al novantesimo, da un punto indefinito della curva ho sentito nuovamente “MILANEEEESEEEE, SOJADBSNVKDSNBOSJVOSCDUOCSH”. Mi sono girato e l’ho localizzato a una trentina di metri da me, in piedi, solitario, quasi elegante, ma con un volto paonazzo, urlando il dolore di una stagione intera, forse di una vita intera in faccia al nostro terzino sinistro. Chissà se si è provato la pressione quando è tornato a casa.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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