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Sono quasi le sette di sera del 25 giugno 1989 quando Magni, allo stadio “Via del Mare”, fischia tre volte la fine della la partita mettendoci tutti in ginocchio: il Toro, per la seconda volta della sua storia, retrocede in serie B. E’ un dolore fortissimo, un pugno nello stomaco, la sguaiata corsa di Mazzone al gol di Barbas mi infastidisce a distanza di anni. Eppure. Eppure mentre si spengono gli ultimi echi dei caroselli di juventini e leccesi per la nostra retrocessione (ma chi “tifa contro” non era un poveraccio secondo i cugini o è il solito esempio di doppia morale?), mentre si affievoliscono le polemiche relative al premio partita richiesto prima della gara decisiva, ci asciughiamo le lacrime e iniziamo a sentire qualcosa di ardente nel petto. Siamo ancora lontani dai tempi in cui all’inferno si rimarrà un triennio, sarà l’anno della risalita, del riscatto sul campo e sarà la stagione in cui la Maratona andrà in tournée su campi che non ci avevano mai visto protagonisti. Sarà una stagione bellissima.
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L’allenatore scelto per risalire è una certezza: Eugenio Fascetti, esperto in promozioni, spigoloso finché si vuole, ma davvero capace come racconta il suo curriculum. Si riesce a tenere Cravero, che sembrava volersene andare dopo le scorie del maledetto finale di stagione precedente, e vengono blindati anche Muller e Skoro. Ci sarà molto Fila, nonostante gli addii di Fuser e Comi, nonchè quello temporaneo di Bresciani, soprattutto grazie ai rientri di Venturin, Sordo e Gigi Lentini. E poi ci sono i nuovi acquisti. Mussi lascia il Milan, con cui ha vinto uno scudetto e una Coppa dei Campioni in due stagioni da prima riserva, e scende da noi. Ciccio Romano, che ha appena vinto una Uefa col Napoli dopo lo scudetto di due anni prima, scende da noi. Roberto Policano lascia una Roma che si appresta a ricominciare a lottare per l’Uefa con Gigi Radice, dopo lo spareggio beffardamente perso contro la Fiorentina per il gol dell’ex di Pruzzo, e scende da noi. Arrivano anche un mediano solido come Giorgio Enzo da Lecce, una punta di peso come Pacione dal Verona. Poi Martina dalla Lazio per dar manforte a Marchegiani, impegnato col servizio militare, e Walter Bianchi. E’ un Toro più forte di quello della stagione precedente in serie A.
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I tifosi rispondono subito presente alla campagna abbonamenti lanciata da Borsano (“Il Toro tornerà alla carica. Torna anche tu allo stadio”) con più di diciottomila abbonati e una media di trentamila spettatori circa durante l’anno. La Maratona si fa bella per quello che è il suo tour d’addio al Comunale che è, comunque, la fine di un’epoca. Intendiamoci, al “Delle Alpi” la curva ha avuto momenti grandiosi, ma è proprio la conformazione fisica della curva a cambiare: si passa da un ambiente di tifo fisicamente enorme e “totale” a uno rigidamente diviso in tre anelli. Non parlo di quale curva piccola e striminzita ritroveremo quando torneremo all’Olimpico, sognandolo come fortino e ritrovandosi in alcune stagioni con un colabrodo. La stagione 89/90 è l’ultima con quella Maratona lì, fatta in quel modo lì, con quel bandierone lì e allora bisogna esserci alla grande, con tante belle coreografie e tante canzoni nuove a cui dà una mano sicuramente la cronaca (“Schillaci ruba le gomme” sull’aria di “Guantanamera”): quantità e qualità. Inizierò ad andare allo stadio nel 1991. L’unico motivo per cui rimpiango di non essere nato un paio d’anni prima e di non avere iniziato dentro la curva del Vecchio Comunale.
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C’è un’altra cosa che fa la differenza in quella stagione ed è fuori dal cerchio granata. Un sentimento di gioia e di speranza. Se a volte ricordiamo con felicità certi periodi in maniera soggettiva tendendo a dimenticare gli aspetti più bui come sotto la lente deformante di una certa nostalgia, quello specifico momento è permeato da un ottimismo oggettivo. Dopo anni con la paura della bomba atomica a turbare i sonni di chiunque, si va verso la fine della Guerra Fredda e la caduta del muro di Berlino sarà uno dei momenti simbolo di quel periodo in cui realmente si pensava a un mondo stracolmo di pace. L’invasione del Kuwait da parte di Saddam nell’estate 1990 e lo svilupparsi della guerra civile in Jugoslavia inizieranno a cambiare sensibilmente quella percezione con una secchiata di realtà, ma in quel momento c’era un clima che è difficile riportare a parole adesso. Mettiamoci anche il friccicore tutto italico relativo all’ospitare i mondiali del 1990 (e anche qui vedremo dopo quanti sprechi dovremo pagare a riguardo) ed ecco l’atmosfera in cui ci immergiamo in quei mesi: un bel Toro in un bel mondo.
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L’entusiasmo il giorno del raduno è pazzesco, non sembra di essere appena retrocessi. E’ come se vedessimo il futuro, sapendo che gran parte di quella squadra ci porterà in Uefa in faccia alla Juve, sfiorerà l’impresa massima ad Amsterdam e, con qualcuno in meno, alzerà la Coppa Italia. Eleggiamo già i nostri idoli: in primis Policano, con un fisico pazzesco e un sinistro micidiale, sembra un giocatore sbarcato direttamente dal futuro. Anche la regia di Romano si fa apprezzare. L’unico impermeabile al bel clima granata sembra Luis Muller, tristissimo, con la sola compagnia del fratello e della Bibbia è quasi una figura tragica dentro un granata sempre più vivido.
La prima amarezza stagionale arriva in coppa Italia dove una doppietta di Protti, intervallata da un gran gol di Romano da fuori, fa sfumare il primo obiettivo stagionale. Sì, perché un pensierino ad andare avanti in coppa ce l’avevamo fatto un po’ tutti, qualcuno sognando anche di vincerla per dimostrare come quel Toro potesse dire la sua anche con chi stava al piano di sopra. Invece nulla. Non c’è tempo per piangere troppo perché il 27 agosto 1989 si scende in campo a Reggio Emilia, in tenuta bianca, contro gli altri granata della B, quelli della Reggiana. E’ un Toro che ha già capito, se non tutto, molto della cadetteria, per esempio che un pareggio sudato fuori casa vale tantissimo. I duemila tifosi accorsi sugli spalti del “Mirabello” patiscono per l’avvio della squadra di casa, ma poi assistono alla buona prova degli uomini di Fascetti fra cui spicca Mister Utilità Mussi. C’è anche il tempo di maledire la sorte per un infortunio a Cravero mentre provava (riuscendoci) a fermare il futuro idolo Silenzi e per un rigore negato da Ceccarini a Walter Bianchi, ma lo 0-0, tutto sommato, è giusto. E poi anche l’anno del primo purgatorio, nel 1959, esordimmo con un pari a reti inviolate in trasferta, mentre la prima in casa, di nuovo al Fila dopo un anno tutto al Comunale, fu di tutt’altro spessore con un sonante 5-0 al Cagliari che commosse un pochettino anche Vittorio Pozzo.
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Anche stavolta, contro l’Ancona, il debutto casalingo è trionfale e lo si capisce, letteralmente, dopo pochissimi istanti. I dorici battono il calcio d’inizio poi pasticciano malamente sul pressing granata: Muller smarca Skoro e lo slavo è gelido davanti a Vettore. Sono passati solo nove secondi. La reazione dei marchigiani c’è, ma un attacco Skoro-Muller-Pacione per la cadetteria è semplicemente lusso: corner dello slavo, difesa biancorossa a farfalle, tocco di testa del carioca per il raddoppio al 40’. Ciocci prova a metterci paura al 77’ con una splendida girata dal limite dopo un’uscita di Marchegiani su centro di Zannoni, ma basta un minuto per mettere le cose a posto con la doppietta di Muller su assist di Skoro che, con un assolo tutto classe, chiude la pratica a 3’ dal termine. I tifosi tornano a casa felici, Fascetti gioca a fare l’insoddisfatto per una squadra un po’ lunga in alcuni tratti della gara e abbiamo già il manifesto del nostro girone d’andata, un inno alla media inglese: vittorie in casa, pareggi in trasferta.
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Col Brescia il punto ci va strabene, perché immeritato. I lombardi vanno a segno con Altobelli che, non pago di aver deciso un derby qualche mese prima rendendo amaro il debutto di Marchegiani, batte di nuovo Luca con una zampata mancina su assist di Pierleoni. Il portiere granata si riscatta in fretta con una serie di grandi interventi a blindare il pareggio. Sì, il pareggio, perché sull’unico tiro in porta granata arriva il punto: scatto in profondità di Muller su rilancio di Marchegiani e tocco sotto a vanificare l’uscita dell’ex Zaninelli. Abbiamo avuto un po’ di “culo”, peccato capitale se qualche volta ci succede, partono i processi, gli indici puntati, ci siamo montati troppo la testa dopo il 4-1 all’Ancona, si ritorna sulla terra.
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Sì, si ritorna sulla terra, ma per andare direttamente nell’iperspazio la domenica successiva contro il Pescara in una partita di cui abbiamo già parlato in questa rubrica. Gatta che qualche mese prima in campionato parò tutto in un 1-1 che ci costò carissimo, stavolta prende una serie di reti inverosimile: sette. Quello che si è rivelato uno scontro diretto solo sulla carta si apre al 9’ quando il neo-sposo Pacione si fa un regalo di nozze con un acrobatico stop di petto-tiro di sinistro da grandissimo attaccante. Al 23’ Muller è inarrestabile sulla sinistra e raddoppia da posizione angolatissima. Al 25’ Ezio Rossi irrompe sul primo palo su un angolo di Policano per il tris. Allo scadere del tempo Skoro capitalizza una torre di Pacione per il poker ed è proprio l’ex veronese a segnare il quinto gol con una spettacolare sforbiciata al 61’. Il primo centro in granata di Policano, colpo di testa su respinta di Gatta dopo destro di Muller, vale il 6-0 e allo scadere ancora Luis, con un tocco sporco su centro di Policano, trova il settimo sigillo. I turbamenti estivi del bizzoso verdeoro sembrano lontanissimi. Dodici gol fatti e due subiti dopo quattro giornate: il Toro, appaiato all’Avellino, guarda il resto della B dall’alto in basso.
(1-Continua)
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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